La fine del messia rosso

La fine del messia rosso Abimael Guzmàn, fondatore di Sendero Luminoso, sorpreso in un alloggio di Lima. Era ricercato da 10 anni La fine del messia rosso Per la sua ferocia, 27 mila morti Ad Ayacucho l'università si affaccia sulla grande piazza dedicata a Sucre, uno dei tanti eroi di questo continente con troppi libertadores e poca libertà: morbide linee del barocco coloniale, chiostri ombrosi dove sfumano i rumori della folla e del mercato. Eppure da queste aule è partita la lunga marcia verso il nulla e il terrore di Abimael Guzmàn, detto il presidente Gonzalo, ideologo, sacerdote e profeta di una delle più sanguinose disavventure politiche del Novecento. «La vita dell'individuo non vale niente. Quello che conta sono le masse. Il sangue rivoluzionario non si versa mai invano perché feconda nuove vite per la rivoluzione»: è il barbaro catechismo dell'ultimo maoista rimasto al mondo che raccomandava ai suoi seguaci di cadere con il mitra in pugno e il sorriso sulle labbra. Invece l'uomo più braccato del continente americano, dieci anni da primula rossa, si è arreso ieri senza sparare un colpo, in un anonimo appartamento di un quartiere piccolo borghese di Lima, come un banale malavitoso di periferia. Forse è solo leggenda, ma si racconta che sia stato proprio lui a cancellare dal suo nome di battesimo una «s», per renderlo uguale a quello di uno dei cavalieri dell'Apocalisse. Un destino di sangue che nessuno avrebbe certo previsto quando, figlio illegittimo di un medico, studiava nel supercattolico collegio La Salle. I compagni lo ricordano riservato, timido, senza sorrisi, mai con compagnie femminili; curvo sui libri a preparare una monumentale tesi sulla teoria kantiana dello spazio. Quando all'inizio degli Anni Sessanta arrivò ad Ayacucho, ex capitale andina che vedeva sfiorire l'elegante splendore coloniale nel grigiore delle bidonvilles, Guzmàn era già comunista, in prima fila nella rissa che opponeva il suo partitine) «Bandiera rossa» agli altri clan di una sinistra più litigiosa che rivoluzionaria. Come tanti pellegrini della politica anche Guzmàn è andato a cercare la verità in Cina. Alla corte di Mao questo discepolo sudamericano della rivoluzione permanente ha scoperto che il fuoco dell'oriente rosso poteva incendiare tutte le campagne del mondo, che bastava una spietata volontà per creare l'uomo nuovo. Un bagno di ideologia che il professore andino di filosofia interiorizzò con lo stesso ingenuo, indifeso entusiasmo di una guardia rossa di Shanghai: «quando ci insegnavano a maneggiare pericolosi esplosivi - ha raccontato in una intervista - ci raccomandavano di pensare sempre al pensiero di Mao e tutto sarebbe stato più facile e meno pericoloso». Adesso il discepolo era pronto per imitare il Grande Timoniere, ed allevare nelle aule di Ayacucho la sua personale armata di guardie rosse. Studenti, insegnanti, tutti figli della borghesia agiata o piccoli intellettuali frustrati dalla emarginazione sulla Sierra, si convertivano al pensiero di questo professore lettore di Heidegger e Jaspers che amava indossare poncho e calzari degli indios per «scendere tra il popolo». Studiando il suo libretto rosso, dove si insegnava a purificare con il sangue il Paese infetto dalla borghesia e dall'imperialismo, è nata in pieno ventesimo secolo una incredibile setta mistica, dove il matrimonio era consentito solo tra quadri dello stesso livello. Alla corte di questo piccolo Mao andino, non poteva mancare una Chiang Ching, Augusta, responsabile della sezione femminile, che della moglie di Mao aveva lo stesso spietato, ottuso rigore. Si racconta che sia stata poi sacrificata alla purezza rivoluzionaria, colpevole del supremo delitto del frazionismo. La videocassetta, trovata in un covo abbandonato, in cui Guzmàn, commosso, mormora slogan rivoluzionari accanto al suo cadavere avvolto nella bandiera rossa di Sendero non sarebbe che un atroce messinscena staliniana. Come tutti gli idoli Guzmàn era una leggenda, un dio senza volto. Circolava di lui una vecchia foto del '70, prova del suo unico arresto. Poi il nulla. Si mormorava che durante la clandestinità avesse più volte cambiato faccia con operazioni di plastica. Tutti gli anni, puntualmente, il suo compleanno, il 4 dicembre, era festeggiato con un fuoco di artificio di bombe e attentati in tutto il Paese. L'armata del presidente Gonzalo non ha mai superato i duemila, tremila uomini. Ma ha scatenato una guerra che ha ingoiato in dieci anni almeno ventisettemila persone, finanziata con il pizzo imposto ai narcos che comprano la coca nella Amazzonia peruviana. Al sogno del «pachacuti», la palingenesi incaica, sono stati sacrificati soldati, poliziotti, politici, giornalisti e soprattutto campesinos, massacrati perché si rifiutavano di capire che Sendero lottava per renderli liberi e felici. Gli sgherri di Guzmàn li sgozzavano con il vecchio rito incaico, per impedire che il loro fantasma tornasse a perseguitare gli assassini. Eppure in una paese assediato dalla fame e dal colera, dove la coca è l'unica industria, le bandiere senderiste sono andate alla conquista delle città, arruolando i senza casta delle bidonville che dimenticano la tragedia del vivere con il terokal, micidiale droga a base di solventi chimici. E ancora ieri in un quartiere di Lima a pochi metri dal palazzo di Fujimori sventolava impunemente la bandiera del presidente Gonzalo. Domenico Quirico Era andato nella Cina del presidente Mao per imparare la rivoluzione ma si finanziava con la droga rosso a morti Nella foto grande, a destra un gruppo di guerriglieri senderisti urla slogan rivoluzionari prima di un'azione contro i governativi Sopra, Fujimori A destra, Abimael Guzmàn

Luoghi citati: Ayacucho, Cina, La Salle, Lima, Shanghai