L'amaro sfogo di Valpreda «Bettino, io ti denuncio»

L'amaro sfogo di Valpreda «Bettino, io ti denuncio» Dopo le accuse di Craxi ad anarchici e a un «giudice comunista» per piazza Fontana L'amaro sfogo di Valpreda «Bettino, io ti denuncio» LA BOMBA ALLA BANCA DI MILANO MILANO. Si massaggia un piede, la testa. Si alza. Gira in tondo e si risiede: «Tornerà sempre quel passato. Lo so. Ci ho fatto il callo mentale. Ecco, vede, Piazza Fontana è il nodo di questa Italia, è dove la nostra Storia svolta. Quei sedici morti, quei centomila nomi coinvolti e gli anarchici e i fascisti e i servizi segreti e lo Stato e i giornali e i processi senza verità: tutto comincia da lì, da Piazza Fontana, 12 dicembre 1969. E io? Io per un verso e per l'altro ci continuerò a inciampare. Sinché campo. Uè, sarà che sono un predestinato, sarà che sono sfigato, ma è così. Però mi incazzo. Questa volta mi arrabbio davvero e Craxi lo denuncio». E' nero d'umore Pietro Valpreda e bianco di capelli. Gambe incrociate, faccia secca, pelle abbronzata, magro. Anni? Una sessantina. «Quanti sono davvero non lo dico. Troppi». Se ne sta, l'anarchico ballerino, in fondo al corridoio della libreria Utopia, cerca una sigaretta: «Ma si può? Non è che il Bettino Craxi l'abbia detto a un festivalino di Legnano, no, è andato a Berlino, si è seduto in trattoria con tutti i giornalisti d'Italia, si è stappato ima bottiglia di vino del Reno e avanti, si è messo a raccontare del Valpreda che ha messo la bomba nella banca. Ah, sì? E come si permette? Non lo sa che ho fatto sei processi? Che sono 23 anni che combatto? Che ho passato tutti i gradi di giudizio? Che i giudici alla fine hanno scritto: Valpreda è innocente? Innocente!». Come se la spiega l'uscita di Craxi? «Gli sta crollando il mondo sotto ai piedi per via dell'inchiesta Mani pulite. Lui vuole colpire il giudice D'Ambrosio che oggi si occupa dell'inchiesta e che allora indagò sulla morte di Pinelli. Già che c'è butta fango su tutto il resto: su Pinelli e su di me. A lui cosa gliene frega? Noi siamo delle nullità, tanto è vero che neanche si informa per bene. Ha detto che il giorno della strage era un mercoledì. Sbagliato: era un venerdì». Craxi dice che lei collocò la bomba e che Pinelli ebbe un ruolo nell'attentato. «Quello che mi fa più rabbia è l'offesa a Pinelli che è stato ammazzato e non si può difendere. Neppure imo come Almirante, il segretario dei fascisti, era mai arrivato a dire una bestialità del genere». Come ha avuto la notizia delle rivelazioni berlinesi? «Per telefono. Mi hanno chiamato nel pomeriggio. Subito ho pensato: no, non è possibile». Cosa ha provato? «Sfinimento. Un senso di vuoto, di stanchezza. Io sono anarchico, so cosa vuol dire essere un perseguitato, non mi arrendo facilmente, ho fatto fronte a tutto: galera, infamia, processi. Però c'è un limite». Crede che tutto ricomincerà da capo? «Ma no! Spero di no... Accidenti, non si sa mai». Non ne è tanto sicuro? «Guardi sono sicuro di una cosa sola: che Craxi sta buttando via un patrimonio che era anche dei socialisti, una battaglia che gente come Lelio Basso, Sandro Pertini, Francesco De Martino, Giuliano Vassalli, ha combattuto in mia difesa. Vuole sapere una cosa? Piazza Fontana è stata l'inizio del mio inferno, e va bene, quelli sono cavoli miei. Ma per l'Italia democratica è stata una bandiera, l'inizio di una consapevolezza contro le menzogne di Stato. E Craxi sta buttando tutto nel forno». Ha sentito la vedova Pinelli? «Sì, ci siamo chiamati