Il matematico di Martone di S. R.

Il matematico di Martone Il matematico di Martone «Un personaggio fuori dagli schemi» ROMA. Con «Morte di un matematico napoletano» Mario Martone, 34 anni a novembre, è uno dei due italiani esordienti direttamente ammessi in concorso al festival di Venezia. Debuttante nel cinema, Martone non è però un nome nuovo per lo spettacolo: è stato regista e animatore del gruppo teatrale Falso movimento e dall'87 ha fondato con Servillo e Neiwiller il gruppo Teatri uniti che lavora a Napoli. «Ho cominciato per caso, quando ancora ero al liceo. Avevo 17 anni e studiavo all'Umberto. In quegli anni anche a Napoli l'intreccio tra linguaggi artistici diversi era intenso». La bella faccia seria alla Massimo Troisi, con tanti capelli ricci e un ironico distacco nello sguardo, Martone, giovane d'età, ma vecchio professionalmente, ha una vita totalmente identificata con il suo lavoro. Da «Tango glaciale», il primo spettacolo che lo ha fatto conoscere in Italia, a «Rasoi», l'ultimo successo, rappresentato qualche tempo fa anche a Parigi, Martone è stato quello che ha fatto. «Forse perché il mio non è un teatro di parola ma di immagini, forse perché faccio più affidamento sulle emozioni che sui discorsi, certo è che con la compagnia sono stato spesso chiamato all'estero. Ho girato molto, ho fatto confronti, ho capito alcune cose». Senza moglie né fi¬ gli, tuttora legatissimo alla famiglia d'origine, una casa a Roma per conto suo ma certo, ancora, la grande casa di Napoli dei genitori aperta, sostiene di essere diventato quello che è grazie all'incrocio biologico tra le qualità di sua madre e quelle di suo padre. «Mia madre è una ligure: da lei e da mia nonna ho imparato ad amare la lettura, ma anche a guardare a Napoli con un occhio più estraneo. Mio padre è un pellicciaio napoletano: da lui ho ereditato quella concretezza che è una virtù anche per chi fa spettacolo». «Morte di un matematico napoletano», racconta, è stato pensato e scritto da lui e da Fabrizia Ramondino, immediatamente come un film. Nanni Moretti, un po' per scherzo e un po' per stima, ha voluto attribuirgli il Sacher d'oro sulla fiducia mentre il film ancora era in lavorazione. «Fin da bambino ho sentito raccontare la storia di Renato Caccioppoli, intellettuale napoletano assai noto negli Anni Cinquanta, docente di matematica, ma anche fine musicista, comunista anomalo per via della discendenza dall'anarchico Bakunin e figura popolare per l'abitudine di passare le notti camminando per la città». Martone è nato a palazzo Cellammare a Chiaia nel '58, dove Caccioppoli viveva e nello stesso anno in cui si suicidò. «Qualche tempo fa ho capito che erano maturi i tempi per raccontare questa figura di intellettuale fuori da ogni schema. Mi pare che si abbia bisogno di modelli ideali oggi che le ideologie non sono più utilizzabili. Non so, l'alone mitico che circonda Pasolini, il mistero e la deferenza con cui i giovani ne parlano, mi fa ritenere che la nostra generazione abbia bisogno di trovare punti di riferimento». L'ammissione del film al concorso di Venezia lo lusinga ma non l'emoziona: «Mi fa piacere soprattutto che a chiamarmi sia stato Pontecorvo, ma in questi giorni resto a Benevento per allestire uno spettacolo musicale nel giardino dello scultore Mimmo Palladino». Per l'inverno pensa a un nuovo testo su Napoli da mettere in scena in uno dei teatri sopra i Quartieri, come segno di vitalità non sopprimibile di quella parte di città che la speculazione edilizia vorrebbe demolire invece che risanare. «Come forse capitava ad Eduardo, da Roma mi pare di vedere meglio Napoli. E' difficile a Napoli segnare il confine tra folklore e degrado, popolare e populista, cose da salvare e cose da buttar via, ma da quando vivo lontano questa difficoltà mi attrae e Napoli è diventata l'oggetto d'indagine della mia ricerca». [s. r.]