Madonia, l'impresario del terrore

Madonia, l'impresario del terrore * In pochi anni, con un gioco d'alleanze, è diventato manager della Piovra e numero due fra i boss Madonia, l'impresario del terrore Con Totò Riina ordinò di uccidere Falcone e Borsellino ROMA. Il re del Vallone. Giuseppe «Piddu» Madonia è il dominatore incontrastato del Vallone, nel cuore di una Sicilia sconosciuta ai percorsi turistici e monumentali ma tanto cara ai cultori del potere mafioso. San Cataldo, Vallelunga, Gela, Butera, Mussomeli, territori aspri e difficili, citati (ma solo alcuni) di tanto in tanto in occasione di sanguinosi eccidi, quasi sempre liquidati frettolosamente come «faide paesane». Il Vallone, una lunga gola tra Caltanissetta ed Agrigento. Terra apparentemente priva di attrattive e invece crocevia nevralgico del nuovo potere mafioso imposto dall'asse nato tra «corleonesi» e «catanesi», dopo la pressoché totale liquidazione dei gruppi palermitani e la caduta libera della tradizionale «centralità di Palermo». Il Vallone è la nuova spina dorsale dei clan vincenti della Sicilia. E il capo del Vallone è Madonia, il padrino sorpreso dagli uomini del servizio centrale operativo mentre si credeva al sicuro in uno sperduto paesino del Veneto, protetto da un documento falso che lo accreditava come un onesto medico di provincia. Una carriera folgorante, quella di «Piddu» Madonia. Frutto certamente della sua lunga militanza nel gruppo corleonese, della devota fedeltà a Luciano Liggio, prima, e a Salvatore Riina, negli ultimi quindici anni. Caltanissetta ha avuto sempre un ruolo importante nella strategia avviata all'inizio degli Anni Settanta da Liggio. «Lucianeddu» è stato il più convinto assertore della necessità di creare una rete di alleanze, connivenze o anche semplici amicizie, all'interno della Sicilia, lasciando ai nemici l'illusione dell'onnipotenza, alimentata dallo stordimento provocato dalle luci della città, centellinando le frequentazioni nei palazzi del capoluogo e rifiutando le tentazioni metropolitane. Il risultato di questa paziente e silenziosa scelta è sotto gli occhi di tutti: un controllo pressoché totale del territorio, un esercito di affiliati poco conosciuti, una squadra di killer praticamente senza volto, in grado di compiere sortite in territorio nemico senza essere mai riconosciuti. No, non è un caso se Giuseppe Madonia ha scalato in fretta la piramide di Cosa Nostra, piazzandosi al vertice, ormai accanto al «numero uno», don Totò Riina, latitante da sempre, conosciuto dagli ami ci come «'u curtu», bollato dagli avversari e dai pentiti con un no mignolo terribile: «la belva». E solo da lui e da Riina poteva giungere l'ordine di «farla finita» con i giudici Falcone e Borsellino. Ha appena 45 anni, «Piddu» Nato a Vallelunga Pratameno, è cresciuto alla scuola della mafia di San Cataldo, roba di prima qualità. Ha respirato sin da pie colo il rigido clima della cosid detta «onorata società». Figlio di mafioso, figlioccio di mafioso Unico erede del prestigio e del potere di don «Ciccio», il padre, e di don Salvatore Mazzarese, che lo battezzò. Che pezzo da novanta, pure questo padrino. Di don Salvatore parla il pentito catanese Antonino Calderone. Dice che è capomandamento di Villalba, centro del Nisseno entrato nella mitologia di Cosa Nostra per aver dato i natali al boss Calogero Vizzini. In che cosa consiste il «valore» di don Salvatore? Naturalmente, come vuole la logica criminale, nella capacità di uccidere. Racconta Calderone che Mazzarese si distinse per aver fatto parte del commando che massacrò l'albergatore Candido