subito. La Licia è furibonda. Anche lei denuncerà Craxi per diffamazione». Che effetto le fa parlare di Piazza Fontana? «E' come parlare di me. La mia storia e quel 12 dicembre sono una cosa sola. Ci ho pensato migliaia di volte, ci penserò altrettante». Ancora con angoscia? «Ancora con rabbia». Quali sono i primi fotogrammi che le tornano in mente? «I primi? Io sulla macchina della polizia che corre in autostrada verso Roma. E' il pomeriggio del 15 dicembre 1969, al tramonto, non so ancora di cosa mi accusano, ma sento una tensione fortissima intorna a me. E poi mi rivedo una dozzina di ore dopo, quando aprono la porta, alla sera tardi, nel Tribunale di Roma, e mi assale la folla dei giornalisti. Vedo i lampi dei fotografi, sento le spinte, la ressa, le grida. Io, Pietro Valpreda, sono diventato il mostro». La mattina del 15 lei era stato convocato dal Tribunale di Milano. «Mi avevano chiamato per una stupidata: un volantino contro il Papa. Mia zia Rachele mi aveva detto: non andare, manda gli av vocati. Se le avessi dato retta, magari cambiava tutto...». Invece quella stessa matti na, al quarto piano del Tri bunale, il tassista Cornelio Rolandi fa la sua testimo nianza. «Eh già. Il Rolandi! Mi ha sempre incuriosito quell'uomo che è stata la mia rovina. Mai cono sciuto, e mi dispiace. Quando so no uscito di galera, dopo 3 anni e 15 giorni, lui era già morto da un pezzo, portato via da una cirrosi epatica. Ho parlato con un paio di suoi amici tassisti, sono andato a vedere la casa dove abitava, giù alla Barona. Ho cercato di capire, di spiegarmi...». E ha capito? «Mah. Nella testa delle gente non si entra, ed è anche diffici le capirne il cuore. Lui la taglia di 100 milioni per avermi incastrato l'ha incassata... Venne a Roma per il riconoscimento. I giudici Vittorio Occorsio e Ernesto Cudillo mi avevano messo in mezzo a quattro poliziotti pulitini e ben vestiti. Io non dormivo da cinquanta ore, ero sporco, avevo la barba sfatta. Lui, il Rolandi, mi puntò il dito contro e disse quella frase famosa: "L'è lu'!", è lui! Poi sull'aereo del ritorno, alla hostess disse: oggi ho vinto la lotteria». Del carcere cosa ricorda? «Tutto. I primi tre mesi di isolamento e poi le facce di quelli che ho conosciuto dentro alla galera. Ricordo le centinaia di lettere, gli articoli dei giornali...». E' vero che ha buttato via tutto? «Sì. Avevo tre casse piene di ritagli, fotografie, libri. Il passato mi assedia, io cerco di aprire qualche breccia». Le capita di incontrare chi si è battuto per lei in quegli anni? «Vedo qualche volta la Camilla Cederna, oppure Franco Fortini, ma così, per caso. Incontro i giornalisti che allora erano dei giovani cronisti d'assalto come il Marco Nozza del Giorno o Corrado Stajano o il Flamini di Avvenire. Di certe cose ho nostalgia». Da quanto tempo non entra più in un Tribunale? «Mica tanto. La parola fine è stata scritta nel 1990, dopo 21 anni». E in una questura? «Ci sono stato a luglio, prima di partire per Creta. Dovevo rinnovare il passaporto che mi hanno restituito tre anni fa. Mi hanno detto: torna tra una settimana. E perché? ho chiesto. Perché tu sei Valpreda, e con i tuoi precedenti dobbiamo fare i controlli. Un po' mostro lo rimarrò per sempre». Pino Corrias «Vuol colpire il magistrato che si occupa di tangenti» Dicembre '69 La Banca Agricoltura dopo l'esplosione dell'ordigno Pietro Valpreda. Nella foto piccola, all'epoca della strage di piazza Fontana

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