Sardegna, Francesca esce dal giallo

Sardegna, Francesca esce dal giallo Si chiama così la moglie di uno degli arrestati per l'agguato agli alpini Sardegna, Francesca esce dal giallo Ma la giovane nega: non ho mai conosciuto quei militari Contro i tre in carcere c'è la perizia sul fucile sequestrato NUORO NOSTRO SERVIZIO C'è davvero una donna contesa dietro l'agguato dello scorso agosto contro cinque alpini del battaglione «Susa», feriti alla periferia di Mamoiada. Le indagini dei carabinieri hanno ridimensionato drasticamente la portata della vicenda: fu delitto d'onore, un episodio di malintesa «balentia» barbaricina, non un attacco all'esercito e quindi allo Stato. I due giovani che nel centro del Nuorese aprirono il fuoco contro un gruppo di militari impegnati nell'operazione «Forza Paris» volevano vendicare l'orgoglio di un compaesano che, a torto o a ragione, lamentava eccessive attenzioni dei ragazzi in divisa nei confronti della moglie. «Ci hanno sparato dopo aver chiesto chi di noi stesse uscendo con Francesca», avevano raccontato gli alpini feriti, Renzo Benino e Gabriele Brero, originari rispettivamente di Montezemolo e Monasterolo (Cuneo), Yuri Gregori, Gianfranco D'Agostino e Massimiliano Bagnato. E una Francesca appare nei verbali inviati alla magistratura dagli investigatori. E' la moglie ventiquattrenne di Francesco Sella, 29 anni, allevatore, arrestato l'altra sera con quattro compaesani, gli operai Stefano Mulas, Salvatore Cadinu, Carmelo Siotto e il pastore Mario Piras. Chi la conosce racconta che è la tipica ragazza sarda, non una bellezza vistosa: mèdia statura, capelli ed occhi castani. Lei non parla, ma radio paese fa sapere che ha smentito seccamente d'essersi fatta notare al fianco di un militare anche per una semplice passeggiata: mai frequentati i coetanei in divisa giunti a metà luglio per aiutare le forze dell'ordine a tenere sotto controllo le campagne dopo il sequestro di Farouk Kassam. E la tesi pare sia stata ribadita dal marito, accusato di tentato omicidio con Stefano Mulas e Salvatore Cadinu (gli altri due giovani finiti in cella devono rispondere di «fabbricazione, porto e detenzione di arma da sparo»). «E' tutto un equivoco», avrebbe detto l'allevatore al momento del fermo, sostenendo d'essere stato in compagnia della moglie mentre scattava l'aggressione degli alpini. Sarà interrogata sabato dal magistrato che conduce l'inchiesta e, di certo, confermerà l'alibi. Ma nei confronti degli arrestati, carabinieri e magistratura sembravano avere in mano solidi indizi. Innanzitutto il rudimentale fucile sequestrato nell'ovile di Mario Piras qualche giorno dopo l'imboscata. Una perizia balistica effettuata a Roma avrebbe dimostrato che i bossoli trovati sul luogo della sparatoria sono stati espulsi dall'arma sotto sequestro. E poi c'è il collegamento sul nome di Francesca. Gli addebiti mossi dagli inquirenti fanno capire che, a loro parere, l'episodio non ha più segreti. Gli sconosciuti che si pararono davanti ai ragazzi in divisa erano solo due, eppure l'accusa di tentato omicidio è stata mossa a tre indiziati (l'ultimo complice ha agito come «palo»? O è il possibile mandante?). Dubbi destinati a resistere ancora per qualche giorno. Mentre sembra chiaro fin d'ora che a Carmelo Siotto e Mario Piras viene attribuito un ruolo secondario: avrebbero costruito e messo a disposizione il rudimentale fucile usato alla periferia di Mamoiada. Tasselli che, presto o tardi, saranno ricomposti, sempre che non trionfino le proteste di innocenza dei sospettati. Ma il punto è un altro. Se i carabinieri hanno colto nel segno, cade l'elemento più preoccupante della pur grave vicenda: le fucilate di Mamoiada non hanno alcuna connotazione politica né, tantomeno, terroristica. Non c'è in Sardegna un rigurgito di separatismo o una rivolta diffusa contro la presenza dell'esercito nell'isola. E la sparatoria è stata solo la risposta, eccessiva, ad un presunto gesto di gallismo. Un fatto di gelosia. Ne ha preso atto con soddisfazione anche il sindaco di Mamoiada, Francesco Meloni, pidiessino, che pure ha spiegato di attendere l'esito dell'inchiesta e quindi il definitivo accertamento delle responsabilità. I militari per noi non sono affatto «Rambo colonizzatori», ha scritto in un intervento inviato avant'ieri ai quotidiani sardi. «Gli alpini del battaglione Susa - ha aggiunto - si sono fatti accettare con simpatia dall'amministrazione comunale e dal paese di Mamoiada». Corrado Grandesso Renzo Bertlno, uno degli alpini del battaglione «Susa» rimasti feriti nell'agguato di Mamoiada