IL CASO LAVORINI La pineta degli scandali

IL CASO LAVORINI La pineta degli scandali un luogo, una storia. Gennaio 1969, scomparso un bambino, Viareggio trema IL CASO LAVORINI La pineta degli scandali VIAREGGIO DAL NOSTRO INVIATO Il negozio Lavorini si affaccia fra piazza del Mercato e via Fratti, e offre montagne di biancheria per la casa a prezzi d'occasione. Di fronte c'è ancora la farmacia del padre di Mario Tobino, anche se i bei mobili antichi sono stati sostituiti da scaffali sintetici. Al centro della piazza - dove il piccolo Ermanno, con la maglia numero 11, ogni giorno si allenava con la sua squadretta di calcio chiamata «Le zebre» - si affastellano banchi di ogni genere. E' lo scenario attraverso cui Ermanno Lavorini è passato l'ultima volta, nel pomeriggio del 31 gennaio 1969, prima di infilarsi nella pineta con la sua bici Super Aquila rossa, fresco regalo di Natale, e di scomparire per sempre. Tutto sembra immutato da allora. Ma niente più è stato come prima, da quando fu data la notizia del rapimento e la televisione - mostrando la foto di quel dodicenne con le mani giunte e il vestitino a quadretti della Prima Comunione - portò in ogni casa un lutto che subito fu di tutti. Si rifecero, quella sera, le prime pagine dei quotidiani: rimasero solo i vincitori di San Remo, Iva Zanicchi e Bobby Solo. I dischi di Zingara già si ammucchiavano nelle vetrine. Ermanno era un bel bambino, biondo, esile, con la faccia pulita. I genitori - gente un po' severa, gran lavoratori - gli avevano fatto fare le elementari privatamente. Alle medie, ripeteva la seconda. Quel giorno, uscendo alle 14,30, aveva assicurato che sarebbe tornato entro un'ora: doveva prepararsi per un'interrogazione di inglese. Era venerdì, l'antivigilia del primo corso del Carnevale. Ermanno era ubbidiente. Per questo alle 16 la madre aveva incominciato a cercarlo. Alle 17,40 il telefono squilla nel negozio, ima voce maschile annunzia che il piccolo non tornerà a cena. «Anzi, dica a suo padre di preparare quindici milioni e di non avvertire la polizia». Incomincia con un grido di Marinella, sorella maggiore di Ermanno, «il caso Lavorini». Quando si fa buio e la pineta è avvolta in un vento gelido, i cani poliziotto fiutano fra i pini il passaggio di Ermanno ma ne perdono subito le tracce: a quell'ora il bambino è già morto. Arrivano a Viareggio i migliori investigatori del momento. C'è anche il colonnello De Julio, comandante della Legione carabinieri di Livorno, già spalla dell'ex capo del Sifar, generale De Lorenzo. Viene offerta ima taglia di dieci milioni per chi fornirà notizie. Una banca locale offre altri due milioni. Mario Jovine, il Maigret italiano, lancia un appello ai viareggini: «Segnalateci tutto, anche le cose più strane. Se c'è un panettiere che vede un suo cliente comprare mezzo chilo di pane in più al giorno, ci telefoni. O' guaglione ha da mangiare. Il vitto è traditore...». E' una sarabanda di voci, testimonianze di cacciatori della taglia. Dall'Olanda viene il mago di Utrecht, Gerard Croiset, che «vede» Ermanno morto annegato. Viareggio è smarrita. Un mese prima, a Capodanno, giovani dell'extrasinistra avevano contestato la Bussola, tempio del divertimento borghese, al grido di «lasciamo ai padroni lo champagne, noi abbiamo i pomodori». Fra i contestatori - distribuendo «coraggiosamente» volantini anticontestazione - s'erano mescolati anche i ragazzi del neonato Fronte monarchico giovanile, fondato dal ventenne Pietro Vangioni, cameriere con ambizioni politiche e buoni contatti col msi locale. C'era stata una carica delle forze dell'ordine. Qualcuno aveva sparato: una pallottola lasciò per sempre sulla carrozzella Soriano Ceccanti, diciassettenne di Pisa. Lo sgomento per la sorte di Ermanno manda in frantumi ogni certezza. Reparti dell'esercito sono schierati intorno alla città. Vengono scandagliate le acque della darsena, del canale