Ciuni. La vittima si trovava in ospedale, a Palermo, ferito da alcuni sicari che lo avevano accoltellato su ordine di Giuseppe Di Cristina, boss di Riesi. Una notte, mentre dormiva, entrarono tre falsi infermieri e saldarono il conto. Dello scem¬ pio fu testimone la moglie di Ciuni, che riposava in un lettino accanto, nella stessa stanza dell'ospedale. Come poteva «fallire», il ragazzo, tirato su da simili maestri e da un padre, don'«Ciccio», che passava la vita a far riunioni su riunioni per decidere chi doveva morire e chi meritava di essere risparmiato? Tanta attività, però, non lo salvò dalla spirale della violenza che lui stesso regolava. Fu ucciso, don Ciccio. Per ordine di uno più svelto di lui: era il giovane, rampante e impaziente Giuseppe Di Cristina. Lo fecero fuori sulla strada per Catania. Così Giuseppe Madonia, orfano, per forza di cose, divenne «Piddu» e imbracciò il fucile, scolpendosi nella mente i nomi degli assassini di suo padre. Che fatica, comandare. Sebbene giovanissimo, «Piddu» dimostra subito buone attitudini e persino insospettabili qualità di fiuto e capacità diplomatiche. Forse si dimostra un po' troppo arrogante, se il pentito Calderone lo ricorda col soprannome di «Piddu chiacchiera», nel senso che dice qualche parola di troppo. Può vantare già qualche «trascorso». Per esempio un furto alla Cassa di Risparmio di Troisdorf, in Germania. L'emigrante Madonia viene accusato dai magistrati di Bonn, ma mancano le prove e quindi rimpatrio con tante scuse. E' il primo processo della sua «carriera», preceduta solo da una contravvenzione al codice della strada e chiusa da una condanna per associazione mafiosa al maxiprocesso di Palermo. Ma «Piddu» è troppo giovane, motivo per cui non può comandare subito. Gli si affiancano due «saggi» e le cose procedono bene per un certo periodo. Poi arriva il tempo della guerra. A Palermo viene ucciso Giuseppe Di Cristina. La vendetta di «Piddu»? I pentiti non hanno dubbi, anche se aggiungono che l'iniziativa non poteva avere futuro senza il voto favorevole dei «corleonesi». E forse è così: da quel momento, infatti, prende il via lo scontro più cruento della storia di Cosa Nostra (più di mille vittime, tra morti e scomparsi). La guerra di espansione dei «corleonesi». E Madonia è già un boss. A 40 anni fa già parte del «nuovo gruppo dirigente»: un ristretto numero di capi che ha sbaragliato gli avversari, i boss della vecchia mafia di Palermo, quelli che con disprezzo definivano i clan della provincia «accolita di pecorai». Sì, i pecorai hanno vinto, sono quasi tutti vivi e pieni di soldi. I pecorai pianificano strategie mafiose, militari, economiche e finanziarie. E quando non ce la fanno da soli, «comprano» ciò che gli serve: dagli avvocati ai consulenti, e poi medici, notai, funzionari, banche e tutto ciò che serve. Anche giudici, se è necessario. Di ciò parlerà poi il pentito Leonardo Messina, vicecapomandamento di San Cataldo. Sarà proprio lui, Messina, che con preziose indicazioni metterà la polizia sulle tracce di «don Piddu», in Veneto. E quanto è vasto il business di Madonia. Ne è passato di tempo, da quando faceva «l'uomo di fiducia» per conto dell'impresa Graci di Catania. Vedeva i soldi passargli sotto il naso e solo ogni tanto riusciva a trattenerne un po'. La Guardia di Finanza gli chiede quale sia la sua attività e lui, quasi con arroganza: «Fino al 1974 ho lavorato per l'impresa Graci». Poi lo ritrovano imprenditore, con residenza a Caltanissetta, in una bella casa di contrada Firrio. Sposato con Giovanna Santoro, padre di due bambine costrette negli ultimi anni a