«Non ho amici da salutare»
«Non ho amici da salutare» Stefano Tacconi, Capitan Fracassa del calcio, domani contro la sua ex Juve «Non ho amici da salutare» «Baggio e Vialli non sono leader» «Al Genoa adesso mi sento libero» GENOVA DAL NOSTRO INVIATO «Forse l'Avvocato era sincero il giorno in cui mi telefonò perché me ne andavo. Lui è un tifoso e sta al di sopra di tutto. Boniperti e Trapattoni invece... Mentre mi dicevano che gli sarei mancato, pensavo a quando muore qualcuno e tutti ripetono che era il più bravo». Che nostalgia avevamo di Tacconi. Delle sue parate. E delle sue sparlate che erano uno sbuffo di rosso, di giallo, di blu sul bianco e il nero della Signora. Capitan Fracassa, Tarzan, Orlando contro i Mori: ne abbiamo inventate tante per spiegare il fenomeno che ravvivava la Juve ingessata nei «no comment». Divertiva e faceva riflettere, il Tacconi bianconero, anche se a volte si faceva prendere la mano dalle proprie battute. Per fortuna la barbetta ingrigita, Genova e la dimensione di un club lontano dallo scudetto non lo hanno cambiato: l'Uomo-sbérleffo attacca e aggredisce ancora. «Davvero vi manco a Torino? - dice -. Ma se avete Peruzzi che vi dà un titolo al giorno». Sempre voglia di scherzare, vero? «La verità è che andandomene dalla Juve sono tornato indietro di dieci anni. Ho ritrovato stimoli che provavo ad Avellino e anche un certo modo di pensare. Negli ultimi tempi a Torino stavo un po' più zitto. Mi ero stancato di pagare le multe. Ora mi sento di nuovo libero di dire quello che voglio». Senza imbarazzi. Come gli capiterà domani ritrovandosi davanti alla Juve. «Non ho rimpianti, non ho amici da salutare. Boniperti mi insegnò che nel calcio non bisogna mai guardare indietro. Erano i tempi in cui la Juve poteva permetterselo, tanto c'era sempre un trionfo dietro l'angolo. Adesso forse non è più così. Sento che accennano sempre più spesso alle Coppe e agli scudetti vinti, perché non ne vincono di nuovi».Racconta, alla sua maniera, un distacco che gli ha lasciato, dentro, una ferita non piccola e che non ammetterà mai. «Capii con molto anticipo che me ne sarei andato. Era l'estate dell'anno scorso, dopo le cose che avevo detto su Peruzzi: mi stupì la reazione della società, la freddezza. Pensavo che si sarebbero arrabbiati tutti, come nell'85, quando andai sul pesante contro la mia esclusione dopo un derby. Niente. Compresi che avevano deciso. E magari li aiutava pure la mia situazione personale: stavo divorziando da mia moglie, credo di essere stato l'unico nella Juve a farlo. Certe cose non piacciono in quell'ambiente». La Signora perbene, anzi perbenista, bigotta. Lo stile, eccetera. Possibile che Boniperti giudichi immorale un divorzio quanto gli elettori americani un amorazzo di Clinton? Mah, questa sembra davvero grossa. La scelta invece era stata definita con l'acquisto di Peruzzi, Tacconi doveva comprenderlo subito. «La società diceva di volermi tenere, quando già sapeva che non avrei accettato la panchina. Vedevo che non mi sosteneva. L'Inter difendeva Zenga confermandogli il posto, la Juve non lo faceva con me. Del resto non l'aveva fatto neppure quando Bearzot e Vicini mi tenevano fuori dalla Nazionale. In primavera hanno avuto l'onestà di comunicarmi che mi avrebbero ceduto. Si diceva che avrei potuto andare al Milan, ma non mi avrebbero dato il permesso: per loro ero vecchio, però non cod rincoglionito da lasciarmi a una rivale. C'era invece la Lazio, avevamo già risolto molte cose. Tuttavia facevo paura anche lì. Così sono venuto al Genoa. E sono contento di starci. Mi piace l'idea di vivere per una volta l'esperienza di Marassi dall'altra parte». Genova non lo ha ancora avviluppato nell'abbraccio che fece dire a Vialli molti no. «Ci sto da poco - dice Tacconi -. C'è il mare, il bel sole di settembre che non avevo a Torino. Ma le esperienze vanno giudicate alla fine. Vialli? Non me ne frega nulla di come ci viveva, né di come lo accoglieranno. Probabilmente si prenderà i fischi. Li ricevevo anch'io a Napoli, dall'inizio alla fine. E mi divertivo». Già, il Capitan Fracassa che stuzzicava Maradona. Sembra che sia passato un secolo. «Invece è una questione di pochi anni. Forse è perché il calcio è cambiato: allora si andava in campo, una botta di qua, una di là, si facevano partite vere. Oggi tanta gente gioca 90' senza toccare l'avversario perché con tutti i miliardi che circolano nessuno rischia più le gambe. Ci siamo ammorbiditi. Gli unici forse sono gli stranieri, che non hanno un posto sicuro e si impegnano tanto. E' l'effetto positivo di una norma sballata». Anche la Juve, sempre indecisa tra Moeller, Platt e Julio Cesar. «Ma alla fine giocherà moltissimo Moeller perché piace a Baggio, si capisce. Moeller è un Baggio-dipendente nel senso che è l'unico che può dialogare con lui. Ma il guaio per la Juve è se tutta la squadra diventa Baggiodipendente perché lui non è un leader. Platini lo era. I leader sono quelli che ti tirano fuori dai guai quando le cose son messe male, Baggio non mi sembra che lo faccia. E non può farlo nemmeno Vialli, perché è un centravanti. Ma a me che importa? Son cose che sbrigherà la Juve: il Milan comunque mi sembra ancora un'altra cosa per il gioco frizzante che esprime, l'Inter avrà presto il miglior Scrollaci e poi c'è il Napoli. Per lo scudetto dico Napoli, anche se laggiù mi hanno fischiato tanto». Marco Ansaldo Tacconi con la nuova compagna «Il mio divorzio non è piaciuto e ha aiutato la Juve a cedermi»
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