Dimmi l'ora e ti dirò chi sei

Dimmi l'ora e ti dirò chi sei Orologio in mostra: che cosa ci ha lasciato il ciclone Swatch Dimmi l'ora e ti dirò chi sei Bene rifugio, status symbol, moda e look —1| MILANO 7 E'un delfino su quadrante azzurro, o un koala o un panda in una serie de- dicata agli animali che scompaiono. C'è in oro la rotta di Colombo, e le lancette sembrano ali d'aereo. C'è l'orologio da 13 grammi in sughero con cassa caleidoscopica e c'è l'orologio da 185 milioni (il Pasha Ripetizione di Cartier). I devoti tornano dal Salone internazionale dell'orologeria a Vicenza (chiude oggi) e annunciano: sugli scudi svetta l'orologio meccanico con la rotellina che dà la carica come una volta; l'orologio diventa sempre più un bene-rifugio per crescenti schiere di collezionisti. «Gh italiani sono leader nel gusto. Stilisti e costruttori provano da noi le reazioni del mercato»: parola di Augusto Veroni, direttore di L'orologio, mensile neonato. «Il collezionismo ripete i fasti del Settecento - assicura Omar Calabrese, presidente dei semio- logi italiani -. Si costruivano modelli con pendoli che imitavano pianeti rotanti e suonerie per le ore della preghiera musulmana. L'orologio è sempre stato simbolo di modernità e sapienza tecnologica: fin dal Medioevo, quando l'Occidente scoprì la misurazione scientifica del tempo e batté l'Oriente. E' grazie all'orologio che si inaugura la vera organizzazione del lavoro. Storici come Cipolla l'hanno dimostrato». Per Giampaolo Fabris l'orologio è specchio dei cambiamenti sociali. Dopo il boom degli Anni 50 e 60 (l'orologio come battesimo di contemporaneità industriale), e dopo il rigetto del '68 e del '77 (l'orologio come segno di schiacciamento e alienazione), ecco l'ondata dei digitali giapponesi spazzati via quasi subito dal ciclone Swatch. L'effetto Swatch si ripercuote sull'intero settore, lo stravolge. L'orologio diventa un accessorio di moda, è come una cravatta o un foulard. Prima era serissimo, ora è un trionfo di colori, crea look, si sposa con gli stati d'animo, se ne possiede più di uno (quello per l'ufficio, quello per il footing o il golf, quello da notte e così via). L'orologio non è neanche più un orologio. E' una bandiera, un manifesto di sé, un'esibizione di status sociale e di potenza economica che seduce come una Ferrari. Si va verso l'abolizione del quadrante, o lo si decora. Si svelano i labirinti nascosti. «Ci si accontenta di vedere un'ora approssimativa, come la meridiana d'una volta. Da un tempo sempre più veloce (faccio tante cose in fretta) si passa a un tempo rallentato (scelgo, faccio meno cose ma meglio). E' una svolta epocale: dopo un secolo di inni futuristi alla velocità e al dinamismo siamo all'elegia del tempo quieto. Una tendenza che vedo anche in altri settori di consumo. Chi mangia al volo un panino è guar- dato come un disgraziato nevrotico: adesso ci si vuol sedere attorno a un tavolo. E nella moda si chiede agli stilisti di fare meno collezioni e di dedicarsi di più ai capi di base». E' vero tutto questo? Sì per il pittore Ugo Nespolo, che sta disegnando modelli Swatch: l'orologio è un oggetto da riscattare con un raggio estetico. Dice: «Tutte le cose per me diventano figurine, giocattoli. Un modo per tenerle sotto controllo, per gio- care, per fare del mondo un ambiente votato alla contemplazione divertita e disinteressata. Era il sogno delle avanguardie. Giocando esorcizzo il caos, la fine, la morte». E sì per lo scrittore Renato Olivieri: «Supero l'angoscia del tempo vedendo nell'orologio la bellezza. Odio i digitali, perché l'orologio è un gioiello: se non avessi timore di offuscare la mia immagine virile indosserei bracciali e monili... Ho trasmesso la passione per gli orologi al mio commissario Ambrosio. E poi per un giallista il tempo è sinonimo di suspense». In città al polso porta un modello raro che «non rovina i polsini delle camicie». Alberto Bevilacqua, nel clima del suo romanzo I sensi incantati: «Il corpo è dentro l'orologio, che risente delle tue energie. Io guardo l'ora e tremo. Mi difendo dal tempo capendolo: ha una coscienza, è sempre testimone. Mi ci adagio, mi adeguo». [c. a.] Fabris, Nespolo, Olivieri e Bevilacqua: «Io e il tempo» Giampaolo Fabris

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