Tina Modotti: il mio Zapata, eroe dei peones

Tina Modotti: il mio Zapata, eroe dei peones Dagli archivi russi un saggio inedito scritto nel '32 dalla grande fotografa sul rivoluzionario messicano Tina Modotti: il mio Zapata, eroe dei peones «Non sapeva nulla di Marx, seguiva Usuo istinto di contadino» R~~ UDINE EGINA della fotografia, militante comunista, ma anche maestra dell'agit-prop. E' il ritratto inedito di Tina Modotti, rivelato in questi giorni dagli archivi di Mosca da cui è uscito, a sorpresa, Peoni messicani, un libretto didattico-rivoluziona- rio scritto dall'artista udinese nel 1932 e diffuso in Urss. Il documento è stato scoperto da un collezionista pordenonese, Gianni Pignat, 40 anni, tra i fondatori del cineclub Cinemazero. La riproduzione originale delle 32 paginette in cirillico è ora esposta nella grande retrospettiva di Villa Varda, a Pordenone, che per la prima volta raccoglie il meglio della produzione della fotografa, con immagini mai viste, concesse dai più autorevoli collezionisti internazionali. Mexikanhoske Peoni era sepolto nella biblioteca Lenin. Pignat inseguiva un fantomatico catalogo di una mostra che la Modotti avrebbe tenuto in Urss negli Anni 30 (tra gli appassionati di fotografia si favoleggia di una grande esposizione allestita a Mosca, auspice il regista Eisenstein). Pignat si è invece imbattuto in uno scritto politico che rafforza l'immagine della Tina militante. Il documento è la traduzione in parole dei mirabili reportage fotografici dell'artista, giunta in Messico negli Anni 20 (vi morirà nel '42) per immortalare e appoggiare la condizione contadina dopo la rivolta. Anticipatrice della scuola americana della Farm, ritrattista sociale ma anche maestra della perfezione formale, secondo la lezione del marito Weston, la Modotti conferma in questo scritto la sua simpatia per Trockij e l'amicizia per il rivoluzionario cubano Mella, assassinato in Messico sotto i suoi occhi. Ma soprattutto per la leggenda di Zapata. [m. mei.] E MILIANO Zapata nacque e crebbe nello Stato di Morelos che era appannaggio di un gruppo di feudatari dove l'opprese lo sfruttamento della contadina sfinita e dei sione classe peones non aveva limiti. Nello Stato Morelos nel 1910 trentatré proprietari terrieri possedevano quasi tutte le terre coltivabili. Essi rappresentavano il potere supremo dello Stato, stabilivano le tasse, amministravano la giustizia insieme con la Chiesa e la polizia. Questa situazione del resto, in un modo o nell'altro, esisteva anche in altri Stati; fu l'origine di una rivoluzione permanente. Nel 1910 nello Stato Morelos tutti i peones insorsero. Sapevano di non aver niente da perdere, poiché non avevano neanche un palmo di terra propria. Non avevano altra speranza di liberazio¬ ne se non la rivolta. Quando pativano la fame e cercavano di rubare un po' di grano dai campi dei possidenti veniva loro amputata la mano. Il loro odio verso gli oppressori era abbastanza forte da far scoppiare un incendio rivoluzionario. Emiliano Zapata li invitò a seguirlo; tutti lasciarono le loro capanne e andarono dietro di lui incontro alla morte o alla vittoria. Zapata era figlio di un povero contadino. Quando aveva 8 anni il possidente del terreno in cui viveva la sua famiglia proibì che le mucche dei Zapata pascolassero sui suoi terreni, poiché intendeva seminare canna da zucchero. Dopo alcuni anni il possidente sottrasse ai contadini del villaggio di Zapata la terra su cui c'erano le loro capanne. I contadini si sollevarono, inviarono delegati nella capitale, assunsero un avvocato; querelarono anche Porfirio Diaz, ma tutto fu inutile. Allora i contadini, guidati da Emiliano Zapata (che aveva solo 16 anni), si impossessarono con la forza delle terre. Dal centro furono inviate in campagna delle truppe, i contadini furono uccisi, mentre Zapata fuggì con il fratello sulle