Fogar, l'ultimo «solitario» sta lottando per non morire

Fogar, l'ultimo «solitario» sta lottando per non morire E' uscito di strada in Turlmienistan durante la Parigi-Pechino, ora è ricoverato a Milano Fogar, l'ultimo «solitario» sta lottando per non morire MILANO. Ambrogio Fogar è in fin di vita nel reparto di rianimazione dell'ospedale San Raffaele di Milano. Il navigatore solitario, l'esploratore, il camminatore dell'avventura e della polemica era tornato in prima fila partecipando come navigatore al rally Parigi-Mosca-Pechino, il raid rilanciato quest'anno per ricordare le avventure di Luigi Barzini, il giornalista italiano che ai primi del secolo attraversò l'Asia e l'Europa in automobile. La land-rover guidata dal pilota Giacomo Vistora, che proprio con Fogar aveva gareggiato in numerose edizioni della Parigi-Dakar, si è rovesciata durante l'ottava tappa della corsa: 562 chilometri di strada sterrata da Nebit Dag a Darwazy, nel Turkmenistan, un centinaio di chilometri a Est del Mar Caspio. La notizia dell'incidente è arrivata in Italia intorno alle 19 di ieri sera, lanciata dall'agenzia di stampa russa Itar-Tass. I due italiani erano arrivati a poco più di un quarto del percorso, nel bel mezzo di una prova cronometrata lunga quasi 500 chilometri. Fogar e Vistora erano partiti da poco meno di un'ora, stavano affrontando un tratto su una strada difficile, un continuo saliscendi tra due colline di questa zona all'estremo Sud dell'ex Unione Sovietica. La macchina, per cause ancora da chiarire, si è rovesciata. Fogar è stato sbalzato all'esterno passando attraverso il vetro anteriore della Rover. Le sue condizioni sono apparse subito molto gravi. «Aveva un arresto cardiaco - ha detto in serata il medico della corsa -. Non riuscivo a rianimarlo: ce l'ho fatta dopo lunghi sforzi, mentre i minuti sembravano interminabili». L'esploratore italiano, che ha compiuto 51 armi lo scorso 13 agosto, è stato immediatamente ricoverato nell'ospedale di Nebit-Tag, ma i medici locali hanno consigliato il suo trasferimento a Mosca. Fogar è arrivato nella capitale russa, distante oltre 2500 chilometri, nel pomeriggio di ieri. Da qui, con un altro aereo, è stato trasferito d'ur- fenza a Milano. Al San Raffaele arrivato ieri sera alle 20,30, accompagnato dalla moglie. Vistora, il pilota, è rimasto illeso. Al punto che - secondo la ItarTass - ha deciso di continuare regolarmente la corsa verso il confine cinese. Non è la prima volta che l'esploratore milanese sfiora la morte da quel giorno del '72 in cui smise di fare l'assicuratore e il rappresentante di automobili per diventare un professionista dell'avventura. Nel 1978, mentre in compagnia del giornalista Mauro Mancini si trasferiva verso i mari dell'Antartide per tentare una circumnavigazione del Polo Sud, la sua barca - il celebre Surprise - affondò al largo delle isole Malvine, quelle della guerra tra Inghilterra e Argentina. I due naufraghi resistettero per 74 giorni a bordo di una zattera di gomma, prima di essere raccolti da un mercantile greco. Il giorno successivo al ritrovamento Mancini morì a bordo della nave, ucciso dagli stenti e dalla fatica. La vela è stata il primo, grande amore di Ambrogio Fogar. Forse il solo a regalargli più soddisfazioni che polemiche. Vent'anni fa, dopo aver acquistato il Surprise, uno scafo di undici metri, si iscrive alla PlymouthNewport, la grande traversata atlantica in solitaria. A quei tempi l'avventura non è ancora una moda, e il racconto del giovane Fogar, attraccato dopo 32 giorni di navigazione alla banchina di Newport, stupisce il pubblico italiano. Fogar 1 acconta di cicloni, di balene, di branchi di pescecani, e subito diventa un personaggio. L'anno dopo sfida ancora l'Oceano, partendo da Castiglione della Pescaia per un giro del mondo in solitaria su un piccolo catamarano. I giornali raccontano che di notte è costretto a dormire, chiuso in una tuta ermetica, dentro una specie di grossa scatola di latta. Fogar resta in mare per più di un anno: parte da Castiglione il 1° novembre 1973 insieme con la moglie, che sbarca a Gibilterra. Lui procede da solo e torna in Italia il 7 dicembre 1974, dopo aver doppiato Capo Horn e il Capo di Buona Speranza. Al ritorno è un eroe, ma lo attende la prima polemica. L'anno dopo pubblica per la Rizzoli il racconto della sua impresa, Quattrocento giorni intorno al mondo. Tra le pagine più suggestive la descrizione di una tempesta, che qualche mese dopo si scopre copiato parola per parola da un libro di avventure. Fogar è condannato per plagio, e qualcuno mette in dubbio la sincerità stessa della sua impresa. Dopo quell'episodio Fogar lascia la vela, ma non l'avventura: spedizioni in Alaska (1980), sull'Himalaya (1981), in Groenlandia e al Polo Nord quest'ultimo da raggiungere a piedi insieme con il cane Armaduk. Rientrato al campo base, Fogar disse di essere arrivato al Polo, ma che la deriva della banchina artica lo aveva fatto allontanare dall'obiettivo. Più tardi si scoprì che parte del viaggio era stato fatto in aereo. Fu quella l'ultima polemica: Fogar comunicò la sua intenzione di smettere e di dedicarsi alla televisione, conducendo per la Fininvest alcune trasmissioni di successo come «Buongiorno Italia», «Jonathan» e «Campo Base». «Sono troppo vecchio per queste cose. Però con i viaggi non ho chiuso: continuerò, ma in un'altra maniera». Qualche tempo dopo l'esordio come navigatore nei rally dell'avventura. Guido Tiberga Ambrogio Fogar con il cane Armaduk, in un'immagine dell'83. La sua marcia verso il Polo Nord diventò un boomerang per l'esploratore milanese che fu al centro di una lunga polemica. Le sue quotazioni scesero, ma trovò nuova fortuna nelle trasmissioni televisive dedicate all'avventura