Zoff: tanti indizi dicono che sarà Jave di Roberto Beccantini
Zoff: tanti indizi dicono che sarà Jave Il tecnico della Lazio anticipa la grande corsa allo scudetto, che lo vedrà tra i protagonisti Zoff: tanti indizi dicono che sarà Jave «Ora ha Vialli, io avevo Avallane» ROMA DAL NOSTRO INVIATO «Tanti indizi dicono Juve». Dino Zoff ci parla di calcio alla sua maniera: die non è, propriamente, la maniera di un venditore all'ingrosso. Calca la voce su indizi: un termine ondivago e pieno di malizie, «così si arrabbiano tutti e due, Berlusconi e Boniperti». Sorride. «Indizi in questo senso: la Juve è un po' che non vince e ripetersi, passando al Milan, è sempre difficile. Ai miei tempi ci riuscimmo ma la concorrenza, francamente, non era altrettanto qualificata. Ce n'era di meno». Zoff sta salpando per un'altra traversata, la terza da quando è alla Lazio. Sa di rischiare molto, anche se Cragnotti gli ha prolungato il contratto sino al 1994. Ogni giorno, qualcuno si ammutina: dopo Celon, Soldà. L'ultima è di lunedì. Allenamento: Soldà sperona Bonomi, che resta a terra. Zoff gliene dice due e Soldà lo manda a quel paese. Non solo: invitato ad allontanarsi, si sfila la maglia e la butta via. Morale della favola: il giocatore, ieri, è stato deferito al collegio arbitrale della Lega e, in attesa della decisione, si allenerà a parte con un preparatore atletico messogli a disposizione dalla società. Meno male che c'è Gascoigne: i suoi progressi incoraggiano, le sue facezie distraggono. A fine mese, forse un po' prima, sarà pronto. Ha una bella squadra, Zoff, anche se non sono arrivati gli elementi ai quali più teneva, un portiere (Marchegiani) e un incontrista (Fusi). «Il problema è che pure le altre non scherzano. Prenda il Parma. O la stessa Inter di Bagnoli. O il Napoli. Per tacere di Juve e Milan. Quante gliene ho dette? Cinque. E ho "dimenticato" Torino, Sampdoria, Roma, Fiorentina. Un'altra cosa che mi fa ridere è la presunta incidenza delle Coppe. Storie. Quando ero alla Juve, e quando, soprattutto, gli organici non erano esagerati come adesso, vincemmo scudetto e Uefa, e l'anno dopo, ancora lo scudetto, mentre in Coppa dei Campioni arrivammo alle semifinali». A 50 anni, Zoff slalomeggia impavido fra pregiudizi e perplessità: «Roma non è Torino. Ha presente la Juve? Persa la Coppa Italia a Parma, fece zero a zero in casa col Cagliari. Sottolineo, col Cagliari. Orbene, sugli spalti nessuno fiatò. All'Olimpico ci avrebbero tritati. Dicono che, da allenatore, non sono un vincente. Non mi sembra: ho portato l'Olimpica, imbattuta, a Seul. Ho vinto una Coppa Italia e una Coppa Uefa con la Juve, che adesso ha Vialli, Baggio e Moeller, ma quando c'ero io mi passava gli Avallone e i Rosa. Capisco i tifosi. Quelli della Lazio, soprattutto. E' dal 1974 che non vincono lo scudetto, ma io che cosa ci posso fare, sono qui da tre anni, e lo squadrone ce l'ho solo da due mesi». Plaude, in cuor suo, all'arrivo di Bendoni: grande regista e, se lo augura, silenzioso e implacabile stopper (sui Celon di turno). Non si nasconde: «Lo scudetto? Se tutto va bene, perché no. Ma deve andar bene proprio tutto. L'obiettivo al quale miriamo è la zona Uefa. L'importante è fare gruppo sempre, a cominciare dai momenti di sconforto, o di buriana: non come successe nella scorsa stagione». Entriamo in un terreno minato: quello degli investimenti selvaggi, e della gran fretta che li scorta; del peso maramaldo della televisione, e dell'uso indiscri¬ minato che ne viene fatto: «Non dico che le tv ridistribuiscano i punti in classifica, questo no, ma di sicuro aiutano chi ce le ha. Il bicchiere di coloro che ce le hanno, sarà sempre mezzo pieno; e sempre mezzo vuoto il bicchiere degli altri. Grazie alla tv, gli allenatori in esubero trovano un posto. Penso al Milan: per rivincere il titolo dovrebbe far finta di non averlo vinto, e invece ogni cinque minuti va in onda uno spot che glielo ricorda, se mai lo avesse dimenticato. Mi accusano di non fare proclami. E bravi: ma se "prima" non li lanciava nemmeno Berlusconi... » Stagione chiave, per gli allenatori. Trapattoni e Zoff in testa. «Io sono qui - fa Dino - pronto ad assumermi le mie responsabilità». Ha notato? Già si parla di Bianchi e Maifredi... «Punto primo, non ci dò peso; punto secondo, non mi meraviglio più di niente». Non riesce a viaggiare in gruppo: «Sarebbe giustissimo, in linea di principio, che tutti gli stranieri potessero andare almeno in panchina, ma sapevamo da aprile che ciò non sarebbe stato possibile. Ripeto, da aprile». Parliamo, adesso, senza seguire un filo logico. La Nazionale, per esempio: «Fossi in Sacchi, non mi preoccuperei. Il livello del nostro calcio resta fra i migliori, assemblare una Nazionale competitiva non sarà mai un problema. Anche adesso, con cinque o sei stranieri per squadra». Altro argomento caldo, le rimonte subite dalla Lazio nell'ultimo campionato: «Non solo jella. Io, al destino cinico e baro, non ci ho mai creduto. Errori madornali, deficienze croniche, carenza di personalità». A proposito: la accusano di essere troppo morbido, troppo fatalista, sempre incollato alla panchina. «Vorrà dire che d'ora in poi mi metterò a fare le sceneggiate che faceva Pesaola, con le braccia "tutti avanti" e poi, di straforo, "ragazzi, sto scherzando: guai a voi se superate la metà campo"». Dino Zoff sbuffa. Per la mo- glie, Anna, è prigioniero di un sogno: e di un mondo. «Non è vero: io.mi muovo bene anche in questo, basta che nessuno mi chieda di essere un altro. Questo mai». Tante belle parole, ma da domenica, come sempre, saranno i risultati, i pali e i ciuffi d'erba, a spremere passioni e tensioni.- «Quando smetterò di fare l'allenatore, mi piacerebbe fare il presidente». Alla Pier Cesare Baretti. Zona o non zona, l'uomo che da portiere sognava l'Inghilterra, non abbandona la sua ispida area. Sempre di «rigore», in campo e nella vita. Intanto, la Lazio cresce con lui. Roberto Beccantini Zoff è nato a Mariano del Friuli il 28 febbraio 1942 e si trova alla Lazio da tre anni
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