Siamo un popolo di malmangianti

Siamo un popolo di malmangianti Dietro la firma di Fermo Verdecchio, Ceronetti attacca i nostri costumi alimentari Siamo un popolo di malmangianti Politici e manager come i malavitosi wITALIANI malmangianti, I tutti uniti nell'abiezione: I governanti, governati e I magistrati; assassini, ma—S lavitosi e trafficanti d'armi. Così si leggeva ieri nella quotidiana citazione-meditazioneawertimento-accusa, che Guido Ceronetti, con apocalittica raffinatezza, offre da due anni ai lettori sulla prima pagina de La Stampa. Firmato, questa volta, non Machiavelli, Leopardi o Flaiano, ma Fermo Verdecchio, autore di ignoto quanto significativo pamphlet intitolato Più disgusti che gusti. Ma chi è l'autore di queste 22 righe? Un po' swiftiane, ma soprattutto molto ceronettiane che recitano: «L'italiano ha la presunzione di mangiar bene, ma non è così. E' un orfano di salute, mangiante male e in eccesso. I suoi rappresentanti politici, i suoi magistrati ne rispecchiano le abitudini alimentari esasperandole a volte: il caffè ristretto e schiumoso, il cornetto indigeribile, la tribale pizza, le turpi lasagne, le bevande gassate e fredde, il pane allo strutto, il latte macchiato, le gommose mozzarelle, condimenti insensati e il pomodoro crudo verde. Non diversamente mangia la malavita, gli assassini, i trafficanti d'arme...». E la «citazione» conclude: «Governanti, governati e fuori legge formano in Italia un'unica nazione di malmangianti dal profilo civile smascellato: per tanti sbagli e delitti c'è anche ima causa alimentare...». La decrittazione del «rebus» non sembra difficile. Fermo è una bellissima cittadina delle Marche, zona ancora per certi versi mccnteminata. Per Verdecchio l'assonanza è lampante con Verdicchio, l'ottimo vino dal sapore virgineo che troppo spesso arriva sulle nostre tavole distrut- to. Quanto a «più disgusti che gusti» Ceronetti ce ne parla da sempre, da par suo. E allora? Facciamo conto che il portatore di «delizie» altrui questa volta si sia impegnato personalmente. I conti tornano. Tanto più che le 22 righe hanno fatto discutere. Ne diamo qualche flash. «Sottoscrivo - dice Folco Portinari, scrittore e studioso di gastronomia -. Tutto è finito con il Rinascimento. L'Italia è il Paese nel mondo in cui si mangia peggio, si paga di più, regna la furbizia. D'altronde è difficile che camminino insieme l'incultura e la buona cucina. Certo, l'Italia gastronomica è la fotocopia dell'Italia politica, della sua volgarità. Certo, i mafiosi mangiano come i politici perché sono loro i politici». Che fare? «Lo sciopero della fame, come i milanesi nel '48 contro gli austriaci...». Giovanni Nuvoletti manda al «signor Verdecchio» un triplo messaggio: «Se Ceronetti parla della tavola in senso proprio, lo invito a: 1°) giudicare l'uso dei fagioli da noi, in Toscana, rispetto a quello fatto dai messicani; 2°) dirmi che cosa può essere il bello e il buono più d'una sublime cassata siciliana. Se il verbo mangiare lo intende invece in senso traslato, il suo pessimismo è rose e viole di fronte alla mia disperazione per il nostro Paese». Il profeta della nouvelle cuisine italiana, Gualtiero Marchesi, ora inventore della «cucina globale», giudica potenti e parvenu, inappetenti e abboffati: «Siamo quello che mangiamo... E mangiamo male. Sembrerà un'affermazione delittuosa, ma sono gli inglesi quelli che mangiano meglio. Mangiar bene è mangiare m marnerà salutistica, invece mangiamo ancora da "ricchi", è il retaggio della nostra antica povertà. Non abbiamo leggi e tradizioni abbastanza antiche. Ogni italiano dovrebbe im¬ parare a chiedersi sempre se ciò che sta facendo è corretto...». {(Assassini, governanti, camionisti, tutti mangiano in fretta; ma non si mangia male». Edoardo Raspelli difende il «buon mangiare italiano», certe trattorie nascoste, l'agriturismo. «Purtroppo - ammette - non ci sono più contadini che danno del tu al maiale allevandolo. E manca la conoscenza. In Francia i bambini studiano gastronomia». Il