Mostra miracolosa (e anche rischiosa)
Mostra miracolosa (e anche rischiosa) SCEMENZE Mostra miracolosa (e anche rischiosa) VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Per il Leone d'oro, tutti contenti: «Qiu Ju da guansi» (La storia di Qiu Ju) è piaciuto moltissimo e il premio va a un regista, Zhang Yi Mou già autore del bellissimo «Lanterne rosse», che è oggi tra i più bravi del mondo; la sua interprete Gong Li è un'attrice meravigliosa; dare un premio di recitazione a Jack Lemmon è un gesto magari ovvio, ma obbligato. Per i Leoni d'argento, tutti scontenti: se i film di Bigas Luna e di Sautet hanno qualità unanimemente riconosciute, il romeno «Hotelde Lux» è un capriccio esclusivo del presidente della giuria Dennis Hopper o dei giovani spettatori appassionati al tema del conflitto tra individuo e potere, incuranti del polveroso barocchismo del film. Per il premio della giuria a «Morte d'un matematico napoletano» di Mario Martone, quasi tutti contenti: anche chi ha giudicato il film imperfetto lo considera interessante, e trova equo che almeno uno dei cinque registi debuttanti in concorso sia stato premiato. Per i negletti «Caccia alle farfalle» di Ioseliani e «Orlando» di Sally Potter, quasi tutti dolenti. E per la quarantanovesima Mostra? Che il curatore Gillo Pontecorvo sia riuscito in tre mesi a metterla insieme e a portarla sino in fondo, accentuando la linea già seguita da direttori precedenti, proclamando Venezia «spazio di libertà» e «trincea degli autori», resta quasi miracoloso. L'allegria tanto desiderata da Pontecorvo s'è vista poco e nessuno ha ballato, i film inutili o malriusciti non sono stati troppo numerosi, la buona o alta qualità degli altri film ha provocato più stima che entusiasmo, più rispetto che passioni: sono mancati la novità, l'imprevisto, l'idea brillante o l'opera inconsueta che sorprendono, fanno litigare o lasciano estatici. Ma nel Paese italiano inguaiato e culturalmente minfluente nel mondo, in un cinema italiano dal passato splendente e dal presente debole, in una Biennale precaria con per¬ sonale e fondi insufficienti, strutture decadenti e management inesistente, la 49a Mostra rappresenta certo un successo. Non è invece un successo una certa decadenza del costume, che confonde i ruoli o s'affida all'apparenza. Sarà colpa dei media, ma certo la Mostra del cinema è stata trasformata, alienata in notizia televisiva: fin dal primo giorno e per dodici giorni, la cronaca s'è occupata di Chiambretti, Carlucci, Raiuno, Raidue, Raitre, palinsesti e show televisivi, persino più che dei film, dei registi o degli attori a Venezia. Sarà colpa dell'improvvisazione, ma certo il molto lodato Convegno degli autori, affollato di nomi celebri, di detentori di Leoni, Palme e Nobel, è durato meno di quattro ore: un flash, un blitz, media-cali o photo-cali, non una cosa reale né seria. Della commissione di selezione che ha scelto i film in concorso, facevano parte un consigliere d'amministrazione dell'Istituto Luce e un dirigente dell'Ente Gestione Cinema, e alla Mostra hanno figurato diversi film prodotti o distribuiti dal cinema pubblico: i ruoli di produttore-distributore e di selezionatore si sono incompatibilmente sovrapposti. Della stessa commissione di selezione facevano parte tre critici cinematografici, che prima hanno scelto i film e poi li hanno recensiti sui rispettivi giornali: i ruoli di giudice e di sottoposto al giudizio si sono incompatibilmente sovrapposti. Curatore della Mostra e presidente della Biennale hanno tenuto alla fine una conferenza-stampa per «tirare le conclusioni» e «tracciare un bilancio» risultato, si capisce, «largamente positivo»: i ruoli di organizzatore e di giudice della cosa organizzata si sono incompatibilmente sovrapposti. Saranno dettagli, scemenze, storture frequentissime in altri settori di attività, certo non siamo a Tangentopoli: però simili segni di lassismo scorretto e di provincialismo autoindulgente non sono belli, e alla Mostra del cinema non fanno bene. Lietta Tomabuoni onij
Luoghi citati: Pontecorvo, Venezia
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