Madonia, scatta Poro della verità

Madonia, scatta Poro della verità Vicenza, scarcerato l'uomo che aveva ospitato il superboss nella sua casa Madonia, scatta Poro della verità Trasferito a Rebibbia, oggi sarà interrogato VICENZA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Per il boss Madonia è cominciata l'ora della verità. Ieri mattina il numero due di Cosa Nostra è stato trasferito nel carcere di Rebibbia. Oggi sarà interrogato da Leonardo Guarnotta, sostituto procuratore di Palermo. Sarà il primo «faccia a faccia» con un giudice, la prima possibilità di raccontare i segreti della Piovra. La partenza di «Piddu la Chiacchiera» ha avuto una coda di mistero. Ufficialmente Madonia è uscito dal carcere San Pio X di Vicenza alle ore 10,45 da dove, con due cellulari e una decina di auto di scorta, è stato portato al vicino aeroporto militare «Dal Molin». Poi il volo su un aereo militare, l'arrivo forse a Ciampino verso le 15 e trasferimento a Rebibbia. S'è sparsa invece la voce che si fosse trattato di un depistaggio: il boss di Cosa nostra era in realtà già partito la mattina presto, furgoni della «Celere» e tutto il resto erano solo un diversivo. Altra versione: l'aereo è un falso, Madonia è stato portato a Roma in auto. Tanto che all'arrivo nella capitale la Thema blindata che pare trasportasse il presunto numero due della mafia siciliana era preceduta da tre auto targate Vicenza. A Rebibbia Madonia è stato ospitato in uno dei due bracci di massima sicurezza. La sistemazione degna di un personaggio di rango, visto che il braccio denominato «G7» ospita anche Renato Curcio e il «G9» è riservato agli elementi considerati più pericolosi della criminalità. A Rebibbia è stato detenuto anche Ali Agca. Adesso dunque lo aspettano almeno cinque magistrati (tra cui appunto il giudice Guarnotta), che da lui sperano di sapere molte cose. Anche a cosa gli servissero quei cinquemila marchi tedeschi che aveva in una valigia nella casa di Ponte di Costozza. Mentre ieri mattina il superboss Giusepp e Madonia sorvolava il tribunale di Vicenza su un aereo militare con destinazione le carceri romane di Rebibbia, sotto di lui nell'aula della pretura Salvatore Galleria patteggiava un anno e otto mesi di reclusione per il reato di favoreggiamento. Era nella sua casa a Ponte di Costozza, a pochi chilometri da Vicenza, infatti che «Piddu» Madonia passava le sue giornate. Tra un'uscita al bar a bere rosso dei Colli Belici e parlare del Milan e telefonate con uno dei suoi cinque cellulari dal giardino di casa. Per il trentacinquenne cognato di Salvatore Santoro (autista e a sua volta cognato del boss) comunque pena sospesa e libertà immediata. Al suo fianco come difensore, appena arrivato dalla Sicilia con in mano solo una piccola cartellina di tela blu e gialla, l'avvocato di Catania Serafino Pamà, legale da sette anni anche di Giuseppe Madonia, nonché avvocato in più di un processo per mafia degli anni scorsi, maxiprocessi compresi. Galleria, giudicato per direttissima a porte chiuse dal pretore Dario Crestani, subito dopo l'arresto si era detto del tutto estraneo alla vicenda: «Non sapevo assolutamente che Madonia era ricercato, ignoravo la sua identità - era stata la sua versione - pensavo di ospitare un medico di Caltanissetta, zio di mio cognato Salvatore che me l'aveva presentato». Pamà lo ha invece messo a tacere: richiesta di patteggiamento, scarcerazione e nessuna discussione in aula che poteva, forse, rivelarsi pericolosa. Salvatore Galleria aveva anche piccoli precedenti penali: rissa, assegni a vuoto e accuse per estorsione e ricettazione da cui era stato assolto. All'uscita dall'aula è sembrato un po' nervoso: ne hanno fatto le spese un fotografo e un cineoperatore presi a calci. Alessandro Mognon