Torna a parlare il pentito di Borsellino

Torna a parlare il pentito di Borsellino Ha rivelato il nome di un quarto killer che avrebbe partecipato all'assassinio di Livatino Torna a parlare il pentito di Borsellino In una caserma di Bolzano PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' in Italia Gioacchino Schembri, 37 anni, uno dei presunti mafiosi di Palma di Montechiaro, trapiantato a Mannheim, in Germania, dove gestisce una pizzeria. Era stato interrogato da Paolo Borsellino poco prima che il giudice fosse ucciso il 19 luglio in via D'Amelio. Secondo alcune indiscrezioni sta «parlando» in una caserma dei carabinieri a Bolzano, dov'è stato portato in gran segreto. Schembri, da tempo, ha scelto di fare il «pentito», probabilmente per limitare i guai che gli sono piovuti addosso quando il 14 aprile ingaggiò un conflitto a fuoco con i carabinieri e agenti della polizia criminale tedesca, andati ad arrestarlo nell'ambito di una inchiesta sulle cosche mafiose agrigentine. Ora, la moglie e i suoi tre figli in Germania sono guardati a vista: si teme che la mafia voglia ucciderli per punirlo, dopo le rivelazioni che avrebbe fatto a Borsellino. Schembri, che nell'alloggio sopra la pizzeria teneva due fucili a canne mozze, sta raccontando molte cose sulle cosche agrigentine, specialmente in relazione gli omicidi del giudice Livatino (21 settembre '90), e del maresciallo Giuliano Guazzelli (4 aprile scorso). Delitti ai quali Borsellino stava interessandosi dopo che le due inchieste erano state avocate dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo. E Schembri avrebbe anche fatto il nome di un quarto componente il commando che assassinò Livatino nell'agguato sulla Caltanissetta-Agrigento: si tratterebbe di un certo Benvenuto. Di più, per il momento, non si sa. Gli altri del commando sarebbero Paolo Amico e Domenico Pace, «picciotti» di Palma di Montechiaro, unici imputati nel processo che si celebra dall'ottobre scorso in Assise a Caltanissetta. Il prossimo 24 i giudici andranno in Germania per interrogare con rogatoria alcuni testi importanti. Il nome del terzo assassino di Livatino, che sarebbe Gaetano Puzzangaro, pure palmese, estradato nei giorni scorsi dalla Germania e ora in carcere a Caltanissetta, Schembri l'avrebbe rivelato mesi fa a un altro «pentito», il tedesco Heiko Kschinna, accusato per un traffico di armi e droga. A Palermo, intanto, la Mobile ritiene di aver scoperto chi rubò la 126 trasformata in micidiale autobomba per la strage in via D'Amelio. Sarebbe il pregiudicato Salvatore Candura, 31 anni, in passato accusato di associazione per delinquere e rapine. Avrebbe agito d'accordo con due parenti di Pietrina Valenti, proprietaria dell'utilitaria, Luciano e Roberto Valenti, zio e nipote, 28 e 20 anni. I tre sono stati arrestati. Ma il caso si complica, come quasi sempre a Palermo dove le indagini sulla mafia so- no sistematicamente contorte, sempre a un passo dall'essere sviate. L'accusa per i tre, infatti, è di violenza carnale e rapina. Ai due Valenti e a Candura, la polizia è risalita partendo dalla denuncia di uno stupro fatta da una vetrinista. La giovane, 26 anni, si era presentata alla polizia affermando che la sera del 29 luglio era stata violentata a turno dai tre che ingenuamente aveva invitato nel suo alloggio. L'avrebbero drogata con una pillola e quindi stuprata. Prima di lasciare l'appartamento, i tre, più balordi che mafiosi, avrebbero tolto dalla sua borsetta 100 mila lire. E' quasi certo che la 126 fu posteggiata in via D'Ame¬ lio al posto di un'altra vettura che era lì da giorni. Intercettata la telefonata con cui Borsellino aveva annunciato alla madre e alla sorella il suo arrivo intorno alle 16, i mafiosi ebbero il tempo di preparare l'autobomba facendola poi esplodere con un congegno a distanza appena il giudice scese dall'auto blindata, seguito dalla scorta. Le indagini sui tre, comunque, sono appena all'inizio. Il responsabile dell'inchiesta, il procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Gianni Tinebra, in un'intervista al settimanale «Panorama», esclude che le stragi di Capaci e via D'Amelio siano opera del cartello di Medellin o dei trafficanti di droga venezuelani: «Mi parrebbe molto strano - osserva Tinebra - non c'è una pista che non sia seguita, ma qualcuna prende più consistenza. Ed è l'ipotesi che vede Cosa Nostra siciliana protagonista assoluta, ovvero ideatrice delle stragi, mandante, organizzatrice, esecutrice sia pure per interposta persona». Tinebra riconosce che le due stragi hanno contribuito ad incrementare sensibilmente il pentitismo, agevolato, del resto, e aggiunge: «Finalmente una nuova normativa dà protezione e vantaggi a chi collabora». Antonio Ravidà A Palermo l'inchiesta su uno stupro fa scoprire chi rubò la «126» trasformata nell'autobomba L'arrivo in Italia di Paolo Amico, uno dei presunti killer del giudice Rosario Livatino. Dopo il delitto si era rifugiato in Germania. Ora un pentito afferma che un altro sicario è ancora in circolazione Il giudice Paolo Borsellino, ucciso con tutta la scorta dall'autobomba in via D'Amelio, era procuratore aggiunto a Palermo e stava lavorando assiduamente con il pentito che adesso sarebbe