Il Sud parte alla riscossa di Maurizio Assalto

Il Sud parte alla riscossa Un saggio di Giovanni Russo controbatte le tesi di Bocca Il Sud parte alla riscossa Contro i «nipotini di Lombroso» EA riscossa del Sud contro il Nord «razzista» parte da un attacco agli opinion maker settentrionali: aiuto, sono tornati i nipotini di Lombroso. All'inizio del secolo due seguaci dell'antropologo torinese, Enrico Ferri e Alfredo Niceforo (bel nome di schietta origine meridionale), con una serie di studi e di misurazioni craniche avevano stabilito su basi «obiettive» l'inferiorità razziale degli italiani del Sud. Una teoria priva di valore politico e culturale, e anche scientificamente insostenibile, come sarebbe presto risultato chiaro. Eppure i pregiudizi persistono, e in anni di leghismo tambureggiante, stragi mafiose, Repubblica sull'orlo del collasso, riprendono slancio. «I "nipotini di Lombroso", invece di riflettere sulle ragioni profonde dei mah del Mezzogiorno, hanno preferito intonare filippiche e muovere accuse, generando l'impressione che il termine "meridionale" ormai si identifichi con la criminalità, il malaffare, la corruzione». La denuncia parte da Giovanni Russo, giornalista da sempre attento ai problemi del Sud, e compare in un libro che uscirà a fine mese da Sperling & Kupfer: titolo I nipotini di Lombroso, sottotitolo Un atto d'accusa contro la nuova cultura antimerìdionalista. Una risposta e anche una sfida editoriale all'Inferno di Bocca, requisitoria contro i mah del Sud che da qualche giorno fiammeggia in vetta alle classifiche di vendita. E' Bocca il capofila dei «nipotini»? Giovanni Russo esita un po', ma alla fine non può tirarsi indietro: nel libro ci sono i nomi, e quello è di gran lunga il più ricorrente, sebbene sia preso di mira soprattutto per La disunità d'Italia, che è del '90: «Rispetto a allora, ha in parte rivisto le sue posizioni. Prima se la prendeva con i meridionalisti, oggi se la prende anche con i meridionali. Ha un atteggiamento paternalistico, sembra un viaggiatore dell'800 che scopra il folclore. Intendiamoci, si vede che c'è A sinistra Giorgio Bocca, a destra Domenico Rea. In basso Cesare Lombroso, promotore dell'antropologia criminale La questione è solo «meridionale»? Il parere di politici studiosi e scrittori molto rammarico nelle sue pagine, però non identifica chiaramente le cause del disastro». Per Bocca le accuse si moltiplicano. Domenico Rea, scrittore, incalza: «Ho scritto venti libri su Napoli, migliaia di articoli, sono napoletano da 5000 anni: resto sempre molto sorpreso quando arriva un giornalista dal Nord che in pochi giorni, o in pochi mesi, pretende di scoprire quel che io non ho visto in 72 anni». E lui, l'«Antitaliano», l'implacabile fustigatore del nostro malcostume, come si vede nella nuova veste di «Antisudista», satanasso della gente da Firenze in giù? Giorgio Bocca non si scompone: «Non ho la minima pretesa di avere capito, di dare soluzioni, e infatti uno dei capitoli centrali dell'In/erno si intitola "Enigma Sicilia". Credo di essere molto più amato e popolare nel Meridione del mio amico Russo, perché tutti quelli che combattono contro la mafia si sentono molto più aiutati da un uomo di battaglia come me che non da un letterato vecchio stile come lui. Ho ricevuto centinaia di lettere e inviti per tenere dibattiti al Sud. Per decenni chi criticava il Meridione veniva considerato un reazionario fascista: sono cose che andavano di moda quando c'era il pei. Adesso si può dire che se il Sud è in queste condizioni, è anche per un problema di cultura: perché non c'è una tradizione di cura per il bene comune, si apprende col latte materno la filosofia del "fatti gli affari tuoi che i potenti ti fregano". Prendiamo la provincia di Cuneo: se non avesse avuto una lunga tradizione democratica, mantenuta