Giuria insensibile di Simonetta Robiony

Giuria insensibile Giuria insensibile Né delusione né discordia ma Vunanimità non c'è stata VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO La delusione per il mancato premio a «Orlando» di Sally Potter, amatissimo dalle donne grazie allo strepitoso connubio tra la bellezza naturale di Tilda Swinton e l'intelligenza di scrittura di Virginia Woolf, non sembra aver provocato turbamenti nella giuria. Come non l'ha inquietata il disappunto dei critici per l'assenza di ogni di riconoscimento a «Caccia alle farfalle» di Otar Ioseliani, considerato uno dei migliori film del regista georgiano nonché l'ultimo canto a una civiltà che muore. Vincolati da Pontecorvo al segreto più totale sul meccanismo attraverso il quale sono arrivati al verdetto, i giurati sfilano nel salone dell'Excelsior proclamando estrema compattezza e totale concordia. La riunione di venerdì, quella che si fa fuori del Lido, s'è svolta, assicurano, in modo civile e tempi veloci. Opposizioni non ce ne sono state, anche se nessun premio è stato attribuito alla unanimità perché metter d'accordo 11 persone è arduo. Amarezze meno che mai. Si dice che «Hotel De Luxe» del romeno Dan Pita fosse molto piaciuto al presidente Dennis Hopper, che pur di strappare altri consensi avrebbe addirittura obbligato i colleghi a vederlo tre volte. Ma i giurati negano. «Qualcuno ha chiesto singolarmente di poterlo rivedere» spiega ridendo Ennio Morricone. Gianni Amelio sostiene di riconoscersi totalmente in questo verdetto. Anche se gli sarebbe piaciuto dare un premio a tutti e tre gli italiani, anche se su alcune singole opzioni ha delle perplessità, anche se i suoi gusti personali non coincidevano naturalmente con quelli degli altri, la diplomazia vince. «E' un verdetto che sottoscrivo. Mi sta bene che siano state eliminate le "Oselle", che non si sia stati tentati di attribuire premi di consolazione, che siano stati evitati gli ex aequo». Più dubbioso l'argentino Solanas contrario alla cancellazione dei premi minori che, sostiene, aiutano un autore; perplesso di fronte alla rapidità del metodo di lavoro che non prevedeva lunghe di scussioni ogni giorno; arrabbiato perché nei festival di oggi lo spazio è soprattutto per il cinema americano e per quello europeo. «E' vero. Stavolta abbiamo premiato un film cinese. Ma non basta a metterci la coscienza a posto. Dov'erano qui a Venezia le cinematografie orientali, quella australiana, quella, ancora vivacissima, dell'America Latina? E dov'erano i giurati, tanti giurati, a difenderle?». Nessun pentimento per non aver dato niente a «Orlando» «Ne abbiamo parlato» e a Ioseliani? «Abbiamo parlato anche di lui. Ma pure l'americano "In the soup" era un'ottima commedia, eppure nessuno protesta perché non ha avuto niente». Intanto, con l'arrivo del Leone d'Oro a Zhang Yi Mou viene chiarita la vicenda per cui «La storia di Ohi Ju» è approdato al festival sotto la distribuzione di Valerio De Paolis e non sotto quella della Mikado di Cicutto che pure con «Lanterne rosse» hanno riscosso successo. A Cicutto il distributore internazionale aveva offerto «Ohi Ju» come di un documentario sulla Cina odierna, ma a un prezzo esorbitante. Cicutto ha temporeggiato e De Paolis più svelto se l'è preso. Simonetta Robiony

Luoghi citati: America Latina, Cina, Pontecorvo, Venezia