tornato a collaborare Torna a parlare il pentito di Borsellino Ha rivelato il nome di un quarto killer che avrebbe partecipato all'assassinio di Livatino Torna a parlare il pentito di Borsellino In una caserma di Bolzano PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' in Italia Gioacchino Schembri, 37 anni, uno dei presunti mafiosi di Palma di Montechiaro, trapiantato a Mannheim, in Germania, dove gestisce una pizzeria. Era stato interrogato da Paolo Borsellino poco prima che il giudice fosse ucciso il 19 luglio in via D'Amelio. Secondo alcune indiscrezioni sta «parlando» in una caserma dei carabinieri a Bolzano, dov'è stato portato in gran segreto. Schembri, da tempo, ha scelto di fare il «pentito», probabilmente per limitare i guai che gli sono piovuti addosso quando il 14 aprile ingaggiò un conflitto a fuoco con i carabinieri e agenti della polizia criminale tedesca, andati ad arrestarlo nell'ambito di una inchiesta sulle cosche mafiose agrigentine. Ora, la moglie e i suoi tre figli in Germania sono guardati a vista: si teme che la mafia voglia ucciderli per punirlo, dopo le rivelazioni che avrebbe fatto a Borsellino. Schembri, che nell'alloggio sopra la pizzeria teneva due fucili a canne mozze, sta raccontando molte cose sulle cosche agrigentine, specialmente in relazione gli omicidi del giudice Livatino (21 settembre '90), e del maresciallo Giuliano Guazzelli (4 aprile scorso). Delitti ai quali Borsellino stava interessandosi dopo che le due inchieste erano state avocate dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo. E Schembri avrebbe anche fatto il nome di un quarto componente il commando che assassinò Livatino nell'agguato sulla Caltanissetta-Agrigento: si tratterebbe di un certo Benvenuto. Di più, per il momento, non si sa. Gli altri del commando sarebbero Paolo Amico e Domenico Pace, «picciotti» di Palma di Montechiaro, unici imputati nel processo che si celebra dall'ottobre scorso in Assise a Caltanissetta. Il prossimo 24 i giudici andranno in Germania per interrogare con rogatoria alcuni testi importanti. Il nome del terzo assassino di Livatino, che sarebbe Gaetano Puzzangaro, pure palmese, estradato nei giorni scorsi dalla Germania e ora in carcere a Caltanissetta, Schembri l'avrebbe rivelato mesi fa a un altro «pentito», il tedesco Heiko Kschinna, accusato per un traffico di armi e droga. A Palermo, intanto, la Mobile ritiene di aver scoperto chi rubò la 126 trasformata in micidiale autobomba per la strage in via D'Amelio. Sarebbe il pregiudicato Salvatore Candura, 31 anni, in passato accusato di associazione per delinquere e rapine. Avrebbe agito d'accordo con due parenti di Pietrina Valenti, proprietaria dell'utilitaria, Luciano e Roberto Valenti, zio e nipote, 28 e 20 anni. I tre sono stati arrestati. Ma il caso si complica, come quasi sempre a Palermo dove le indagini sulla mafia so- no sistematicamente contorte, sempre a un passo dall'essere sviate. L'accusa per i tre, infatti, è di violenza carnale e rapina. Ai due Valenti e a Candura, la polizia è risalita partendo dalla denuncia di uno stupro fatta da una vetrinista. La giovane, 26 anni, si era presentata alla polizia affermando che la sera del 29 luglio era stata violentata a turno dai tre che ingenuamente aveva invitato nel suo alloggio. L'avrebbero drogata con una pillola e quindi stuprata. Prima di lasciare l'appartamento, i tre, più balordi che mafiosi, avrebbero tolto dalla sua borsetta 100 mila lire. E' quasi certo che la 126 fu posteggiata in via D'Ame¬ lio al posto di un'altra vettura che era lì da giorni. Intercettata la telefonata con cui Borsellino aveva annunciato alla madre e alla sorella il suo arrivo intorno alle 16, i mafiosi ebbero il tempo di preparare l'autobomba facendola poi esplodere con un congegno a distanza appena il giudice scese dall'auto blindata, seguito dalla scorta. Le indagini sui tre, comunque, sono appena all'inizio. Il responsabile dell'inchiesta, il procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Gianni Tinebra, in un'intervista al settimanale «Panorama», esclude che le stragi di Capaci e via D'Amelio siano opera del cartello di Medellin o dei trafficanti di droga venezuelani: «Mi parrebbe molto strano - osserva Tinebra - non c'è una pista che non sia seguita, ma qualcuna prende più consistenza. Ed è l'ipotesi che vede Cosa Nostra siciliana protagonista assoluta, ovvero ideatrice delle stragi, mandante, organizzatrice, esecutrice sia pure per interposta persona». Tinebra riconosce che le due stragi hanno contribuito ad incrementare sensibilmente il pentitismo, agevolato, del resto, e aggiunge: «Finalmente una nuova normativa dà protezione e vantaggi a chi collabora». Antonio Ravidà A Palermo l'inchiesta su uno stupro fa scoprire chi rubò la «126» trasformata nell'autobomba L'arrivo in Italia di Paolo Amico, uno dei presunti killer del giudice Rosario Livatino. Dopo il delitto si era rifugiato in Germania. Ora un pentito afferma che un altro sicario è ancora in circolazione Il giudice Paolo Borsellino, ucciso con tutta la scorta dall'autobomba in via D'Amelio, era procuratore aggiunto a Palermo e stava lavorando assiduamente con il pentito che adesso sarebbe tornato a collaborare