Sorella crudele ti canto in versi

Sorella crudele ti canto in versi Ludovica Ripa di Meana, un romanzo Sorella crudele ti canto in versi STI MILANO " proprio un curioso destino quello di Ludovica Ripa di Meana, che a 59 an- ni debutta da Camunia con un romanzo in versi intitolato La sorella dell'Ave (quattro grandi editori l'hanno rifiutato, prima che Raffaele Crovi rispondesse: «Certo che lo pubblico! E' un capolavoro!»). Curioso, perché chi l'ha seguita nella sua carriera di giornalista all'Europeo sa che era sempre alla ricerca di uno stimolo, cioè di due termini di significato opposto, per ritrarre i protagonisti delle sue lunghe interviste. Così una star popolare come Caterina Caselli appariva, nelle sue parole, «impetuosa e assorta». E non a caso sceglieva il titolo Diligenza e voluttà per il libro-conversazione con Gianfranco Contini, uscito da Mondadori tre anni fa. Recentemente, per le telecamere di Raitre, ha intervistato «gli intrattabili» Citati, Scalfari, Ferrara, rendendoli, a uno a uno, insolitamente aperti e docili: e ha messo a segno un altro dei suoi contrasti. Ora però è diverso, ora è come se ii destino le presentasse il conto e rendesse proprio lei protagonista di un paradosso, di un duello di opposti significati a cui assiste da spettatore tutto il nostro piccolo grande mondo editoriale. Proprio lei, infatti, con quel nome familiare alle cronache mondane, portato da un fratello, Vittorio, gigante della finanza, da un altro fratello, Carlo, ministro dell'Ambiente, e dalla sua fiammeggiante moglie Marina, ha scritto un libro che sbalordisce per severità e crudezza. Un romanzo solenne, che se non avesse l'ariosità dei versi toglierebbe l'ossigeno al lettore, trascinato nella disperata ricerca di una sorella scomparsa, attraverso i ricordi di una famiglia della grande borghesia romana. Ed eccoci daccapo con i contrasti: una grande famiglia agiata improvvisamente impoverita, raccontata pensando a Eliot, alla Cvetaeva e a Gadda, da una persona che ha solo la quinta ginnasio. Un'autodidatta elegante e affascinante che ha frequentato privatissimamente alcuni grandi della cultura italiana come Zeri, Manganelli o Testori ed è compagna nella vita dello scrittore Vittorio Sermonti. Come mai, signora Meana, abbandonò la scuola? Perché la mia famiglia rimase senza un soldo, fu una vera e propria catastrofe economica. Mio padre era un ufficiale e guadagnava pochissimo, e mammà, che era la persona ricca della famiglia, dopo la guerra fece degli investimenti sbagliati, per cui perse praticamente tutto. E siamo piombati ragazzini in una miseria micidiale. Vittorio è stato eroico, perché lavorava e studiava di notte. Mentre io mi sono messa a fare la segretaria di un agente immobiliare, in certi sottoscala spaventevoli... E oggi, che effetto le fa la popolarità mondana del suo nome? Le dà fastidio? No. Ogni tanto nel corso degli anni la cosa mi ha scocciato, ma mai per ragioni pubbliche, mi ha scocciato nel privato, perché c'erano delle interferenze psicologiche... Ma se proprio devo fare un'indiscrezione, posso solo dire che voglio molto bene a Marina. Che cosa c'è nel suo libro? E' la storia di una donna, o meglio, la storia di un destino. Il destino di un rapporto di amore e passione di due sorelle che restano l'una enigmatica all'altra. Ma descrivendolo così, lei tace la sua crudeltà, anche verso se stessa... Lei parla di un libro crudele, senza misericordia. Io credo che sia un libro aspro e terribile, ma spero si senta che è completamente impastato di pietà per il destino, per il dolore, lo scacco... Parla dello scacco di questa sorella alla deriva? Che cosa rappresenta il suo personaggio? Intanto è un misto, naturalmente, di autobiografia e di invenzione totale. Quella sorella non è una sorella reale. Liberamente autobiografico qui c'è il rapporto di grande passione, intimità e lacerazione che io ho con tutte e tre le mie sorelle. Ma molta di quella ossessività presente nel libro viene dal rapporto che ho avuto con una mia amica veneziana che è morta. E perché la chiama sordida piccolotta, infame sorelluccia, imbrogliona, poveraccia, tremenda e cara? Perché questa sorella che insegue la bontà e intanto gioca alla terrorista, si ubriaca, abortisce, le fa tanta rabbia? Perché nella sorella dell'Ave c'è anche una parte di me che, come lei, tendeva a sentirsi nel giusto, dalla parte dei buoni, e me la sono presa con durezza, con insofferenza, per quella inclinazione alla lagna di sé, all'irresponsabilità. Ecco, tutto questo a me non piace... Mi sembra che siamo al mondo per prenderci delle responsabilità, per sapere che non saremo mai buoni, ma che dobbiamo cercare di esserlo. E non le pare di avere percorso un cerchio, signora Meana? Non sta dicendo che quella sorella scomparsa è invece molto vicina? Certo. Certo che sono prima di tutto io la sordida piccolotta. Imbrogliona, irresponsabile. Tutte le volte che lo sono stata. Meana Livia Manera Meana

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