frequentare una scuola privata in provincia di Catania, quasi da clandestine. Impresario: così viene definito nella proposta per le misure di prevenzione. E spuntano le mille imprese di cui dispone, direttamente o per mezzo di prestanome. Gli appalti: eccola la grande mammella. Madonia «stringe» coi catanesi di Nitto Santapaola. Una volta che sono riusciti a disfarsi dei «vecchi» boss come Pippo Calderone o Francesco Cinardo, non hanno più concorrenti. Non c'è opera pubblica che non passi per le loro tasche. Che miniera la società Po.Ma., gestita insieme con Salvatore Polara, «buonanima» perché ucciso non si sa da chi. Oppure l'impresa condotta con Nicolò Maugeri, braccio destro di Santapaola, tutta protesa verso il «Progetto speciale n. 2» della Cassa per il Mezzogiorno che prevede una cascata di miliardi per Gela. E che dire dei contatti con le banche? Azionista della famigerata «Don Bosco» di San Cataldo con (ufficialmente) duemila azioni, mille per lui, mille per la moglie. E poi tanti conti: alla Cassa Rurale di Vallelunga, alla Banca di Monte Sant'Agata di Catania, alla Cassa di Risparmio di Caltanissetta e Vallelunga, alla Banca Sicula, alla Banca di Credito San Giuliano di Gela. E siamo alle dolenti note. Gela è la spina nel cuore di «don Piddu». Lì il boss ha subito l'onta di dover sostenere una faida lunga e sanguinosa con un gruppo criminale che Cosa Nostra non ha mai voluto riconoscere. Una faida sfociata, nel novembre del 1990, nella famosa strage di Gela: otto morti e sette feriti. Si chiamano «Stiddari» (uomini delle stelle), i ribelli, e prendono il nome di un antico gruppo di pastori di Favara organizzati da un boss che Cosa Nostra aveva espulso. Sul terreno dei subappalti per la costruzione della diga «Desueri» rimangono più di cento cadaveri in 4 anni. Eppure «don Piddu» non è riuscito ancora a liberarsi della «resistenza» contro Cosa Nostra. Ma non ne risente la sua ascesa. A sentire i pentiti, il padrino, Totò Riina, gli vuole molto bene. Fanno affari insieme. Hanno legato molto Una vera amicizia. Una nuova stella, che sembra aver offuscato la luce di collaudate alleanze. Co me quella che legava il «capo dei capi» al vecchio amico d'infanzia Bernardo Provenzano. Francesco La Licata Figlio di un padrino ha eliminato tutti i rivali Ma fino a poco tempo fa aveva a suo carico soltanto una multa LA CUPOLA U DI COSA NOSTRA LIA FAMIGLIA MINORE [TRAPANI] FAMIGLIA CARUANA [AGRIGENTO! CALOGERO MINORE PASQUALE CARUANA Giuseppe Madonia ha 45 anni. Sopra, il boss si copre il volto con il mandato di cattura per evitare di essere ripreso durante l'arresto [foto errebij LA FAMIGLIA DI CALTANISSETTA GIUSEPPE MADONIA capo, rappresentante provinciale, CALOGERO SIN ATRA vice-capo, arrestato GIUSEPPE CIPOLLA rappresentante, arrestato FILIPPO ANZALONE uomo d'onore^Vrestato ROSOLINO CASTIGLIONE i uomo d'onore, arrestato BENIAMINO MAIRA uomo d'onore . CALOGERO DI GIOVANNI uòmo d'onore, arrestato' : SALVATORE FRATERRIGO I uomo d'onore, arrestato : GAETANO PACINO uomo d'onore, arrestato GIUSEPPE RINALDI uomo d'onore GIROLAMO PIRROUTTO uomo d'onore, arrestato CALOGERO RINALDI uomo d'onore LORETO INSINNA uomo d'onore, latitante FRANCESCO SEGGIO uomo d'onore, arrestato SALVATORE MAZZARISI uomo d'onore, arrestato ATTILIO PILATO uomo d'onore Sopra l'organigramma della mafia. Si tratta della commissione.regionale che decide affari e omicidi. A sinistra il «clan» dei Madonia della provincia di Caltanissetta come è stato ricostruito dagli esperti dei carabinieri. La «famiglia» è in netto contrasto con la cosca gelese capeggiata da Salvatore locolano