In fuga i padrini di John Gotti

In fuga i padrini di John Gotti Liberi prima del processo perché avevano pagato una cauzione di cinque milioni di dollari In fuga i padrini di John Gotti Forse sono in Sicilia i fratelli Gambino ROMA. Non attraversa un buon momento Cosa Nostra degli Stati Uniti. Braccati dai federali, indeboliti dai pentiti, addirittura ridicolizzati dagli «infiltrati» che hanno «rubato» anche il più piccolo segreto delle famiglie, i boss sembrano aver perso la proverbiale spocchia che li ha consegnati alla cronaca come invincibili padrini. Non dormono sonni tranquilli i «paisà» d'oltre Oceano. Neppure quelli che un tempo si potevano permettere il lusso di ridere in faccia ai «federali», ringhiando contro i detective: «Voi non siete nessuno. Tutte chiacchiere e distintivo, ecco cosa siete». No, certamente non hanno optato per questa soluzione i fratelli Giuseppe e Giovanni Gambino, nipoti del «mitico» padrino «don Carlo», partito povero in canna da Palermo, divenuto poi capo di tutte le famiglie di New York, famoso anche per essere riuscito a morire nel suo letto e con tutti gli onori. Al funerale di «Charles», infatti, il Federai Bureau contò ben cento limousine nere. Sono scomparsi, i fratelli Gambino. Dovevano presentarsi al tribunale federale di Manhattan per l'udienza preliminare del processo che li vede imputati di omicidio e traffico di stupefacenti. I due, noti come John e Joseph, erano in libertà solo perché avevano versato una cauzio- ne adeguata al loro rango: cinque milioni di dollari, due per John, tre per il fratello. Il giudice li ha attesi invano. Non erano in molti a scommettere sulla loro presenza: troppi rischi, tanti da far passare in secondo piano anche i timori per la perdita di una cifra considerevole come quella depositata a titolo di cauzione. D'altra parte non sono i soldi il problema della famiglia Gambino. Ne hanno avuti sempre in abbondanza, tanto da potersi permettere generosità come quella che li ha portati a fare una donazione da due milioni di dollari in favore di un ospedale per bambini. Al magistrato Peter Leisure, comunque, non è rimasto altro da fare che firmare nuovi ordini di cattura. Ma perché tanta paura del processo? Secondo gli osservatori, il vero motivo della fuga dei fratelli Gambino si chiama Salvatore Garavano. Anche lui è siciliano e per anni ha esercitato il ruolo di killer di fiducia di John Gotti. Anche dopo che questi divenne il padrino della famiglia e i fratelli Gambino capi della sezione siciliana. Ne ha uccisa di gente, Garavano. Lo ha ammesso, quasi con candore, agli agenti federali che lo hanno preso in consegna dopo la decisione di pentirsi e raccontare tutta la sua vita e quella degli affiliati alla famiglia. Visto che le dichiara¬ zioni di Salvatore Garavano hanno già spedito all'ergastolo il capofamiglia John Gotti, i Gambino hanno pensato bene di evitare il confronto con l'ex killer. Dove potrebbero essersi rifugiati i nipoti di «don Carlo»? La polizia statunitense si lascia tentare dal sospetto che i due potrebbero aver lasciato gli Stati Uniti per guadagnare le coste siciliane, dove dispongono di «buone amicizie», assistenza logistica e, soprattutto, di «calore familiare». Una vasta zona di Palermo, da Uditore a Passo di Rigano, dalla Zisa al quartiere della Noce, alla fine degli Anni 60 e fino allo scoppio della guerra di mafia del 1981 fu territorio governato da questo gruppo criminale. Un clan potente perché composto da diverse famiglie unite dal vincolo di sangue e dai matrimoni incrociati: Gambino, Spatola, Inzerillo. Tre nomi che nella cronaca degli ultimi vent'anni di sangue sono stati sempre in primo piano. Sono loro i protagonisti della «Pizza connection», l'inchiesta su mafia e droga che stava conducendo il vicequestore Boris Giuliano quando, nel luglio del 1979, fu ucciso da un killer solitario. Il funzionario aveva anche intercettato la presenza di John Gambino a Palermo, in coincidenza con la scoperta di una va¬ ligia piena di dollari (mezzo milione) abbandonata a Punta Raisi. Ma la coincidenza più significativa si riferiva al finto rapimento del finanziere Michele Sindona e alle implicazioni con la massoneria. Sindona fu portato a Palermo e, nella villa degli Spatola, ferito dal «fratello» Miceli Crimi. Chi portò Sindona in Sicilia? Furono proprio i Gambino e gli InzeriUo. L'operazione fu compiuta con la collaborazione di altri «fratelli» affiliati a Cosa Nostra. Una pagina oscura della cronaca siciliana. Una vicenda chiarita solo in parte. Francesco La Licata Temevano le rivelazioni di un sicario pentito In Italia furono coinvolti nel fìnto rapimento Sindona In alto l'arresto, avvenuto nel '90, di John Gambino da parte dell'Fbi. A sinistra la polizia controlla l'aeroporto di Linate dopo una telefonata sospetta tra mafiosi