Col jazz di Giuffre è finita l'estate

Col jazz di Giuffre è finita l'estate I DISCHI Col jazz di Giuffre è finita l'estate INE estate tra le braccia del jazz. Un cesto di dischi per annegare nella buona musica la melanconia di un ritorno dalle vacanze. Un suono di clarinetto addolcisce sempre, anche i ritorni. Ecco allora quello di Jimmy Giuffre in «Jimmy Giuffre 3. 1961» (Ecm, 2 Cd, Lp). «E' stato detto che quando il jazz si fa morbido perde di sapore e di funkiness. Io penso che il jazz a mezzavoce può conservare gli aromi basilari e l'intensità che possiede quando è suonato a più alto volume, e allo stesso tempo forse rivela nuovi aspetti di feeling che la potenza sonora oscura», ebbe a dire nel 1956 Jimmy Giuffre e non si può che condividere, oggi più che allora, queste sue parole espresse nel periodo del suo discomanifesto «The clarinet of Jimmy Giuffre» inciso per l'Atlantic. Ora arrivano le ristampe della Ecm di album come «Fusion» e «Thesis» da tempo fuori catalogo e introvabili. Una ristampa accurata con un libretto attento, prezioso, arricchito da buon materiale iconografico d'epoca. Non ci sono però notizie sui brani inediti delle due sessioni. Si tratta di «Afternoon», il blues «Me too, temporarily», «Herb SIctus» (un frammento, una pausa di lavoro durante la quale i musicisti scherzano e discutono su come impostare il lavoro). Comunque un ottimo disco, dove vive un clima rarefatto, incantato, che lascia sospeso anche l'ascoltatore sulle note del clarinetto di Giuffre. Paul Bley e Steve Swallow fanno parlare anche le pause, seguendo lo stile del loro conduttore. Qui il jazz respira anche nei silenzi. Ora un'orchestra, quella di Jimmie Lunceford, che negli Anni 30 e 40 era dietro solo alle formazioni di Ellington e Basie. Pare poco? Gruppo di grande compattezza per uno swing di gran temperamento e brillante arrangiamento. Ecco allora l'occasione per ripassare quelle note purtroppo sempre più trascurate: «The music of Jimmie Lunceford» (Limelight, 1 Cd). Buona parte delle registrazioni riguardano il repertorio di Lunceford compreso fra l'«Organ Grinder's Swing» del 1936 e lo «Hi Spook» del 1941. Il jazz italiano continua un suo buon momento internazionale, con apprezzamenti e un certo seguito di critica e pubblico. Il sax di Monk e (sopra) GI criti I Mai Maurizio Giammarco è fra iuffre i migliori strumenti da esportazione del nostro jazz, per via del suo felice eclettismo. In «Saurian Lexicon» (Gala Becords, 1 Lp) ha scelto tre diverse formule strumentali, tutte basate sul proprio trio più stabile, ovvero la Day After Band (con Paolino Dalla Porta al contrabbasso e Manhù Roche alla batteria), che vede la chitarra aggiunta di Dario Lapenna. I brani di questo quartetto sono segnati da un affascinante e ammirevole scambio tra saxofono e chitarra, da confrontarsi con modelli americani celebrati come quello di Wayne Shorter insieme al trio MotianLovano-Frisell. Un disco ricco di sfumature e sorprese. Ad esempio «Dreaming apart» dove il trio inizia e poi subito si schiude al piano e all'intelligenza di Franco D'Andrea, protagonista anche nel successivo brano «Sconclusione». Ed ecco Thelonious Monk con due dischi: «Monk in France» (Riverside, 1 Cd) e «Live in Europe 1965» (Landscape 2 Cd). Quattro anni separano queste due performance europee, ma non sembra cambiato nulla nel quartetto di Monk, nonostante il cambio di batteria e basso, un più maturo rapporto tra il pianista e Rouse. Non è questo certo un difetto ma una fedeltà ad un impianto e ad una concezione dalle possibilità elastiche. Serve allo scopo ascoltare «I'm getting sentimental over you» nelle due versioni presenti e ci si accorge che non si tratta assolutamente di immobilità. Chi ama Monk, e colleziona le sue opere discografiche, sarà felice di conoscere che tutto il Cd dell'avventura europea è inedito. Ed è anche l'unico disco che testimonia il passaggio del pianista sul Vecchio Continente nel 1965. Fu l'anno in cui il quartetto fece la sua apparizione al Festival di Sanremo, ma di quella esibizione non c'è traccia. Evidentemente fu una partecipazione fuori dagli schemi, oppure a distanza di tempo in qualcuno c'è un po' di pentimento. Chissà. Alessandro Rosa saj Monk e (sopra) G

Luoghi citati: Sanremo, Vecchio Continente