La Spagna non restituisce il boss Natale Rimi di Gian Antonio Orighi
La Spagna non restituisce il boss Natale Rimi Madrid, per il tribunale non ci sono prove sufficienti che si tratti di un elemento mafioso La Spagna non restituisce il boss Natale Rimi Cognato di Gaetano Badalamenti, fu interrogato da Falcone MADRID. Per la seconda volta in soli due anni, la discussa Audiencia Nacional di Madrid l'unico tribunale spagnolo che si occupa di terrorismo, estradizioni, reati valutari e narcotraffico - non ha concesso l'estradizione del presunto mafioso Natale Rimi, cognato del boss Gaetano Badalamenti, che la giustizia italiana aveva richiesto perché accusato di narcotraffico. L'Alta Corte, giovedì scorso, ha dato ragione all'avvocato di Rimi, il quale ha sostenuto con successo che le accuse del pentito mafioso Mariella «non sono vere». Natale Rimi è stato arrestato due volte. La prima nel marzo del '90, ad Alcudìa, nelle Isole Baleari, dove vive da anni. La giustizia italiana lo accusava di appartenere a «Cosa Nostra». Otto mesi dopo, l'Audiencia Nacional lo rilasciava «per mancanza di prove». Secondo tentativo lo scorso febbraio. Questa volta l'accusa aveva una base solida: le rivelazioni di Manolla, attualmente negli Usa, e di Antonio Calderone, un altro pentito. Rimi era incolpato di essere responsabile di uno «sbarco» di 100 chili di morfina base - che poi si sarebbe trasformata in eroina - a Trapani, nel '77, e di un omicidio. Ma le argomentazioni dell'avvocato di Rimi, secondo cui la polizia italiana si è basata solo sulle dichiarazioni dei pentiti, sono valse più delle nostre. E nonostante il Rimi, nei mesi scorsi, avesse ricevuto la visita, nientemeno, che di Giovanni Falcone nel carcere madrileno di Carabanchel, che ha rinchiuso il presunto mafioso sino a quando è stato rimesso in libertà, venerdì scorso. Il Rimi, che è tornato nelle Baleari, continua a recitare la parte della vittima. In un'intervista pubblicata ieri dal quotidiano «Ultima Hora», dice: «Ho trascorso quindici mesi nelle carceri spagnole per niente. Non sono per questo arrabbiato. Sono invece molto tranquillo con la mia coscienza prima di tutto, con il mio modo di comportarmi e di vivere (forse fa riferimento ai tentativi di collaborare con la giustizia italiana che probabilmente gli offerse Falcone, ndr). Sono un uomo che non ha nulla da nascondere. Ognuno deve sopportare la propria croce». E il cognato di un pezzo da novanta della mafia aggiunge: «So di dover vivere con questa croce (cioè la parentela con Badalamenti, ndr), però sarebbe molto più grave essere malati e per fortuna sono sano». E le accuse del governo italiano? Risponde: «Non hanno senso ed è stato dimostrato due volte. La cosa più importante è che ho la coscienza molto tranquilla, molto tranquilla. Ho solo voglia di riposare insieme ai miei familia¬ ri. L'Audiencia Nacional concesse la libertà a Bardellino nell'85, con una cauzione di 60 milioni di lire. Il boss della camorra, ovviamente, fuggì. Di due magistrati che vennero inquisiti, e poi assolti dal Tribunale Supremo, uno, il più implicato, Varòn Cobos, venne riammesso due anni dopo, sia pure con un trasferimento nell'Amministrazione, nello stesso Alto Tribunale che da anni rifiuta, o per mancanza di prove e sempre con argomentazioni vergognose, di estradare in Italia terroristi del calibro di Carlo Cicuttini, quello della strage di Peteano, condannato all'ergastolo. Ha ucciso tre carabinieri nel '72? Per l'Audiencia Nacional le accuse erano del pentito Vinciguerra e Cicuttini era perseguito per «fini politici». E' scritto nella sentenza. Gian Antonio Orighi
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