L'ARRIVATO L'OROLOGIO ABBIAMO PERSO IL TEMPO

L'ARRIVATO L'OROLOGIO ABBIAMO PERSO IL TEMPO L'ARRIVATO L'OROLOGIO ABBIAMO PERSO IL TEMPO Da Cronos ai treni: come Fuomo misura la vita ER me - dice Marcel Proust in un'intervista apparsa in Le Temps il 12 novembre 1913, due giorni prima che uscisse il primo volume della Recherche - il romanzo non è solo fatto di psicologia piana, ma anche di psicologia nel tempo. Questa sostanza invisibile del tempo, ho cercato di isolarla, ma occorreva, a tale scopo, che l'esperimento potesse protrarsi. Spero che alla fine del mio libro un certo piccolo fatto sociale senza importanza, un matrimonio tra due persone che nel primo volume appartengono a due mondi molto diversi, indicherà che è passato del tempo e assumerà quella bellezza che hanno certi tubi di piombo patinati di Versailles, che il tempo ha inguauiato in un fodero di smeraldo». Isolare, rendere visibile la materia trasparente, acquosa e liquida, di cui è fatto il tempo, è un compito che si ripresenta puntuale, da migliaia di anni, a scrittori e filosofi, a poeti e scienziati. Ogni epoca, ogni forma culturale si confronta con la famosa domanda di Agostino: «Cosa faceva Dio, prima di creare il Cielo e la Terra?». Per molti secoli infatti, nella storia del pensiero antico, il Tempo è stato legato alla Divinità. Problema antico, che nasce insieme al pensiero, quello del tempo è un tema che affascinerà e impegnerà con intensità speciale il Novecento, il secolo che ci ha dato la Recherete proustiana ed Essere e tempo di Heidegger. Categoria complessa, forma «trascendentale» dell'esperienza secondo Kant, oggetto ideale quanti altri mai di una «storia delle idee», il tempo sembra offrire a questa «disciplina» la sua giustificazione storica e teorica. In questo clima culturale affonda le sue radici l'enciclopedica impresa di Krzysztof Pomian, studioso polacco e direttore di ricerca al Cnrs di Parigi, autore dell'Ordine del tempo (Einaudi, pp. 440, L. 48.000), un voluminoso saggio dedicato all'elemento più enigmatico della storia e del pensiero umano. Il segno occidentale più antico del tempo raffigura Chronos bicefalo; nella teogonia orfica la testa del toro e quella del leone si confondono nella ellissi del serpente, esprimendo la concezione antica di un tempo chiuso, «ciclico». A fronte di questa originaria idea «circolare» del tempo si è poi delineata, soprattutto ad opera della scienza, una visione lineare e irreversibile della durata, che brucia continuamente il terreno percorso dietro di sé per proiettarsi verso il futuro e verso nuove conquiste intellettuali. Un'idea di tempo, quest'ultima, diversa anche da quella dell'arte, che non prevede «superamenti», ma conserva e «apprezza», a differenza della scienza, tutti i momenti e i prodotti (le opere) della sua storia. Facile sarebbe dunque smarrirsi in questa pluralità di «tempi» concepiti dalle diverse branche del sapere e documentati nei recenti studi di Giuseppe Barletta (Chronos. Figure filosofiche del tempo, Dedalo) e di Paolo Rossi, vincitore del premio Viareggio con II passato, la memoria, l'oblio, edito dal Mulino. Pomian invece avverte subito che oggetto del suo libro «non è l'idea del tempo bensì il tempo stesso. Un tempo riempito di fatti da storici, naturalisti e fisici, la cui topologia e direzione hanno sempre suscitato controversie non solo nell'ambito degli intellettuali. Irrigidito e svuotato nel nome di un'esigenza di intellegibilità nel caso di alcune scienze naturali, sociali e umane. Teorizzato da filosofi, teologi ed eruditi. Misurato, uniformato, standardizzato e imposto, da parte di poteri religiosi, politici ed economici, a individui la cui vita psichica e fisica ne è risultata, in certi