Scatenati gli skin italiani di Maria Grazia Bruzzone
Scatenati gli skin italiani Scatenati gli skin italiani Violenze a Roma per imitare i tedeschi ROMA. Attacchi xenofobi sul litorale laziale, scontri fra bande di teste rasate alla periferia di Roma, agguati a Ostia contro un gruppo di polacchi. Sulla scia dei fatti tedeschi, gli episodi di aggressione da parte di bande di giovani con giubbe borchiate e capelli a zero si moltiplicano anche in Italia. Ma gli stessi inquirenti, che parlano di un migliaio di «skin» in Italia, si dicono spesso incerti sulla loro connotazione: sono skinheads o naziskin i protagonisti di questa nuova ondata aggressiva, teppisti qual¬ siasi che adottano i segni esteriori degli «skin» o militanti che si riconoscono in un'ideologia violenta e xenofoba tale da giustificare l'etichetta di neonazisti? L'associazione di volontariato «Senzaconfmi» che ha denunciato due dei gravi fatti di razzismo per i quali ha indetto una manifestazione lunedì prossimo, non esita a chiamare naziskin i protagonisti. A Lavinio, un gruppo di ragazzi ha dato l'assalto all'hotel Betlemme che ospita 140 pakistani trasferiti un anno fa dall'ex Pantanella, rompendo i vetri dell'albergo a colpi di pietre e spranghe. A Castelfusano, vicino a Ostia, una banda ha bersagliato di sassi e bottiglie molotov le auto su cui dormivano immigrati polacchi, scagliandosi poi contro i poveretti che cercavano di sfuggire alle fiamme. Numerosi immigrati sono rimasti feriti o contusi. Eppure, proprio su questo secondo, più grave episodio, ci sono due testimonianze diverse: Gli infermieri del centro di soccorso e gli stessi polacchi che parlano di criminali comuni, altri testimoni che giurano sulla qualifica di «naziskin» attribuitasi da alcuni giovani. Sicura, invece è la Digos di Roma nell'escludere l'appartenenza a gruppi politici precisi da parte delle due bande di ragazzi, molti dei quali minorenni, che l'altra notte si sono scontrati nel quartiere Tuscolano, intorno a Cinecittà. «Ne abbiamo fermati solo 5 perché gli altri erano minorenni. Avevano spranghe, molotov, erano vestiti da skinheads, ma di qui a definirli «naziskin» ce ne corre», spiega un dirigente della Digos che aggiunge «forse un tempo li chiamavano teddy boys». Secondo il Viminale, gli aderenti a gruppi razzisti non sono in Italia più di un migliaio, circa 250 a Roma, gli altri a Milano, nel Veneto, in Sardegna, e in Emilia. «Ma dal punto di vista ideologico, non vanno oltre lo scimmiottamento di slogan e atteggiamenti nazisti». Anche per il sociologo Luigi Manconi è utile distinguere, e a suo parere, nella subcultura giovanile che si richiama agli storici «skinheads» dei primi anni 70, la discriminante, oltre al machismo e all'amore per la gerarchia, è soprattutto la violenza. «C'è chi adotta solo i segni esteriori, chi fa proprio uno stile e chi si si richiama più esplicitamente ai valori aggressivi e razzisti. In ogni caso - aggiunge - il rischio vero è che questi adolescenti oggi possano sentirsi, e soprattutto essere avvertiti dalla gente, come vendicatori di una frustrazione che è diffusa e reale, legata all'impatto dell'immigrazione. E' questa strana collusione che potrebbe alla fine diventare pericolosa». Maria Grazia Bruzzone
Persone citate: Luigi Manconi, Pantanella
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