Quercia e roulette

Quercia e roulette COME CAMBIA IL FESTIVAL BELL'UNITA' Quercia e roulette E ilpds piange sugli anni d'oro ISATE, nostalgia e sensazioni forti. E' cominciato da un bel po' di giorni il Festival dell'Unità. Però quest'anno più che per il comizio d'apertura di Lama, o per la tavola rotonda sul volontariato, i lettori post comunisti se ne sono accorti, a cinque colonne, per l'arrivo di Nilla Pizzi. Che dedicherebbe ad Occhetto la canzone sul Campanone di San Giusto «che faceva din-don». E dopo aver dispensato qualche valutazione politica positiva sulla figura del segretario, ha aggiunto: «Ma anche D'Alema mi piace». Paso rimpianto Anni Sessanta. Poi, l'altra sera, gran pienone per Maurizio Ferrini. Si ride sul «come eravamo». Si ride anche un po' per non piangere. Riso Anni Settanta, malinconico, variante Emilia-Romagna. Riso eccitato e trasgressivo, Anni Ottanta, davanti alla roulette e ai croupiers che per la prima volta, dopo la pubblicità, la moda, la borsa, l'astrologia, Dallas e «i ricchi piangono», sono entrati a contatto con il mondo post comunista. Rimarchevole (e rassicurante) la dichiarazione del segretario pds di Firenze (al cui festival è stata introdotta la novità): «Si tratta di una sorta di sottoscrizione per il partito, non un azzardo fine a se stesso». Ah, vabbè. Riso imbarazzato e nuovamente trasgressivo (come se di trasgressione ce ne fosse già poca) al dibattito semiserio sul sesso. Qui, a coordinare, il comico Roversi. Una signorina dell'Arci-gay faceva domandine, una anche sulla presunta omosessualità di un Pontefice. Chi indovinava ha ricevuto pacchettini di profilattici. Carla Corso, presidentessa sacerdotessa, ha insegnato ai compagni come si devono mettere e perciò si è aiutata con il microfono. A quel punto la discussione ha cercato di miscelare il ridicolo con l'utile, la rottura del tabù con lo spettacolo. Si è parlato comunque anche di realtà virtuale e della sua eventuale applicazione pornografica. Uno dei presenti e neanche il più giovane, il signor Zeno, ha dovuto dire a tutti quante volte alla settimana «lo fa». Per il resto, come ha scritto all'inizio l'Unità (ma da subito gli articoli si sono fatti sempre più esili, sempre meno numerosi, sempre più lontani dalla prima pagina), il festival «mantiene intatta la sua capacità di attrazione». E qualche dubbio, ma davvero, questa valutazione la ispira. Almeno a giudicare dalla copertura giornalistica. Colpisce invece, su un altro piano, la coazione gigantistica. L'armamentario festivaliero rimane in piedi fino al 20 settembre. Quasi un mese di durata, forse troppo, forse la speranza - non proprio giustificata - di ripetere quei raduni degli anni d'oro (prima metà dei Settanta). Fa un certo effetto di film già visto - e rivisto - il responsabile che anche quest'anno ti spiega che è stata più o meno costruita una città di 250 mila metri quadri, 45 mila dei quali coperti, con 18 tra ristoranti e punti di ristoro, eccetera. Suonano un po' a vuoto anche i discorsi sull'architettura e i colori prescelti. Non fanno un ottimo effetto - colpa senz'altro del periodo - le valutazioni su costi e ricavi: non è il momento migliore per aver fiducia nel partito imprenditore (anche quando, come nei festival, non fa nulla di male). Un po' logore, a essere cattivi, anche le solite osservazioni sulla quantità dei volontari che «alcuni, rinunciando alle ferie...». Non che non ci siano sacrifici, e residui di militanza pura, ed entusiasmo pulito, dietro a un festival. Così come è probabile che il baraccone sia soprattutto una necessità dal punto di vista economico. Però viene anche da chiedersi, fin dal nome, cosa ci sia mai da festeggiare, oggi. Ci si può domandare se la formula stessa non sia, per caso, invecchiata? O come mai, quest'anno, i giornalisti stanno alla larga da Reggio Emilia? Sono dubbi, domande che ri¬ guardano tutti i partiti che s'imbarcano in questo genere di manifestazioni, tanto rituali quanto rischiose. Ma soprattutto il pds, erede del pei, il vecchio pei che sui festival si era fatto un nome e un prestigio. E un'attenzione sicura, quasi automatica. Bene, l'altr'anno gli organizzatori si sono salvati in qualche modo con il gran rifiuto di Ingrao a partecipare e poi con lo stand dei frati missionari serviti. Adesso sono articoletti, se va bene. E' caduto nel vuoto il «giallo politico» su chi avrebbe dovuto aprirlo, questo festival, dato che il pds non ha più il presidente. Adesso, semmai, il raduno rischia di segnalarsi per la strenua volontà dimostrata da un partito che non è più del 35 per cento di tenere insieme tutto, vecchio e nuovo, e di accontentare tutti, giovani e anziani, con la citazione di papà Cervi, i metallari, i tortellini, la roulette, la questione morale. E la quercia, amore un po' dimezzato. Anche se a Reggio Emilia esistono e naturalmente si possono acquistare capi d'abbigliamento della «linea pds», con tante scuse ai compagni del garofano che queste ridicole concessioni al kitsch del consumismo partitico hanno incominciato a farle nei primi Anni Ottanta. Capetti che se si chiamavano addosso critiche quando a produrli eia un partito che andava bene, immaginarsi quando finiscono sugli stand di un partito che va male. Ed è questo, forse. Magari sta in questi due-tre anni terribili, magari si spiega proprio con un passato nobile e con la sensazione di non avercela fatta questo clima un po' sgangherato, tra l'amenità e lo sbraco, con punte che vorrebbero essere trasgressive, malinconiche, ironiche e invece finiscono per risultare fantozziane, piagnone e inutilmente autoflagellanti. Ironia: ce n'è un eccesso - oltretutto programmato - nel pds ludens. E l'effetto, come vien fuori dai resoconti del dibattito sul sesso, non è gradevole. Così quel costante trionfo di autoparodia ex fideista: si riderà pure, ma poi rimane dentro una sensazione di vuoto. O la smaniosa ricerca del «moderno» strambo che finisce per essere una specie di «nicolinismo» (dal cognome di Renato Nicolini, fantasioso assessore pei alla cultura di Roma, Anni Settanta) ma di ritorno. Intanto testi scientifici hanno fissato i confini della psicodinamica del post comunista, con relativa elaborazione del lutto e ricerca di «nuovi investimenti oggettuali». Questo dalla pseudoironia, della risata trasgressiva e post-scandalizzata, deve esserne uno. Esempi: dedicare una sezione ai fratelli Marx; portarsi il Gabibbo a una manifestazione; fare l'inserzione sul giornale («AAA segretario cercasi...»); o un bello spot con Raquel Welch mezza nuda e farle cantare, tra le palme, «Bandiera rossa». Ah, ah, ah. Non ci resta che ridere. Filippo Ceccarelii Si punta sul tavolo verde, si regalano preservativi Un mese fra tortellini e dibattiti a Reggio Emilia Massimo D'Alema A fianco la cantante Nilla Pizzi, titolo a cinque colonne sull'Unità

Luoghi citati: Emilia, Firenze, Reggio Emilia, Roma, Romagna