malmangiare infetta anche i manager? Assolutamente no, giurano esperti delle pubbliche relazioni di Milano, Venezia, Roma, Torino: «Chiedono pasti leggeri, e lo conferma l'aumento di ristoranti specializzati in piatti di verdure. Il manager vuole un po' di verdura o una bistecchina a colazione, un primo e il vino la sera: a mezzogiorno, il massimo dello sfizio è l'acqua con le bollicine anziché la naturale». E i governanti? I politici? Di alcuni si raccontano terrificanti abboffate, scomposti andirivieni tra ciliegie e aragoste. Molti però sembrano avviati alla morigeratezza. Ancora gli esperti di pub¬ bliche relazioni: «Le cene preelettorali diventano più sobrie, l'alcol sempre più escluso». Ceronetti chiama in causa delinquenti e magistrati. E' sorpreso e divertito Francesco Marzachi, procuratore aggiunto della Repubblica a Torino, candidato alla Superprocura: «Che gli italiani mangino male è realtà. Chi è attento passa per un tipo strano. Ma non capisco la scelta di categorie, politici, magistrati, delinquenti. A meno che Ceronetti non abbia tali frequentazioni da conoscerne a fondo le abitudini, malavita compresa». Mangia davvero male la malavita? Un agente di servizio alla cella di Raffaele Cutolo, ad Asco¬ li Piceno, fu colpito dal lusso dei suoi pasti. «Non so che dire dell'interno del carcere, ma la vita fuori, quella dei malavitosi è una cultura alimentare becera, fatta di abbondanza», dice Luca Rossi, autore di tre libri sul mondo del crimine organizzato: Camorra dell'82, Arrivederci mafia dell'86 e, recentissimo, I disarmati (Falcone, Cassarà egli altri). Rossi è vissuto a lungo nelle terre dei boss. Dice: «La tavola è un momento di coagulazione sociale, ma in queste regioni non ci si mette a tavola per parlare: ci si ingozza. Il cibo è preparato con grandissimo amore, è buono, ma si vedono mandar giù quantità di grassi e di zuccheri al di là dell'immaginabile. Si socializza deglutendo, ciò che conta è l'abbondanza». Mario Soldati, il patriaca goloso della nostra letteratura, si diverte: «In Italia, specie nelle piccole città, si mangia come si deve. Ci sono tante cose oneste, perfino il vino. Caro Ceronetti, se tutto da noi andasse come il mangiare, si andrebbe benissimo...». A CURA DI Mirella Appiotti Marco Neirotti Gastronomi e grandi cuochi sono d'accordo Soldati dissente: «Se in Italia tutto fosse come in cucina, andremmo benissimo» Gastronomi e grandi cuochi sono d'accordo Soldati dissente: «Se in Italia tutto fosse come in cucina, andremmo benissimo» o. Quanto a «più disgusti che gusti» Ceronetti ce ne parla da empre, da par suo. E allora? Facciamo conto che il portatore di «delizie» altrui questa volta si ia impegnato personalmente. I onti tornano. Tanto più che le 22 righe hanno fatto discutere. Ne diamo qualche flash. «Sottoscrivo - dice Folco Porinari, scrittore e studioso di gatronomia -. Tutto è finito con il Rinascimento. L'Italia è il Paese nel mondo in cui si mangia peggio, si paga di più, regna la furbiia. D'altronde è difficile che amminino insieme l'incultura e a buona cucina. Certo, l'Italia gastronomica è la fotocopia del'Italia politica, della sua volgaità. Certo, i maiosi mangiano ome i politici perché sono loro i iii h f bliche relazioni: «Le cene preelettorali diventano più sobrie, l'alcol sempre più escluso». li Piceno, fu colpito dal lusso dei suoi pasti. «Non so che dire dell'interno del carcere, ma la vita fuori, quella dei malavitosi è una cultura alimentare becera, fatta di abbondanza», dice Luca Rossi, autore di tre libri sul mondo del crimine organizzato: Camorra dell'82, Arrivederci mafia dell'86 e, recentissimo, I disarmati (Falcone, Cassarà egli altri). Rossi è vissuto a lungo nelle terre dei boss. Dice: «La tavola è un momento di coagulazione sociale, ma in queste regioni non ci si mette a tavola per parlare: ci si ingozza. Il cibo è preparato con grandissi A lato Giovanni Nuvoletti. Sotto Raffaele Cutolo: celebri i suoi pranzi in carcere. In basso a sinistra Luca Rossi