anche sotto i Savoia, non avrebbe saputo riprendersi dalla crisi economica con la creazione di piccole industrie, cooperative di agricoltori; avrebbe chiesto sussidi e sarebbe finita nel sottosviluppo. Giovannino deve prenderne atto: sono finiti i tempi del meridionalismo piagnone». Piagnone io? Russo contrattacca: «Io mi rifaccio alla grande tradizione di Giustino Fortunato, che intendeva la soluzione del problema meridionale come un completamento dell'Unità d'Italia, a Gaetano Salvemini, così critico verso la borghesia napoletana, al mio amico Francesco Compagna. Niente a che vedere con u "sudismo", l'atteggiamento vittimistico di chi vagheggia un luminoso passato borbonico assolutamente immaginario. Dal sudismo è nato il laurismo». Sì, dice Bocca, però il vostro è un atteggiamento che non porta da nessuna parte: «E' un meridionalismo di minoranza che deve convivere con il meridionalismo di maggioranza dei ladroni. In fondo, è la premessa alla politica degli interventi straordinari». Gli aiuti a pioggia distribuiti al Sud hanno creato una spirale perversa di clientelismo, corruzione, collusioni fra politici e mafia. Su questo sono tutti d'accordo: anche Bocca, anche i leghisti. Ma sono molto diverse le soluzioni proposte. Sentiamo il sen. Marcello Staglieno, fedelissimo di Bossi. Secondo lui «solo lo Stato federale, eliminando la mediazione del centralismo romano, potrà garantire che gli aiuti siano distribuiti al Sud in maniera mirata. Non vogliamo certo abbandonare il Meridione: noi non siamo antimeridionali, siamo contro la mafia». E anche per Bocca una forma di federalismo è l'unica via possibile. Secondo Russo, invece, proprio al movimento di progressiva autonomia regionale, con ij conseguente allentarsi del controllo statale, va ricondotto il boom della corruzione al Sud. E non solo: Tangentopoli dimostra che il problema è di tutta l'Italia. Per- Marcello Staglieno, della Lega, e a sinistra Giovanni Russo. Nella immagine grande contadini meridionali ciò più che di «questione meridionale» si deve ormai parlare di «questione italiana». Giuseppe Galasso, professore di storia a Napoli e deputato repubblicano, concorda: «Temo anch'io che il regionalismo sia per la classe politica un modo di recuperare nella periferia ciò che sta perdendo al centro. Rimango dell'idea che la causa del progresso, delle riforme, della modernità sia assolutamente trasversale, e a questa trasversalità bisogna far corrispondere l'impegno culturale e civile del Nord come del Sud». Ma come si può essere ottimisti, dice Bocca, «se per esempio il partito socialista commissaria cinque volte la federazione della Calabria, senza mai curarsi di cambiare i dirigenti: ora di tutti si sta occupando il giudice Cordova. Questo indica che non c'è la volontà di cambiare». E poi ci sono i pregiudizi, il rinascente razzismo che accomuna meridionali e extracomunitari. L'antropologo Alfonso Di Nola rifiuta il concetto stesso di razza: «Scientificamente non ha senso. Deriva dall'arabo, dove indica il pedigree dei cavalli. E' un termine di origine veterinaria, applicato per la prima volta agli uomini - non a caso da Gobineau. Non si può negare che i fondamenti antropologici degli italiani siano molto differenti, per effetto di una storia molto complessa. Non esiste "una" Italia, ma non ne esistono nemmeno tre, come vorrebbe la Lega: ce ne sono infinite». Dividere l'Italia? «Così la situazione peggiorerebbe. La secessione è concepibile come una condanna, non come una proposta», dice Bocca. «E che cosa sarebbe stata da sola la Lombardia? - si domanda Russo -, Un'appendice dell'impero austro-ungarico. E il Piemonte? Uno staterello militare». Secessione? «E perché no? - azzarda Rea -. Io sono per la Repubblica del Sud». Dice sul serio? «Ma no! Non sono mica pazzo...». Maurizio Assalto