Amleto sotto la Quercia di Pierluigi Battista

Amleto sotto la Quercia Amleto sotto la Quercia Occbetto, una vita di dietrofront POLEMJCHE ; ■ * TUTTI I DUBBI AVVISO ai sindaci pidiessini: l'esortazione alla disobbedienza fiscale è annullata. Il segretario del partito smentisce «stupefatto» di aver mai «incitato» chicchessia alla rivolta fiscale. Stiano tranquilli insomma i preoccupatissimi primi cittadini targati pds, quelli di Cesena e Forlì in testa. L' «ondivago» Achille non li obbligherà a rifiutare l'iniqua gabella. La sortita del segretario è solo l'ultimo tocco alla storia infinita dell'Occhetto incerto e fluttuante, zigzagante e irresoluto: il politico delle grandi decisioni e dei fragorosi dietrofront. Ed ecco spuntare, con fortunato tempismo, il libro che getta luce sulla genesi di quel morbo d'Amleto che sembra perseguitare il leader del pds. Si intitola, laconicamente, Cicchetto (editore Ponte alle Grazie). E contiene, pazientemente allineati dall'autore Mino Lorusso, giornalista politico dell'Avanti!, i documenti che sono altrettanti sintomi dell' oscura malattia che si fa strada in Occhetto sin dai primi passi del suo iter politico. Nel ritratto di un segretario da giovane si apprende per esempio che Cesare Pavese, assiduo frequentatore della casa paterna, «impartiva lezioni di latino» al giovanissimo Achille. Del grande scrittore delle Langhe l'adolescente Occhetto apprezza l'irriducibile anticonformismo. E quando nel 1956 i carri armati sovietici entrano a Budapest, il giovane militante della Fgci si reca tra i primi a protestare presso la redazione milanese dell'Unità. Il direttore Lajolo ordina a un fattorino di chiudere a chiave il ribelle nella sala riunioni. Ma, sbolliti i furori, giunge per Occhetto l'occasione della prima virata. Capita nel 1961 quando, a commento dell'impresa di Gagarin, il giovane Achille si produce sulle colonne del settimana¬ le della Fgci Nuova generazione in una spericolata analogia dal titolo II cielo è socialista: «Siamo fieri come comunisti; non possiamo non cogliere il legame che esiste tra la forza morale e la luce dell'intelligenza che hanno guidato quest'ultima esperienza della scienza umana e la stessa coesione morale che guida l'ideologia comunista». Sembra il canto di un aedo dell'ortodossia. Ma il giovane Occhetto è pur sempre animato da un forte impulso eretico. Negli stessi giorni in cui scioglie l'inno al comunista Gagarin si avventura nel primo tentativo di riabilitazione di Trotzki. Da Botteghe Oscure arrivano tuttavia velate minacce e il futuro leader della Quercia si affretta a costruire la sua fama di politico «ondivago»: «Siamo profondamente convinti che Trotzki è stato sconfitto nel 1925 non perché fosse più debole e per altre ragioni, ma perché aveva torto e la sua politica era nient'altro che un'avventura». Sono gli anni del centro-sinistra, e Occhetto fa sapere ai socialisti che «il popolo italiano non è stato mai, non è, e non vorrà mai essere riformista». Nel 1978 parlerà del centro-sinistra come di «uno dei periodi più dinamici defila vita politica del nostro Paese». Ma nel frattempo molte cose erano cambiate, nella cultura dei comunisti italiani. Nel 1968, per esempio, Occhetto sosteneva che la rivoluzione era tornata «all'ordine del giorno», e tre anni prima era stato il primo a proporre l'invio di «volontari italiani» in Vietnam (ma Ho Chi Minh era contrario). Poi però, esiliato in Sicilia per purificarsi dai suoi trascorsi estremisti, cambierà linea da cima a fondo. Nasce lì la parola d'ordine della «liberazione unitaria» (1971): prima, embrionale manifestazione della capacità occhettiana di coniare efficaci formule ad effetto, dalla «rivoluzione copernicana» allo «zoccolo duro», dal «riformismo forte» alla «quarta via» (1987), passo ulteriore rispetto alla «terza» caldeggiata da Berlinguer. Ma anche in terra siciliana affiora la sindrome d'Amleto. E' Occhetto che, nel 1975, convince Sciascia a presentarsi nelle liste del pei. Ma quando i rapporti tra il partito e lo scrittore si fanno tesi, è sempre Occhetto che prende la parola per deplorare in Sciascia «un atteggiamento da tribunale morale». Passano gli anni. Occhetto si segnala tra i critici più feroci del governo Craxi. Salvo poi ammettere «che la presidenza socialista era il risultato di uno spostamento a sinistra di tutto l'asse politico del Paese». Siamo all'epilogo, alla morte del pei e alla nascita del pds. Nel marzo dell'89 Occhetto dice che «non si comprende perché dovremmo cambiar nome». Otto mesi dopo farà la rivoluzione della Bolognina. I sentimenti, si sa, non procedono alla stessa velocità delle decisioni razionali, ed ecco lo scatto d'orgoglio: «Sono stato tutta la vita un comunista. Intendo restarlo». Poi, all'indomani del fallito golpe in Urss: «Il comunismo reale è morto. E noi siamo contenti». Contraddizioni, vertiginosi ondeggiamenti? Ma no. E' soltanto l'applicazione della teoria formulata dal segretario: «Dopo una grande paura, bisogna abbandonarsi al sorriso, brindare, mettere fuori le bandiere». Pierluigi Battista Achille Occhetto smentisce di aver esortato i sindaci pds alla disobbedienza fiscale. E', in ordine di tempo, l'ultima contraddizione di una serie molto lunga

Luoghi citati: Budapest, Cesena, Forlì, Sicilia, Urss, Vietnam