A Gela il cimitero dei clan

A Gela il cimitero dei clan A Gela il cimitero dei clan In un campo resti di due corpi Si scava per cercare 5 ragazzi GELA NOSTRO SERVIZIO Nel regno di Giuseppe Madonia, la polizia cerca un cimitero della mafia. Si scava in un'impervia località dopo che resti umani carbonizzati che risalgono ad almeno un anno sono stati trovati in due punti diversi, a un centinaio di metri l'uno dall'altro, in una zona difficilmente raggiungibile se non a piedi, in contrada Piana «Mendola», sette chilometri dalla città e due dalla più vicina strada provinciale. «Un posto dimenticato - ha commentato uno degli investigatori della polizia - dove qualche pastore si avventura solo di tanto in tanto». Sul rinvenimento viene tenuto il più stretto riserbo. Non è stato detto ancora se i resti appartengano a una o a due persone, ma sembra valida la seconda ipotesi. Una parte delle osse è stata trovata in una fossa sulla quale era semisepolto il tettuccio di un motofurgone, bruciato. Anche gli altri resti sono state recuperati sottoterra. Si attende ora la perizia necroscopica, ordinata dalla procura di Gela, che coordina l'inchiesta. Si indagava da otto mesi, ma fino ad ora le ricerche erano infruttuose. Forse la «dritta» alla polizia era stata data da un pentito o da qualche mezza ammissione sfuggita a qualcuno durante i molti, lunghi interrogatori nell'ambito dell'istruttoria sulla faida durata tre anni e mezzo e conclusa l'anno scorso con l'insediamento definitivo di Giuseppe Madonia alla testa della cosca gelese, secondo la volontà di Salvatore Riina. Mancano le certezze, ma è forte il sospetto che il cimitero della mafia esista realmente, e nasconda tra gli altri i corpi di cinque ragazzi misteriosamente scomparsi dalla città fra il luglio del 1990 e lo scorso febbraio. Di loro non si è più saputo niente e di volta in volta, dopo la sparizione di ognuno, gli inquirenti hanno concordato sul fatto che si trattava di casi di «lupara bianca», mentre i familiari continuavano a sperare. I cinque sono: Crocifisso Portella di 23 anni, Francesco Licitra di 19, Giuseppe Scerra di 17, Giuseppe Ascia di 20 e Giuseppe Tumeo di appena 15 anni, il più piccolo che si era unito agli altri e al quale a quanto sembra erano riservate mansioni ben precise come quella di portare i messaggi alle vittime delle estorsioni. Infatti Portella e gli altri si erano messi in testa di far da soli e di gestire in proprio un racket ai danni di commercianti, imprenditori, professionisti e possidenti gelesi. E' poi risultato che Licitra era aggregato al clan di Madonia, mentre gli altri avrebbero agito da autonomi fin dall'inizio seguiti alla fine dallo stesso Licitra che per questo sarebbe stato punito come gli altri quattro. L'ordine di eliminare quei «picciotti» teste calde sarebbe partito dal vertice mafioso che da an¬ ni controlla il racket, autentica miniera, terrorizzando le vittime e pretendendo sempre più soldi in cambio della protezione. Chi trasgredisce sa a cosa va incontro: negozi, uffici e auto incendiati, case svaligiate, attentati, minacce di morte. Dopo la cattura e l'immediato trasferimento in un carcere di massima sicurezza dov'è guardato a vista, a Madonia si interessano i magistrati di cinque uffici, compresi quelli della Dda di Caltanissetta che indagano sulle ultime stragi di Capaci e via D'Amelio. Il procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra è intenzionato a sentire il boss dopo che avrà parlato con gli altri giudici e ancora ieri ha ripetuto che «non c'è fretta». Forse Tinebra vuol trovare «preparato» Madonia che era latitante da nove anni ad un'insperata quanto preziosa collaborazione? Intanto la Finanza in un recente rapporto aveva indicato Madonia fra i primi dieci di Cosa Nostra, ma non fra i primi cinque. Antonio Ravidà

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Gela