montagne. Lì visse fino al 1910 quando gli giunse l'appello di Madero alla rivoluzione. Emiliano Zapata cominciò energicamente a riunire gente affamata, pronta a tutto. La calda sincerità del suo appello, la sua risolutezza attirarono verso di lui centinaia di contadini e peones. Durante gli otto anni della sua lotta contro il potere dei possidenti non ci fu nelle file dei suoi rivoltosi neanche un traditore. Più di una volta tentarono di corromperlo, offrendogli ingenti somme di danaro, perché mettesse fine alla lotta, ma ogni volta Zapata con disprezzo rifiutava. Il suo unico desiderio era di liberare i contadini messicani dallo sfruttamento dei proprietari terrieri e restituire loro le terre sottratte. Il programma di Zapata venne riassunto nel suo manifesto, noto come il «piano di Ajala». In questo manifesto egli reclama la restituzione ai contadini delle terre a loro sottratte, e inoltre la confisca delle terre che appartenevano ai latifondisti e la loro spartizione tra contadini e peones senza terra (...). Battaglione dopo battaglione, le truppe furono inviate nell'indocile Stato Morelos. Generale dopo generale, uno più sanguinario e violento dell'altro, capeggiarono spedizioni punitive contro gli insorti. Le truppe arrivavano nei villaggi, ordinandone la distruzione; davano fuoco a una casa dopo l'altra tra le grida raccapriccianti degli abitanti impazziti. Quando del villaggio rimanevano solo alcune mura bruciate, le truppe portavano vecchi, donne e bambini in città e li gettavano in carcere o anche semplicemente li abbandonavano alla loro sorte, all'accattonaggio, alla prostituzione. Quando nelle mani degli aguzzini capitava un uomo in grado di portare un'arma, la punizione era ancora più semplice. Allo sfortunato davano in mano una vanga, segnavano un pezzo di terra e l'ufficiale che presiedeva alla punizione di solito diceva: «Volevi le terre? Benissimo! Tu riceverai esattamente sei piedi di terra per la tua tomba». E con i fucili puntati su di lui il contadino doveva scavare la tomba dove avrebbero gettato il suo corpo dopo la fucilazione. Molti da soli mettevano il petto contro il fucile e morivano al grido «Viva Zapata!». Nessuna delle spedizioni punitive ebbe successo, nessuna di esse in otto anni riuscì a fermare il movimento di liberazione dei contadini sotto la guida di Zapata. Ma nel 1919 le truppe del governo di Carranza riuscirono a uccidere a tradimento Zapata. Lo Stato Morelos fu invaso dalle truppe. Quarantamila soldati sotto il comando del generale Pablo Gonzales, avido di sangue, di guadagni e carnefice di rara crudeltà, diedero alle fiamme villaggio dopo villaggio, senza risparmiare né donne né bambini. Queste orde portavano con loro terrore e distruzione. Tutto il raccolto fu distrutto, i boschi furono bruciati. Oltre 50.000 ettari di bosco furono arsi in cerca di Zapata e dei suoi soldati. Perfino le piantagioni di zucchero che gli «zapatisti» avevano trattato con cura vennero devastate. Ma Zapata e i suoi rivoltosi scapparono sulle montagne dove erano imprendibili; allora decisero di prenderlo con uno stratagemma. Con la scusa di un colloquio con i soldati, che avevano espresso il desiderio di unirsi ai rivoltosi, fecero scendere Zapata dalle montagne per un incontro. Egli non si accorse del tranello e si presentò al luogo stabilito, come era stato convenuto. Lì lo accolsero gli spari. Zapata cadde, trafitto dalle pallottole dei traditori. Zapata non aveva letto né Marx né Lenin, non sapeva nulla del comunismo ma il suo istinto interiore di contadino povero e sfruttato, di figlio di oppressi, di gente spietatamente sfruttata gli suggerì l'unica strada giusta: quella della lotta. Tina rVludouì Tina Modotti in un'immagine del 1920 e sotto Emiliano Zapata in abbigliamento da guerra A sinistra una foto dell'artista udinese

Luoghi citati: Messico, Mosca, Pordenone, Urss