Terribile follia d'attore

Amore francese a cuore freddo Rancore africano per l'elemosina In concorso alla mostra il film iperraffinato di Sautet e una commedia politica senegalese Amore francese a cuore freddo Rancore africano per l'elemosina VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO L'amore senza amore e l'Africa senza futuro in un film iperraffinato («Un coeur en hiver», Un cuore in inverno, di Claude Sautet) e in una commedia politica africana («Guelwaar» di Ousmane Sembène). «Non si demistificano i sentimenti», sentenzia un vecchio signore; «Ho voluto sedurti così, per gioco, per rivalità, non ti amo», confessa il protagonista; la ragazza accusa: «Sei meschino, non hai immaginazione né cuore né palle, niente» e lui le dà ragione: «C'è qualcosa in me che non vive». I discorsi amorosi, specialità culturale e invenzione storica dei francesi, pare d'ascoltarli da sempre, però l'elegantissimo e sottile «Un coeur en hiver», illuminato dalla gran bellezza di Emmanuelle Béart, presenta un personaggio interessante recitato da Daniel Auteuil: un uomo giovane dal cuore freddo, senza desiderio di vivere né di vincere, capace di dare la morte ma non di rischiare coi sentimenti, difeso da un lavoro manuale specialistico e ascetico, destinato alla solitudine. Lui e André Dussollier sono soci in un laboratorio per la fabbricazione e riparazione dei violini; lui per un poco è tentato di conquistare la ragazza dell'altro, una violinista di talento, ma presto l'inappetenza vitale e la paura d'esporsi lo inducono a ritirarsi; tutt'e tre ne escono pesti e infelici mentre una coppia di vecchi dà la prova di quanto l'amore possa essere saldo, provvido e invincibile. Infastidisce la musica usata in funzione nobilitante (le Sonate di Ravel, poi), è ammirevole la narrazione d'una aridità anche contemporanea e sono bravi gli attori: ma forse il regista Claude Sautet risultava più convincente nei suoi film di sentimenti e di costumi medioborghesi, meno «fini» e più caldi. Che sorpresa, un film africano contro gli aiuti alimentari internazionali all'Africa, anche in appassionate perorazioni-comizio che non ci dovrebbero suonare nuove: «Che succede alla nostra gente? Stiamo andando alla deriva. Il furto è diventato un valore eroico. I politici non parlano più la nostra lingua, sembrano pappagalli...». E ancora: «Questi doni sono la nostra morte, ci condannano a una perpetua mendicità, fanno di noi un popolo muto e senza dignità, uccidono la nostra capacità di fronteggiare le avversità»; nel lieto fine infatti i sacchi di miglio, riso, granturco e zucchero arrivati in soccorso umanitario dall'estero vengono sventrati, il loro contenuto viene sparso in terra e calpestato dai protagonisti. Ousmane Sembène, noto regista del Senegal, in «Guelwaar» usa una commedia di equivoci, i caratteri comici, la cultura del suo Paese e la bellissima musica di Babà Mail, per costruire una parabola politico-didattica. Per esortare alla convivenza pacifica, alla tolleranza religiosa, alla condanna delle autorità ladre e arroganti ma anche all'apprezzamento dei bravi poliziotti onesti. Soprattutto, per convincere gli africani a rimpadronirsi del proprio destino, senza più essere «un popolo di assistiti». Pretesto narrativo: in un villaggio rurale dell'interno nel Senegal, Guelwaar, leader popolare cristiano, viene ucciso a bastonate perché è un oppositore troppo duro e preciso. Il suo cadavere scompare, non si trova più all'ospedale né all'obitorio: per un errore burocratico, è stato sepolto al posto di un altro in un cimitero musulmano. «Ah, quelle Afrique!», sospira-irride il figlio emigrato a Parigi, uno sprezzante elegantone con i Ray-Ban e il borsello Vuitton. L'episodio riaccende il conflitto tra cristiani e musulmani; mentre il funerale prosegue impassibilmente senza il morto (sul letto è disteso soltanto il suo nero abito vuoto) tra pranzo funebre e condoglianze, mentre il poliziotto del paese porta avanti indagini e trattative sul corpo sparito, i due gruppi si armano di pietre e bastoni, s'affrontano, si rinfacciano torti, si scontrano, e contese etico-politiche nascono pure tra musulmani e musulmani. Poliziotti e capi del villaggio che vogliono mettere pace vengono accusati d'aver rubato gli aiuti alimentari o d'essere traditori della propria religione, si declama: «Non ci può essere virtù nella miseria e nella povertà», anche la figura del leader martire si riduce nei pettegolezzi oziosi delle lunghe attese, a bordo di una splendente auto gialla con autista arrivano a raccontare balle il deputato e il prefetto. Ma alla fine tutto si compone civilmente: e il risultato, tanto schematico quanto efficace e divertente, è un esempio interessante di film politico africano. Lietta Tornabuoni Un uomo giovane senza desiderio di vivere destinato alla solitudine Nella foto grande un'immagine Nella foto grande un'immagine di «Un coeur en hiver» di Claude Sautet. Nella foto piccola un momento di «Guelwaar» di Ousmane Sembène sorprendente commedia politica contro gli aiuti alimentari internazionali all'Africa

Luoghi citati: Africa, Parigi, Venezia