Burlamacca. La tv, per la prima volta, trasmette in diretta tre volte il giorno. Il padre di Ermanno continua a sperare: «Sono stati i contestatori, che dopo la Bussola vogliono contestare il Carnevale. Sono sicuro che me lo restituiranno». Il 3 febbraio finalmente una traccia: riappare la bici rossa, chiusa a chiave, appoggiata a un albero di fronte al Commissariato. Una beffa? Una provocazione? Nell'entusiasmo del ritrovamento, viene portata via senza che la scientifica interpreti il fango rimasto sulle ruote. Le speranze durano quaranta giorni. Il 9 marzo il corpo del bambino viene trovato sotto la sabbia di Marina di Vecchiano, una decina di chilometri verso Sud, in territorio pisano. E' in una buca profonda 40 centimetri, a 150 metri dal mare. Presenta una frattura al naso e due lesioni alla nuca. Ha le mani incrociate sul petto e sembra riposare, con la testa leggermente reclinata in avanti. Gli abiti sono gli stessi del 31 gennaio, senza macchie di sangue né tagli, con tutti i bottoni nelle asole e la cerniera dei pantaloncini tirata su. In tasca, la chiave della bicicletta. Era morto alle 17,30 del 31 gennaio. Nessuna certezza si avrà mai sulle cause (era stato picchiato, soffocato, sepolto vivo?). Anche sulle ragioni dell'omicidio ogni ipotesi è aperta (rapimento per riscatto, adescamento a scopo sessuale, incidente, vendetta?). Ma una pista prende il sopravvento sulle altre, quella che ha per sfondo la pineta, i «ragazzi di vita», il mondo degli omosessuali, dei pedofili, dei travestiti. Fu Marco Baldisseri, 16 anni, terza media, disoccupato, qualche lavoretto saltuario, grande ciuffo sulla fronte, occhio furbo, a far scoprire i peccati inconfessabili di questo angolo di provincia. «Mascalzone, delinquente!», grida la folla, quasi prendendo d'assalto la Giulia dei carabinieri che lo porta in carcere. E' il 17 aprile. Dopo 62 ore di interrogatorio, Marco s'è messo a piangere: «Ermanno l'ho ucciso io». Ha raccontato di far parte della «banda del gufo». Sono una ventina, fra i 12 e i 16 anni. Si sono dati anche dei nomignoli: Faccia d'angelo, Dinamite Kid, 007. Vivono per strada. Giocano ai flipper ma anche a poker. Rubano motorini e se ne dividono i pezzi. Rubano borsette, si passano le ragazze e - se non ci stanno - usano con loro la forza, non si tradiscono mai. Ma la scoperta più importante che hanno fatto è la pineta, il guadagno facile garantito dai signori che vengono da fuori e dagli «insospettabili» di Viareggio. Duemila lire per masturbare o farsi masturbare. Anche seimila lire in una giornata. La pineta è la loro vera scuola. Baldisseri ha raccontato di un incontro occasionale con Ermanno e di una passeggiata in pineta, di una banale lite fra loro, del bambino che cade e muore. Ma di versioni, con spregiudicatezza, ne fornirà undici. Nel racconto, come testimoni e complici, farà entrare, fra i tanti, due amici: Andrea Benedetti e Rodolfo Della Latta. Il primo, Faccia d'angelo, 13 anni, vive col padre muratore, divorziato, simpatizzante del msi. Il secondo, «Foffo», vent'anni, becchino, è volontario della Confraternita della Misericordia e attivista missino: ha commosso tutti per la cura con cui ha organizzato i funerali di Ermanno, si è distinto per la foga con cui si è scagliato contro la gioventù bruciata di Viareggio (ma poi racconterà che anche lui frequentava i minorenni, e che Marco e Andrea li aveva ripetutamente pagati). Ermanno - diranno i tre - era stato attirato in una trappola, per un gioco sessuale, per desiderio di un adulto che aveva messo gli occhi su di lui. Poi, un'altra confessione: Ermanno fu drogato e ucciso durante un festino in un appartamento di Viareggio, quindi trasportato sulla spiaggia. Il padre di Ermanno disse: v<Viviamo in un mondo di mostri». La caccia all'adulto-istigatore fu aperta. L'inchiesta ormai la conduceva la piazza. Cinquemila lettere anonime arrivarono in