Un'ascesa «firmata» da 110 morti

Un'ascesa «firmata» da 110 morti Un'ascesa «firmata» da 110 morti Al centro della faida di Gela lo scontro con gli locolano GELA NOSTRO SERVIZIO Una lunga scia di sangue e lui, Giuseppe Madonia, sempre pronto a dettare legge per imporre il ferreo codice della sua cosca collegata a quella dei corleonesi. Senza guardare nessuno, senza provare rimorso neppure quando si tratta di sparare a donne e bambini. Vendetta e omertà sono gli elementi basilari di questa mafia gelese che fino a qualche anno fa, tutt'al più, controllava i pascoli, ma che poi si è trasformata con appalti e subappalti pubblici, estorsioni e droga. Si è arricchita e si è incattivita. Nella città di quasi 90 mila abitanti, 12 mila dei quali disoccupati, in prevalenza giovani, e con il più alto tasso di edilizia abusiva in Italia, quello di Giuseppe Madonia è un nome che fa paura. Il ragazzo che aveva frequentato l'istituto chimico industriale «Emanuele Morselli», figlio del vecchio capomafia di Valle- lunga, Francesco, ucciso in un agguato quattordici anni fa, è sempre stato considerato un boss che ha fondato il suo successo sulla capacità criminale più che sulle doti di mediazione tipiche dei capi d'un tempo. Così Madonia si è trovato subito dalla parte del clan vincente capeggiato da Salvatore Riina. La faida di Gela viene scatenata proprio da Madonia il giorno dell'antivigilia del Natale 1987. Il boss ordina l'eliminazione di Orazio Coccomini e Salvatore Lauretta, capi di una cosca di pastori che tenta di introdursi negli appalti del movimento terra appannaggio fino ad allora di Salvatore Pomara e Giuseppe Madonia. Una torta ghiotta per la pioggia di miliardi che la Cassa del Mezzogiorno fa arrivare su Gela e sul suo hinterland. Le fucilate con cui Coccomini e Lauretta vengono assassinati aprono il più cruento scontro mai avutosi fra i clan in Sicilia e per il quale, recentemente, sono stati richiesti 117 rinviii a giudi¬ zio: in tre anni e mezzo 110 assassinati, 150 tentativi di omicidio, un numero imprecisato di attentati. Il posto delle due vittime viene occupato da Salvatore locolano, 49 anni, originario di Collesano, sui monti delle Madonie vicino a Palermo, ma trapiantato a Gela prima come dipendente dell'Enichem, poi con il ruolo ben più redditizio di boss. Arrestato tre anni fa in Val d'Aosta per associazione mafiosa, Ioco)ano sostiene di essere all'oscuro di tutto. «Mi occupo di autotrasporti» dice. Viene ammanettato nella stessa operazione che, a comprova dell'esistenza di connessioni tra mafia e politica, porta in carcere Remigio Giunta, fratello dell'ex sindaco di Gela, Vincenzo, allora psdi. Ora locolano è al domicilio coatto sempre in Val d'Aosta. Gli inquirenti non dubitano che nella faida anche lui abbia svolto una parte tutt'altro che da comprimario. Un omicidio in risposta all'altro, un'ossessionante catena di vendette che sembrava non dover cessare: 29 omicidi nel 1988 e 44 l'anno seguente, 53 nel 1990 e 17 l'anno scorso quando si era ormai prossimi alla pax mafiosa seguita alla strage con 8 morti e 7 feriti il 27 novembre 1990. Madonia, uscito vincitore, ottiene il pieno riconoscimento della sua leadership da Aurelio Cavallo e Gaetano Ianni subentrati nel frattempo a locolano che capisce la musica e decide di starsene alla larga. L'irriducibilità del boss ora catturato è confermata da numerosi episodi e delitti che hanno contraddistinto la faida. Ma duri colpi vengono inferti anche a lui e ai suoi fedelissimi. La sera del 21 dicembre 1988 due killer irrompono nell'alloggio al piano terra del socio di Madonia e l'uccidono. Con Salvatore Pomara, 42 anni, vengono soppressi la moglie Giuseppina Maganuco di 41 anni e i figli Giuseppe e Marcello di 16 e 17; il più piccolo, Pietro, di 14 anni viene ferito. Con questo tenibile segnale di morte locolano, prima della re- sa, ha fatto sapere a Madonia che non tutto sarebbe stato facile. E ancora nel dicembre del 1989 cadono i fratelli Daniele e Rocco Cafà, grandi amici di Madonia, come lo sono d'altronde i principali bersagli nella strage del 27 novembre 1990 quando in una sala giuochi e contemporaneamente in tre altre zone della città, vengono soppresse 8 persone e 7 restano ferite. E' quasi certamente l'intervento «dall'alto» di Salvatore Riina a imporre l'armistizio e a sancire la supremazia di Madonia. Della faida parlano a lungo il «pentito» Salvatore Dominante e un ragazzino, il cui nome è ancora top secret che, allontanato da Gela, vive protetto dai servizi di sicurezza. Antonio Ravidà Tre anni di omicidi che non hanno risparmiato i bambini Obiettivo: appalti e droga II «pentito» Messina che ha contribuito all'arresto di Madonia Sotto Salvatore locolano capo della cosca rivale

Luoghi citati: Collesano, Gela, Italia, Messina, Palermo, Sicilia, Val D'aosta