Montanelli: mi hanno raggirato di Gaetano Afeltra

Montanelli: mi hanno raggirato Il giornalista reagisce con i suoi lettori al «processo» di Cortina Montanelli: mi hanno raggirato Augias: ma si era ad armi pari /•nII faccia l'appello: quel L ' processo va rivisto. Anzi, « va cancellato con infal | mia. Una valanga di letbZ I tere sommerge la redazione del Giornale. I lettori sono indignati per «la trappola» organizzata alle spalle di Indro Montanelli, a Cortina, quel «maledetto» giorno di Ferragosto. Un «tribunale» presieduto da Corrado Augias lo ha «assolto», ma rimandandolo a casa con il «dubbio di connivenza con il regime». Ieri, per la seconda volta in pochi giorni, il «Garibaldi» del giornalismo - come lo ha definito il suo pubblico accusatore Gianni Rocca, condirettore di Repubblica - ha preso in mano la penna, dannandosi per l'imperdonabile peccato d'ingenuità: «Tutto m'aspettavo, tranne questo. A quanto pare, riesco ancora, con i miei anni, a peccare d'ingenuità. Per questo sì dovrebbero processarmi». Nell'ultima della serie di lettere ricevute in redazione, una lettrice del Giornale gli confessava di non aver dormito tutta la notte dopo aver visto in tv l'«aula di tribunale» in cui, «per faziosità o per piaggeria verso i suoi avversari», gli attribuivano «idee e comportamenti che sono agli antipodi rispetto alla sua personalità e alla sua deontologia». La lettrice scrive di aver registrato la trasmissione e di averla depositata in una cassetta di sicurezza, «in eredità alle nipotine con la soprascritta: "Ascoltate bene e imparate: questo è un uomo!"». Doveva esserci un confronto all'americana, con tanto humour, sui banchi di un tribunale a oltre un migliaio di metri d'altitudine. Un divertimento estivo. E invece continua a tormentare Montanelli e suoi lettori un mese dopo. «Macché gioco, sapevo che era un tranello - si indigna Gaetano Afeltra -. Ho pensato, fino all'ultimo, che non ci sarebbe andato, ne avevo parlato anche con Biagi. Volevano mortificarlo perché è uno che con il suo esempio dà fastidio a certe coscienze. Ma a lui non im- porta nulla di quel che hanno detto, parla la sua vita. E' come l'hanno trattato... Qualche giorno fa siamo andati a colazione: "Ma che hai fatto, Indro?". E lui: "Dovreste sputarmi addosso un'intera settimana per questa ingenuità". E' assurdo, io che gli sono stato a fianco, il suo esempio... E' stata la parodia di un processo bulgaro». Ma perché lui, Montanelli, c'è cascato? «Io avevo tutte le armi per dire a quei signori: fare il processo a me? - Spiega Montanelli -, ma casomai sono io che devo farlo a voi. Ho sbagliato: visto come andavano le cose, avrei dovuto alzarmi e andarmene. Non potevo nemmeno difendermi. Cosa dovevo fare, il mio autoelogio? Me ne manca il vocabolario. E' stato tutto così assurdo... io giornalista di regime, proprio io che sono stato in difficoltà in tutti i regimi. Credevo fosse un gioco, sono andato al processo con le mani in tasca. Non ho portato certo pezze d'appoggio: ci sono i miei articoli che parlano. Ma loro hanno approfittato della mia dabbenaggine». Dabbenaggine fu la sua e dabbenaggine, probabilmente, quella del suo difensore, Manlio Cancogni. Ha strappato un'assoluzione più perfida di un'onorevole condanna. La formula recita: «E' pure emersa una certa propensione dell'imputato ad allinearsi a logiche di regime e comunque di potere facendosene portavoce nel momento stesso in cui se ne proclamava avversario». «Ma di che meravigliarsi?», azzarda ora, mortificata, la difesa, travolta in aula dall'accusatore Gianni Rocca, spalleggiato dalle pungenti insinuazioni di Miriam Mafai. «Quello era un processo agli anti-comunisti. Io ero impreparato perché i liberali non hanno la capacità d'urto dei comunisti. E così ho fatto una figuraccia - dice Cancogni -. Mi dispiace per Indro, ma gliel'avevo detto. Lui ha abbassato la guardia, ha mostrato fair-play nei confronti degli sconfitti. I comunisti restano comunisti, da Marx in poi non sono mai stati capaci di umorismo. Loro non dimenticano mai: avevano il dente avvelenato e si sono vendicati». Corrado Augias getta acqua sul fuoco: «Montanelli sbaglia. La discussione è stata ad armi pari, davanti ad un pubblico a lui favorevole. Ne è nato un dibattito molto appassionante sul giornalismo». Ma Cancogni è di tutt'altro parere: «I comunisti sono irriducibili. Forse questa è una delle loro virtù. Ma avrei voluto dirlo a Rocca: "Bravo, hai imparato bene dal tuo maestro!"». Un maestro? «Sì, Vyshinskij». «Vyshinskij?, ma sono pazzi?», si inalbera Gianni Rocca: «Ma quale Vyshinskij, ma quale comunista. Io nel '56, con i fatti d'Ungheria, ho lasciato il posto di caporedattore all'Unità a Milano per andare a fare il giornalista sportivo. Io non ho nulla contro Montanelli, sono dovuto andare a scavare nel suo passato perché, come avevo detto, del suo presente condivido quasi tutto. Ma quelle cose, in passato, le ha pur scritte. Noi le abbiamo solo usate. Ed è inutile che, qualsiasi cosa gli si rinfacci, lui si difenda: "Ma era un paradosso". Le ha scritte e basta. Con Montanelli c'eravamo parlati a pranzo il giorno prima e siamo andati a cena la sera dopo, da perfetti amici. Montanelli mi ha preso sottobraccio, abbiamo scherzato. Sia lui sia sua moglie mi hanno fatto i complimenti per come mi ero comportato. Me li ha fatti persino il conte Nuvoletti, dicendo che ero stato un vero signore. Si è arrabbiato il giorno dopo, per la sentenza. Ma io che c'entro. Io ero Perry Mason». Pier Luigi Vercesi Al «Giornale» non accettano la «connivenza con il regime» Sentenza da rifare Una lettrice: «Ho registrato tutto per lasciarlo in eredità ai nipoti» Sopra, Manlio Cancognl Il difensore: ha strappato un'assoluzione «perfida» A destra, Gianni Rocca l'accusatore. Nell'immagine grande, Indro Montanelli imputato a Cortina A sinistra, il presidente Corrado Augias Sotto, Gaetano Afeltra

Luoghi citati: Cortina, Milano, Ungheria