casi, letteralmente stravol- ta». Insomma oggetto del saggio di Pomian è il tempo affrontato secondo una prospettiva enciclopedica, che prevede il ricorso alla Critica della ragion pura, ma anche alla produzione degli orologi e agli orari delle ferrovie. Perché parlare del Tempo significa parlare di storia, di storiografia, di filosofia della storia, di ideologia. Queste sono le tappe del passaggio da una concezione del tempo rivolto al passato a quella di un tempo orientato verso l'avvenire. La svolta si produce a partire dal secolo XII grazie a tre fattori: l'alfabetizzazione, la monetarizzazione dell'economia e i mutamenti demografici. Il passato, fino ad allora preponderante, si allontana e sfuma, la sua pressione si inde- bolisce, per contro il futuro terrestre e profano acquisisce, nell'ambito stesso della vita quotidiana, sempre maggiore consistenza e realtà. Il ribaltamento del tempo sociale e individuale del passato verso l'avvenire si accompagna a una promozione della scienza: è sempre più quest'ultima, e non la religione, a conferire legittimità alle istituzioni, alle pratiche, alle dottrine. La grande rivoluzione degli orologi, avviatasi nel secolo XIV e perfezionatasi nel XVII, con la scoperta galileiana del pendolo e l'invenzione del primo orologio di questo tipo da parte di Christian Huygens, si realizza definitivamente nel secolo XIX. Dopo la Prima Guerra Mondiale orologi fissi, da polso e sveglie possono diventare, in tutti i Paesi sviluppati, articoli di uso corrente. L'avvento degli orologi meccanici segna però un'altra svolta importante nella storia del tempo: la sostituzione, nella vita sociale, del tempo «qualitativo» con il tempo «quantitativo». Il primo è storicamente anteriore al secondo, nella sua qualità di tempo individuale, soggettivo, psicologico, politico o liturgico; il secondo è il tempo assoluto, il tempo della scienza, staccato da ogni essere particolare, da ogni cambiamento, da ogni movimento, universale, infinito, uniforme e caratterizzato dalia misurabilità; un tempo che insomma non si manifesta se non tramite l'intermediario di un orologio. Questo conflitto tra i due «tempi» attraversa tutta la storia del pensiero. Le controversie sul tempo quale viene concepito dalla fisica e dalla filosofìa con pretese scientifiche resteranno tributarie dei problemi posti da Newton, con il suo tempo oggettivo, quantitativo, fino all'avvento della teoria della relatività. Ma ancor prima di Einstein altre voci si leveranno contro il dominio del valore oggettivo ed «esterno» del tempo, in nome di quella durata «qualitativa» che era prerogativa delle società più antiche, anteriori all'avvento dell'orologio. Bersaglio di Bergson è l'idea stessa di un tempo quantitativo, a cui, secondo il filosofo francese, non corrisponderebbe alcun dato. Il tempo, per Bergson, altro non è che la nostra coscienza del tempo, ovvero la forma che prende la successione dei nostri stati di coscienza quando l'io si lascia vivere. Sulla scia delle teorie bergsoniane si innesta anche la distinzione che Proust, nella Recherche, istituisce tra memoria volontaria (arida, meccanica e quantitativa) e memoria involontaria (imprevedibile e creatrice). Solo il Tempo soggettivo, individuale, interiore potrà essere recuperato - leggiamo alla fine del lungo viaggio dell'autore «alla ricerca del tempo perduto» - e solo il passato, attraverso la memoria che ne conserva istantanee vivide e immortali, potrà aprire la strada all'arte, alla conoscenza che, scrive Proust sulle orme di Platone, altro non è che un'anamnesi, una reminiscenza, un ricordo di qualcosa che già si sapeva, che già si conosceva. Ma questa è un'altra storia. Lalli Mannarini

Luoghi citati: Parigi, Viareggio