Ve la illustro io l'America

Ve la illustro io l'America Lugano riscopre Thomas Benton, il «pittore regionalista» del Missouri Ve la illustro io l'America Dall'epica della conquista alla Depressione 1| LUGANO 7 AVEVANO dimenticato, messo in magazzino. I Thomas Hart Benton, «il —U migliore maledetto pittore d'America» come lo definì Truman, trionfatore negli Anni Trenta su una copertina del Time, regionalista, realista al confine dell'illustrazione, ora riemerge dalla polvere. E' un pezzo di storia (nato nel 1889 nel Missouri, sepolto a Kansas City nel 1975) che alcuni critici rivalutano. Dicono perfino che il suo allievo Jackson Pollock, alfiere dell'espressionismo astratto, del colore sgocciolato sulla tela come su un mondo incerto, ha preso qualcosa da lui: le tonalità brillanti, i ritmi energici, i grandi formati. Eppure Benton non aveva fatto nulla per procurarsi amici. Diceva: «La vecchiaia è una cosa meravigliosa: sopravvivi ai tuoi nemici». L'etichetta di «superato»? Ribatteva: «L'unico modo in cui un artista può fallire personalmente è smettere di lavorare». Era un populista, tuonava contro i mostri sacri della modernità, definiva Picasso «l'esempio più completo di decadenza artistica», se la prendeva con il «terzo sesso», affermando che i musei americani di solito erano diretti da «un ragazzo carino con i polsi delicati e un leggero sculettìo». E proponeva di appendere i suoi dipinti nei bar e nei bordelli. Ora l'onda della riscoperta ma non si riscopre oggi anche il realismo socialista? - l'ha portato alla ribalta anche in Europa. Dopo una mostra itinerante in quattro musei americani un'ottantina di opere sono approdate (fino al 15 novembre, catalogo Electa) alla Villa Malpensata di Lugano. Antologia interessante, dagli Anni Dieci agli ultimi dipinti, dove appare la visione di un artista ispirato soprattutto dall'America della Grande Depressione e del New Deal. Figlio di un avvocato dedito alla politica, Benton respira in famiglia una miscela di retorica e gusto per la storia. Va alla libreria del Congresso a sfogliare volumi, lo attraggono quelli con grandi illustrazioni, magari raffiguranti le lotte con gli indiani e la sconfitta del generale Custer. Studia a Chicago, ma si spinge a Parigi per qualche anno a nutrirsi di moderni fermenti come testimoniano qui alcuni dipinti: Tetti di Parigi (1908), Castagno controluce (1910), La riserva di pesca (1912). Vi aleggiano gli impressionisti, il divisionismo di Signac, lo stile fauve. C'è anche una Natura morta costruttivista (1917), .qualche composizione astratta, un Upper Manhattan (1917) dai piani fluttuanti che rivela tracce cubiste. Poi Benton si avvia a un nuovo stile che è la ricerca di figure scultoree, messe insieme in sequenze ritmiche, con un senso di profondità accentuato dal colore. Elabora schizzi, si serve di modelli in creta per organizzare meglio le forme, legarle tra di loro, ottenere effetti tridimensionali. Il che sboccia in un grande olio su tela, Gente di Chilmark (1922), prova di virtuosismo, vortice di uomini e donne nello spazio. , Ma sarà questa la strada che l'artista percorre con l'ambizione di fare una grande pittura murale. Il soggetto? La storia degli Stati Uniti dalla scoperta ai tempi moderni narrata senza eroi o miti, ma con la vita di tutti i giorni. Nasce così The American Historical Epic di cui la mostra offre alcuni pannelli. Ecco la predica del missionario, l'aggressione agli indiani, una loro rappresaglia (Retrìbution, 1919), la posa delle palizzate davanti ai nativi attoniti, una battaglia [Stì-uggle for lite Wilderness, 1924-1926), i contadini che seminano mentre il pellerossa guarda con la bottiglia di whisky in mano. Composizioni luminose, dalle forme