Chagall, i segreti svelati dell'ebreo errante

Chagall, i segreti svelati dell'ebreo errante Si apre oggi a Ferrara la grande mostra: in 289 opere la vita dell'artista dalla Neva alla Senna Chagall, i segreti svelati dell'ebreo errante Prima di morire dipinse un pittore con ali e corona FERRARA DAL NOSTRO INVIATO Uno Chagall così non s'è mai visto in Italia. Il Palazzo dei Diamanti ospita 74 quadri e 215 opere di grafica, con le illustrazioni per Le anime morte di Gogol e Le favole di La Fontaine; la Casa Cini espone 105 acqueforti del grande ciclo biblico. Una mostra che documenta tutte le fasi di un artista attivissimo e morto vecchissimo, a 97 anni. Oggi viene Scalfaro e vengono gli ambasciatori di Francia e della Federazione Russa. L'apertura è domani (fino al 3 gennaio; catalogo in coedizione Artificio e Leonardo-De Luca). La vita di Chagall è dietro i suoi quadri, dentro di essi. Si comincia con Veduta dallafinestra di Vitebsk, dove i colori sono ancora scuri: fiori in primo piano, un campanile, un piccolo arcobaleno. E' il 1908. Chagall è a Pietroburgo da un anno. Vitebsk, tra Minsk e Mosca, già comincia a scavargli l'animo: la natia Vitebsk, con le casette di legno dai tetti spioventi e i cortili pieni di polli, le staccionate di assi a punta, i maiali e le capre nelle vie. Le donne hanno fazzoletti vivaci anche nelle giornate più nuvolose e girano scalze con gli stivali a tracolla. E' il mondo delle pagine di Singer e Roth. Marc Chagall è il primo di nove figli. La sua famiglia è ebrea, chassidica, riscaldata da una mistica che punta alle gioie del cuore, non all'ascetismo, e che si esprime soprattutto in un'infinità di racconti di prodigi, di padre in figlio. Esperienze che Chagall porterà sempre con sé: la vita e i sogni del villaggio (lo shtetl), la forza quasi magica racchiusa in una sedia, un orologio, un samovar, una panca. Fin dalla nascita, il 7 luglio 1887: «La prima cosa che mi è saltata agli occhi è stata una tinozza», scrive ìtìLamia vita. A Pietroburgo si innamora di Bella Rosenfeld: «Il suo silenzio è il mio. I suoi occhi, i miei. E' come se Bella vegliasse su di me». Diventa la sposa per eccellenza in tanti suoi quadri: perso¬ nifìcazione del Sabato, di Israele, della gloria di Dio. E a Pietroburgo Chagall va da Leon Bakst, intellettuale ebreo aperto alle nuove esperienze europee. Chagall suona all'una di pomeriggio e Bakst è ancora a letto: quando arriva, «sembra mio zio o mio fratello - pensa -. Io sono pallido, balbetto, sono spesso triste e uso colori lilla. Forse anche lui balbetta come me». Gli fa vedere i disegni e Bakst lo promuove con riserva: «Sì, sì, c'è del talento, ma siete su una cattiva strada». La strada buona Chagall la trova a Parigi, dove vive dal '10 al ' 14. Sono gli anni decisivi: scopre Gauguin, ama Van Gogh, si accende per i Fauves, penetra Cézanne e i cubisti, che gli sono utili ma non lo entusiasmano. Li trova troppo razionali. Ne prende il metodo, impara a girare attorno alle cose e a vederle in più prospettive; ma ne rifiuta la gabbia in cui imprigionano la realtà. «Che mangino le loro pere quadrate sulle loro tavole triangolari», esclama. Trova alla fine il linguaggio in cui esprimersi. Il suo linguaggio fa tutt'uno con la favola, la memoria, la simultaneità degli spazi e dei tempi. Una pittura misteriosa ed elementare, volutamente e coltamente primitiva. «Orfica», la definì Apollinare. Sembra che tutto sia spontaneo; invece tutto è costruito: «Cercavo un universo di forme», dice. I suoi colori diventano smaglianti, le sue tele piacciono a Breton, a Max Jacob, a Cendrars. Alcuni quadri in mostra sono capolavori assoluti. Dimostrano la libertà con cui Chagall si appropria la lezione e le suggestioni parigine. Come Lo specchio: uno specchio gigantesco riflette una lampada a petrolio e