TACE LA STORIA PARLA IL POETA di Giovanni Giudici

TACE LA STORIA PARLA IL POETA TACE LA STORIA PARLA IL POETA Tra politica e psicoanalisi OME d'altrui travaglio OH W spesso invano/ AngoSS I scia ci tormenta/ Di inI nocuo non veduto quotidiano»: è Giovanni Giudici in Vecchi I motivi, una poesia H I dell'84 ora nei due VOTO J lumi Garzanti (pp. 486 e 536, entrambi L. 26.000) che presentano tutta l'opera di un poeta dolorante e sapiente. Giudici ha attraversato gli anni del «quotidiano» con il tormento di chi li ha visti tragedia e poi commedia, fra il pianto e il riso. Le sue poesie, dal '53 all'altro ieri, sono un diario del dopoguerra e anche un avvenimento significativo dal punto di vista editoriale. Fra le tante pagine, c'è un inedito che va sottolineato. Da Jalta in poi, scritto fra l'89 e il '90, percorso a ritroso tra i presagi di allora. Giudici rappresenta bene la seconda anima di questa stagione letteraria: quella dove il tema centrale è la riflessione storica, rivolta alla politica ma anche alla letteratura; il tentativo di fare un punto, di guardarsi indietro, di regolare - anche se forse non è possibile - i conti con un destino che, casualmente, o per vocazione, o per appello, si è tinto di poesia. L'Europa senzatitolo E in questa linea il posto d'onore spetta all'ostinazione sorridente di Edoardo Sanguineti, che in Senzatitolo (Feltrinelli, pp. 176, L. 35.000) presenta i suoi versi fra l'86 e il '91 : gli anni cruciali dell'Europa e del mondo, gli anni del grande crollo a Est. Ma Sanguineti è uno di quelli che sembrano non aver troppi dubbi; comunista da sempre, con venature di dogmatismo; lui che odia i letterati-letterati è un maestro nel secernere tutti i veleni della retorica classicista: come un Vincenzo Monti di cui si fece beffe in una memorabile intervista immaginaria. Con Sanguineti rimane sempre il dubbio, piacevolissimo, se stia facendo parodia oppure no, se il clown sperimentale non sia anche e segretamente posseduto dai demoni che sta esorcizzando. La Ballata della guerra l'avevamo già letta: e colpisce quel finale brechtiano e ostinato fino al paradosso, «principi, presidenti, eminenti militesentkpotenti/ erigenti esi- genti monumenti indecenti/ guerra alle guerre è una guerra da andare/ lotta di classe è la guerra da fare». Ma Sanguineti è da prendere in blocco o da lasciare: e sarebbe un peccato perché nella seconda ipotesi si perderebbe il suo fasto barocco, la sua arcigna coerenza, il suo umor nero. Le prime poesie di questo libro sono la riproposta ostinata e fedele, nelle soluzioni formali, di quei versi che aprirono Opus metricum 32 anni fa nei Quaderni del Verri: e «composte terre in strutturali complessioni» sono ancora per lui e per i suoi lettori «palus putredinis». La fedeltà, nei poeti, non è sempre un valore: talvolta bisogna essere assolutamente infedeli a se stessi, giocare ogni pagina come se fosse un tradimento come nel profondo ci hanno insegnato i grandi del nostro primo Novecento. Ma ci sono fedeltà inevitabili, il riconoscimento di un destino, che fanno la grandezza di uno scrittore. E' il caso di Amelia Rosselli, che quest'anno ha presentato le sue poesie in inglese (Sleep, Garzanti, tradotte da Emmanuela Tandello, pp. 230, L. 38.000): sono pagine di un diario tormentato, una cronaca dell'impossibile, una sorta di lotta con. l'angelo: «Hold fast your hands, join them together» grida la poetessa: «Tenetevi le mani strette, unitele/ se non in preghiera, allora legatele strette/ alla sedia che vana s'accascia nel/ retro». Quello della Rosselli è «un libro privato» che per sprazzi e cesure diventa pubblico: il dramma, in una scrittrice apolide cresciuta in Francia col padre esule, poi in Inghilterra con la madre prima di trasferirsi a Roma, l'enigma della lingua messo in scena. La «messa in scena della lingua», con tutt'altre connotazioni e un passo molto diverso, riguarda anche Ermanno Krumm. In Novecento (Einaudi, pp. 150, L. 14.000) questo poeta con forti interessi verso la psicoanalisi fa opera di rievocazione, organizzando come in un'orchestra i temi delle avanguardie novecentesche con una lingua nitida, senza sperimentalismi. Nell'ipotesi più riduttiva, è questa un'operazione di catalogo; ma andando oltre la levigatezza stilistica, l'abilità artigiana, si intuisce anche in questo caso una sorta di riepilogo del proprio destino linguistico. Non un bilancio, né una scelta di temi (che pure sarebbe stata coraggiosa) ma una volontà forse di uscire, appunto, da questo interminabile Novecento. Chi non si pone il problema, non per questo ne è già fuori. Ma la cosa a Franco Marcoaldi (A mosca cieca, Einaudi, pp. 52, L. 10.000) sembra importare pochissimo. Lui ha il tocco leggero e una grazia stilistica che lo libera magicamente dal problema assai tardo novecentesco del «dire», del «come porsi», del fondarsi. Si legga Natale terrorista: «Non è che con la scusa che siamo/ tutti buoni, salta l'assalto ai forni,/ e con quello i panettoni?». Il libro, sottile, poco più che una pia quette, ha vinto - meritatamente - il «Viareggio». E va sottolineato che il linguaggio di Marcoaldi è davvero una piccola, delicatissima sonda che perfora il quotidiano, costruendo metafore inquietanti senza darlo a vedere. Come in Arrivo (in queste poesie non si può tacere il titolo, che ne è in qualche modo sempre la clausola): «- Verremo lì col sindaco, banda/ d'ottoni e fiori./ (Sarà già molto se trovo un taxi/ fuori)». I versi di Marcoaldi sono gli unici, in questo gruppo di libri, che non impongano una data, che non richiedano di essere letti badando agli anni. Un decennio a passo di volpe Come per Sanguineti, invece, quelli di Dacia Marami (Viaggiando con passo di volpe, Rizzoli, pp. 124, L. 26.000) sono importanti proprio perché si sta parlando, grosso modo, di un decennio: l'ultimo. «In queste poesie - scrive Garboli nella prefazione - la Maraini allenta la sua presa razionale sul mondo». E' naturalmente vero: la scrittrice allenta in qualche modo la presa ideologica; il suo viaggio ripercorso nel quotidiano accarezza gli oggetti, le persone, lascia che siano loro a parlare. Cammina «con passo di volpe»: il suo è un aggirarsi notturno, come spiega, nei chiarori della luna. Dove può accadere che «una cometa volante» piombi «nel quadro di una finestra»: «è entrata da sinistra/ è uscita da destra/ sul muro è rimasta/ una tenda bruciacchiata». Poco per un decennio come questo, appena finito? Chissà. Mario Baudino Altre voci di un'estate in versi: Giudici, Sanguineti Rosselli, Krumm Marcoaldi e Marami Da sinistra: Marami, Sanguineti; sotto, Giudici (a sinistra) e Rosselli

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