Cinque settimane di scioperi frenano il «sogno polacco» di Foto Ap

Cinque settimane di scioperi frenano il «sogno polacco» Il governo rifiuta gli aumenti, timori di fuga dei capitali stranieri. Bloccata la fabbrica della Fiat a Tychy Cinque settimane di scioperi frenano il «sogno polacco» VARSAVIA DAL NOSTRO INVIATO Pesante e soffocante come l'estate afosa che da giorni grava sull'intero Paese l'ondata di scioperi «selvaggi» che ha investito il settore produttivo, al centro di un massiccio processo di privatizzazione, sta mettendo alle corde la Polonia postcomunista. Sobillata da frange oltranziste dell'ex sindacato marxista, sostenuta da alcune «schegge impazzite» nate dalle costole di Solidarnosc, la protesta operaia, esplosa cincjue settimane fa nelle miniere di carbone dell'Alta Slesia per poi colpire a macchia di leopardo numerosi stabilimenti industriali, non accenna a rientrare nonostante i tentativi di mediazione varati dal governo della signora Hanna Suchocka. E' il classico dialogo fra sordi che vede impegnati da una parte l'esecutivo trincerato dietro la difesa ad oltranza dell'austerità economica con in testa il presidente Lech Walesa («Non abbiamo soldi per accogliere le rivendicazioni salariali a meno di stampare carta moneta che riaccenderà l'inflazione») e sul versante opposto sei mini-organizzazioni sindacali: l'ala dura di Solidarnosc '80, i verdi della Samobrona ed i comitati spontanei che si richiamano agli ultras dell'estrema sinistra. In tutto, appena qualche centinaio di arrabbiati capaci però di coagulare attorno a sé il malcontento popolare alimentato a sua volta dalle indubbie ristrettezze economiche in cui versa la nazione. A farne le spese sono gli investitori stranieri, decisi a fornire ingenti capitali in un mercato ricco di prospettive, che si vedono costretti ad attendere che la tempesta si plachi. Come la Fiat, che ha messo in bilancio due miliardi di dollari per l'acquisizione della Fsm di Tychy e costretta ora a subire il blocco della produzione della Cinquecento e della 126, come Luigi Lucchini, ex presidente della Confindustria, impegnato nelle trattative per il controllo dell'impianto siderurgico di Huta Warszawa. La situazione è incandescente e proprio ieri si è levato un coro di voci ufficiali a denunciare i pericoli che l'ondata incontrollata rischia di ingigantire. In primo luogo ne andrebbe di mezzo, ha tuonato il ministro del Lavoro Jacek Kuron in un'intervista a «Gazeta Wyborcza», l'immagine stessa della Polonia tesa a diventare il paradiso promesso delle iniziative private. «Se l'accordo con la Fiat dovesse fallire», dice il leader storico di Solidarnosc con sulle spalle nove anni trascorsi nelle galere jaruzelskiane, «la bancarotta diventa l'unica alternativa, almeno diecimila operai perderanno il lavoro». Gli hanno fatto eco in serata le dichiarazioni rese in televisione dal ministro delle Privatizzazioni Lewandowski («Così non si può andare avanti, il buon senso deve prevalere») e del Commercio estero Arendarski («Abbiamo bisogno dispera- to della pace sociale»). Di certo, il governo della «lady di ferro» polacca non intende scendere a patti con i piccoli sindacati considerati «fuorilegge». Se allentasse i cordoni della borsa, la richiesta di aumenti potrebbe dilagare in modo incontrollabile mettendo a dura prova gli sforzi del potere centrale nel rimettere in moto la congiuntura interna, oltre a perdere i finanziamenti, adesso congelati, del Fondo monetario internazionale assieme alla credibilità di interlocutore affidabile. Un segnale l'ha comunque già inviato spedendo 80 lettere di licenziamento agli scioperanti presso i cantieri navali di Danzica. Risultato, il rientro immediato dell'agitazione. Sul clima di incertezza è intervenuto anche il settimanale di ispirazione liberal «Wprost». «Senza capitali stranieri in Polonia ci vorrebbe il miracolo, ma non riusciamo ad immaginarlo nemmeno con l'aiuto del Papa. Non esiste altra soluzione per aiutare il Paese che quella di attrarre tecnologie ed investimenti esteri. Gli scioperi nell'industria automobilistica non scoraggiano soltanto gli italiani ma pure coloro che intendevano seguirli sulla strada delle joint-ventures». A quando dunque la schiarita? Impossibile prevederla, la posta in gioco è alta. Proseguono infatti i fermenti presso la fabbrica di trattori Ursus, vicino alla capitale dove oltre settemila operai hanno incrociato le braccia, nel kombinat del rame di Lubin, alla fabbrica aeronautica di Mielec e nelle min i \ re di Katowice. Il braccio di ferro continua. Piero de Garzar olii «Non abbiamo soldi per accogliere rivendicazioni salariali a meno di stampare carta moneta che riaccenderà l'inflazione» ha detto il presidente Lech Walesa agli scioperanti [FOTO AP]

Persone citate: Hanna Suchocka, Jacek Kuron, Lech Walesa, Lewandowski, Lubin, Luigi Lucchini

Luoghi citati: Danzica, Katowice, Polonia, Tychy, Varsavia