una giovane, minuscola figura femminile è china sul tavolo. C'è spaesamento e magia. Lo spazio cubista diventa onirico, la geometria è cabala. A Parigi gli sembra di «scoprire tutto, m primo luogo l'arte del mestiere». Si aggrappa a quella pittura: «Mordevo le esposizioni di Parigi, le sue vetrine, i suoi musei, a partire dal mercato dove, non avendo soldi, acquistavo solo un pezzettino di un lungo cetriolo». Abita prima in un vicoletto, poi nella mitica Ruche a Montparnasse, un concentrato di atelier: vive accanto a Léger e a Modigliani. Passa giorni e notti nello studio davanti alla lampa¬ da a petrolio: uno studio «zeppo di quadri, di tele che non erano tele ma piuttosto le mie tovaglie, i miei lenzuoli, le mie camicie da notte fatte a pezzi. Le due, le tre del mattino. Il cielo è blu. Si leva il giorno. Laggiù in fondo si sgozzava il bestiame, le vacche muggivano e io le dipingevo». Alla rinfusa attorno a lui ci so¬ no «telai, gusci d'uovo, scatole vuote di brodo da due soldi». Sul tavolo «si facevano buona compagnia delle riproduzioni del Greco, di Cézanne, i resti di un'aringa che dividevo in due, la testa il primo giorno, la coda il giorno appresso, e grazie a Dio, delle croste di pane». Chagall torna in Russia nel' 15 e segue con foga la Rivoluzione. Addobba Vitebsk con 15 mila metri di tela rossa. Litiga con Malevic, arrogante nel suo rigorismo astrattista, e toma in Francia. L'orizzonte si oscura: i nazisti bruciano le sue opere. Ripara a New York. Infine dal '50 si stabilisce in Provenza, prima a Vence poi a Saint-Paul-de-Vence. Bella non c'è più. Gli resta Ida, l'unica figlia. E si sposa di nuovo, con Valentine Brodskij (la chiama Vavà). Gli ultimi decenni sono di grande fama: a Nizza si apre un museo dedicato a lui; decora il soffitto dell'Opera a Parigi e il Metropolitan a New York; lavora per la Knesset, il Parlamento di Gerusalemme. La favola è conclusa: da malinconico bambino nella piccola, fangosa, sperduta Vitebsk, a profeta biblico, interprete massimo del suo popolo. Scrive: «Tutto nella vita e nell'arte si cambierà se noi senza vergogna pronunceremo la parola amore. In essa è la vera arte; questa è la mia tecnica, la mia religione; la nuova e antichissima religione che ci è stata tramandata dai tempi più lontani». La mostra fa vedere bene questa religiosità sociale: sono i grandi quadri con un Cristo in croce quasi bizantino, o alla Cimabue o alla Masaccio, e con un Mose dai raggi di luce sul capo: folle di uomini riempiono lo spazio e capre e asini stanno nel cielo viola quasi nero. «Con questa mostra ho l'ambizione di illustrare la specificità di Chagall dice la curatrice Sylvie Forestier, che dirige il Museo Chagall di Nizza -. La sua caratteristica continua è la fedeltà alla memoria, cioè Vitebsk e la Bibbia. Si riteneva un inviato di Dio». Tre autoritratti sono la sintesi di quadri e vita di Chagall. Nel primo, del 1908, c'è solo il suo volto. Non si sa che cosa faccia. Nel secondo, del 1914, c'è lui con il pennello in mano, ma la tela è bianca. Nel terzo, datato fra il '59 e il '68, il capo di Chagall diventa un nido su cui si posano un gallo dalla cresta color corallo e una sposa. E l'ultima opera si intitola Verso l'altra luce. C'è un pittore che dipinge: sulla tela si affacciano due sposi, la sposa sembra uscire dal quadro per offrirgli un mazzetto di fiori. Il pittore ha le ali e sopra di lui un angelo gli pone una piccola corona di fiori sul capo. E' una litografia a colori. Nel pomeriggio del 28 marzo 1985 il pittore la licenzia e poche ore dopo muore. Claudio Al tarocca Dall'amore per Bella Rosenfeld al matrimonio con Valentine. L'attacco ai cubisti: «Mangino le loro pere quadrate» li Due capolavori di Marc Chagall: sopra, «L'ebreo rosso», del 1915. A sinistra, «Parigi dalla finestra», dipinto del 1913