monumentali e dinamiche, ma con espressioni talvolta un po' stereotipate. E' una tecnica che trova lentamente se stessa e cerca un alito interiore. Benton vi aggiunge anche un soffio di critica sociale: Slaves (1924) raffigura una fustigazione di negri, Religion (1924) met¬ te in scena una bella giovane che va alla forca accusata di essere una strega da una donna brutta che campeggia in primo piano. Ma una nuova inquietudine strappa l'artista ai cliché della storia, lo sospinge con il taccuino per le praterie, tra i villaggi di montagna, lungo i fiumi. Va alla ricerca della scena (o dell'anima?) americana. Scopre pozzi petroliferi, miniere, campi di cotone, scopre la fatica di operai, contadini, cowboys. Un'epopea popolare, raccontata per un decennio, di cui spiccano qui alcuni momenti: New York Oggi (1927), Segheria (1927), Caricamento del bestiame (1928). In questi due ultimi dipinti compare il treno sbuffante, ma come strumento del lavoro umano, senza le inquietanti solitudini che ispiravano Edward Hopper. Boomtown (1928) è il ritratto di una città nata all'improvviso (in sessanta giorni trentamila abitanti) attorno a un giacimento petrolifero. C'è movimento, profondità della scena, energia cromatica e un tocco naif. Benton diventa famoso, gli affidano pitture murali, lo considerano un campione dei solidi «valori americani». Lui stesso ammette di cercare composizioni tridimensionali, piani che avanzano e retrocedono, colori brillanti, ma anche «significati americani». Crede nelle riforme, nella storia fatta dal popolo. Ma poi con l'offuscarsi del New Deal e l'esplosione della guerra tramonta anche la sua cronaca sociale. Disegna scene mitologiche, ritratti e paesaggi un po' espressionisti. La mostra propone Persefone, un olio su tela del 1939 dominato da un plastico nudo di donna, simile a una pin-up, con capelli corti e tacchi a spillo: a insidiarla spunta Plutone in veste di un rozzo montanaro appena sceso dal carro. Opera intensa, quasi iperreale, ricca di contrasti, scenografica. E con un po' di suspense: ci sarà violenza? Per interpretarla hanno evocato anche un trauma infantile di Benton: lui raccontava che era spesso svegliato dalle urla della madre, bella e giovane, riluttante alle effusioni sessuali del marito più anziano che forzava la porta della camera da letto. L'ispirazione sociale riaffiora con un lampo nel 1941, quando si scatena l'attacco giapponese a Pearl Harbor: ne scaturisce una serie di otto immagini The Year of Perii, violenta condanna della guerra. Ne sono esposte tre: Di nuovo (1941), uomini mostruosi con vessilli nazisti e nipponici che trafiggono un Cristo, Soldato Negro (1942) e I seminatori (1942) dove il «pericolo giallo» cosparge la terra di teschi. Sono cartoni propagandistici, hanno qualcosa del fumetto grottesco (presagio pop?), vengono diffusi in milioni di copie, dai manifesti ai francobolli. E' l'ultimo guizzo di popolarità, poi Benton invecchia in disparte, con i suoi paesaggi sempre più interiorizzati, scossi da un vento emotivo: Fuoco nell'aia, La morte e il tagliapietre, Il pastore (1960). Il regionalismo è morto e sepolto. Ma questa rassegna illumina un'importante testimonianza, invita a riflettere sui diversi significati di un'opera. E lui, Benton, appare ancora orgoglioso in un autoritratto del 1970, con pennelli, camicia a quadri e sguardo di sfida. Peccato che avesse la fama di forte bevitore: questa immagine è finita sull'etichetta di un «bourbon». Ernesto Gagliano Ascesa e caduta di un «antimoderno» che voleva esporre in bar e bordelli In alto un autoritratto di Thomas Hart Benton (1970) e un pannello della sua storia epica dell'America: «Territorio di caccia perduto» (1924) Qui accanto: «Boomtown» (1928)