Brindisi, erano bronzi da buttare di Sabatino Moscati

Brindisi, erano bronzi da buttare Sabatino Moscati interviene nella polemica sui reperti con un'ipotesi «dissacrante» Brindisi, erano bronzi da buttare Capolavori greci? No, scarti di un'officina MA insomma, cosa sono i bronzi di Brindisi? E cioè donde vengono, chi ne fu l'artefice, perché mai an Idarono a finire in quei fondali marini? A questi interrogativi, subito emersi, le risposte sono state finora in larga misura discutibili, talvolta gratuite o addirittura fantasiose. Eppure è questo il punto essenziale delle scoperte, certo rilevanti se la stampa è tornata su esse a più riprese nelle scorse settimane e negli scorsi giorni, via via che procedevano i lavori di recupero. E certo continuerà a tornarvi, perché i lavori continuano. Ma se finora si imponeva la prudenza, ora si impone il giudizio, ancorché provvisorio. Occorre, insomma, un primo bilancio. Perché il bilancio si faccia oggi, è evidente quando si pensi alla situazione stagionale. Lo scavo a molti metri di profondità nel mare richiede acque tranquille, abbastanza calde, con sufficiente visibilità: tutto questo non è un problema in estate, specialmente nell'estate decorsa; ma lo diviene nell'autunno e ancor più nell'inverno. Pause e rinvìi nelle ricerche sono, dunque, da mettere in conto; ma si può ragionevolmente ritenere che il più sia stato recuperato e che le future novità non dovrebbero sconvolgere le conoscenze. Quale è dunque il giudizio? Ricordiamo in breve che i bronzi di Brindisi sono allo stato attuale circa centocinquanta parti o frammenti di sculture in bronzo, provenienti dal mare in un'area ristretta al largo di Apani, sei chilometri a Nord di Brindisi. Spiccano tra i reperti alcune teste, braccia, mani, piedi, da ultimo un corpo senza testa e un altro con testa frammentaria. Speciale interesse, per la qualificazione del complesso, hanno le teste: una barbata che richiama i bronzi di Riace, una di tipo romano della dinastia giulioclaudia, una che sembra appartenere a Caracalla, una femminile dell'età dei Severi... Cronologicamente si tratta di un materiale disparato, la cui datazione è estesa all'incirca dal IV secolo avanti Cristo al III dopo Cristo. Quanto alla frammentazione, dobbiamo ormai fare spazio all'idea che tale fosse lo stato del materiale prima che sprofondasse in mare: se, come si dava per ovvio all'inizio, le statue fossero state danneggiate da un naufragio, almeno alcuni pezzi combinabili tra loro si sarebbero trovati. Lo stesso va detto se, come è stato pure supposto, i lavori recenti nell'area portuale di Brindisi fossero stati la causa della frammentazione. Sul naufragio hanno puntato fin dall'inizio le ipotesi per spiegare il ritrovamento in mare di un complesso di reperti così pregevoli. Se non c'inganniamo, ha orientato consciamente o inconsciamente in tal senso il parallelo con i già celebri bronzi di Riace, rinvenuti dinanzi alla costa calabra dalla parte opposta del «tallone d'Italia»: un parallelo sorto immediatamente e dal quale, sia detto per inciso, è dipesa la stessa denominazione dei «bronzi di Brindisi». Ma il parallelo, a ben riflettere, non si sostiene. In realtà, i bronzi di Riace sono due sole statue; risultano intere e in buono stato di conservazione; risalgono a una stessa cultura (quella greca) e a una stessa epoca (il V secolo avanti Cristo). E' dunque ragionevole l'ipotesi che una nave portasse quelle statue dalla Grecia, anche se v'era pure una produzione greca nell'Italia meridionale; ed è ragionevole che cadessero o fossero gettate in mare da quella nave. Il che, peraltro, non indica di necessità un naufragio: poteva trattarsi, ad esempio, di un peso eccessivo del quale fu necessario liberarsi in un momento di pericolo. Nessuna traccia del naufragio Per Brindisi i sostenitori del naufragio hanno dovuto scegliere evidentemente la data più bassa, in cui tutto il materiale poteva essere già realizzato: cioè quella romana tarda. Ma allora, è facile osservare, perché mai statue romane di età imperiale sarebbero dovute venire dalla Grecia? O perché mai sarebbero dovute partire per la Grecia? Né ci si venga a dire di un naufragio medievale o moderno e finanche di pirati turchi, come è stato fatto, perché in tal caso si entra nel campo di pure, indimostrate e indimostrabili ipotesi. Ma v'è soprattutto un argomento contro la teoria del naufragio di una nave che avrebbe trasportato i bronzi lontano o da lontano: quella della mancanza di qualsiasi resto della nave stessa. Nei ritrovamenti del genere, elementi dello scafo non mancano; e se è vero che il legno deperisce, è vero anche che, imbevendosi d'acqua, esso non scompare. Né del resto v'è il legno solo, perché ad esempio chiodi e giunture metalliche si conservano in casi analoghi. Il futuro potrà smentirci; ma ormai, dopo molte settimane, bisogna pur prendere atto della situazione e valutarla com'è. Poco muterebbe se, come è stato accennato di recente, si fosse trattato di una chiatta anziché di una nave. Le chiatte servono per brevi percorsi, sicché il problema di una spiegazione si ripresenta tal quale. E allora, proviamo finalmente a proporre una spiegazione diversa: supponiamo che i bronzi di Brindisi fossero materiali disparati appartenenti a un'officina artigianale esistita nell'area della stessa Brindisi; e che tali materiali fossero stati scaricati in mare (in tal caso l'uso di una chiatta non troverebbe obiezioni) per un motivo qualsiasi. Gli archeologi non c'erano All'ipotesi ora formulata non esistono, per il momento, obiezioni valide. La frammentarietà del materiale orienta in tal senso. Lo stesso dicasi per la varietà temporale dei reperti. Il problema della nave e del naufragio, con le sue incongruenze, cade da sé. Piuttosto, v'è da chiedersi perché la presunta officina abbia voluto liberarsi di un materiale che, ai nostri occhi, è pur sempre pregiato. Ma lo era anche agli occhi del proprietario e degli artigiani? In realtà, nessuno dei pezzi riportati alla luce avrebbe potuto trovare, se messo in vendi- ta, un compratore: per un motivo o per l'altro, si trattava di opere incompiute, o mal compiute, o danneggiate dopo il compimento. Un archeologo, certo, si sarebbe appassionato a esse; ma gli archeologi allora non c'erano, almeno come li intendiamo oggi. E dunque, anche se la definizione può sembrare dissacrante dopo tanta pur legittima ammirazione, in ultima analisi possiamo essere dinanzi agli scarti di un'officina bronzistica. Possiamo: insistiamo sull'ipotesi, perché le ricerche sono ancora in corso e non è da escludere che nuovi dati vengano a modificare il giudizio. Possiamo: perché non abbiamo il vizio di appassionarci irrevocabilmente alle nostre idee, e dunque ci resta un dubbio, quello che gli scarti di un'officina potevano essere fusi anziché gettati in mare. Ma almeno, un'interpretazione ragionevole della scoperta nel suo insieme crediamo di averla proposta. Ed era, diciamolo francamente, ormai il caso. Sabatino Moscati Una delle teste di bronzo ritrovate al largo di Brindisi A sinistra le due statue recuperate il 10 settembre a Punta del Serrane alla presenza del ministro dei Beni culturali, Ronchey In alto due piedi e altri frammenti rinvenuti nelle scorse settimane

Persone citate: Ronchey, Sabatino Moscati, Severi