commissariato. Si facevano liste di proscrizione, in cui entravano gli omosessuali dichiarati, gli scapoli. «Siamo vittime di un autentico cannibalismo morale», disse il sindaco Renato Berchielli, socialista. E non era ancora arrivato il suo momento. Per le ombre fatte scendere sulla sua vita privata, si dovrà infatti dimettere ponendo fine alla carriera politica. Analoga la sorte di altri personaggi della città. Era isteria e voglia di verità. Era anche inverno, la noia dei lunghi mesi che la città - oltre cinquantamila abitanti, negozi e alberghi chiusi - spende nell'ozio, nel gioco, nel consumo del denaro guadagnato durante l'estate. La «perla del Tirreno» non esisteva più. Baldisseri abitava al Marco Polo, dove un tempo alloggiava Puccini. Foffo viveva a Lido di Camaiore, vicino alla casa che era stata di Pirandello. Sul viale Regina Margherita, dove Marconi passeggiava con Petrolini, si erano trasferite le prostitute. S'era trasformato il Teatro Eden, dove Ermete Zacconi andava ad applaudire Petrolini. La speculazione edilizia aveva fatto sparire la villa, «isolata nella foresta», dove D'Annunzio arrivava con 23 levrieri e molti cavalli. Le due anime della città - quella dei marinai «al di là del molo», e quella degli operatori turistici - mai erano state così lontane fra loro. Jovine-Maigret ormai offriva l'identikit del colpevole: «Un maniaco sessuale, uno di qui, facciamo un noto professionista del quale nessuno sa che...», uno con un'auto sportiva rossa. I «ragazzi terribili» puntano il dito sulle foto dei sospettabili che gli vengono mostrate, fanno nomi: una lista così lunga che fa tremare l'intera città. Viareggio come Sodoma? Finisce in pasto della città Giuseppe Zacconi, 56 anni, figlio di Ermete, non sposato, di cui non si conoscono storie d'amore. Convocato in questura, si deve discolpare e racconta di essere impotente. Il questore ammette: «Abbiamo fatto un buco nell'acqua». Un anno dopo Zacconi muore di crepacuore. La cultura del sospetto dilaga e fa un'altra vittima. Adolfo Meciani, 42 anni, bell'uomo, giocatore di poker, proprietario di un bagno, fama di playboy, è sposato e padre di un bimbo. Gli piacciono anche i giochi proibiti con i ragazzini. Con Marco Baldisseri si è appartato più volte in pineta, anche quel 31 gennaio. Ma Ermanno - giura - non l'ha mai visto. I tre lo indicano come l'autore della telefonata ai Lavorini, come quello che ha aiutato a seppellire Ermanno. Meciani è sconvolto: per tutta la vita ha voluto nascondere la sua vera identità, ora non ha più nessuna maschera. In pochi giorni perde dieci chili. Viene ricoverato in una casa di cura per malattie nervose e curato con sette elettroshock. A mezzanotte le pre¬ levano a casa della suocera. «Maiale!», grida la gente, facendo ondeggiare l'auto che lo porta in carcere. Dove si impicca, e muore - a giugno - dopo un'agonia di 45 giorni. Era sospettato soltanto per occultamento di cadavere. Alcuni giornali parlano di «omicidio annunciato», di inchiesta condotta con «pesantezza bovina». A questo punto - sono passati mesi - incomincia a cambiare qualcosa. Nel modo di indagare e nel modo di riportare le notizie. I tre imputati appaiono sempre meno credibili, mentre cresce il sospetto che - magari manovrati da qualcuno - continuino a rilanciare la storia del sesso proibito per depistare gli inquirenti da qualcosa di più scottante. Si fanno più visibili le divisioni fra carabinieri e polizia, investigatori locali e quelli venuti da fuori, procura della Repubblica e ufficio istruzione. Alcuni giornalisti, stanchi di tutte le inattendibili «gole profonde» loquacissime nei mesi passati, si mettono a cercare altri elementi capaci di formare una sequenza, un mosaico finalmente plausibile. Forse - comincia a pensare anche un giovane ostinato magistrato, Pierluigi Mazzocchi - c'è un nesso fra il sequestro Lavorini e il momento in cui è avvenuto. Dopo i fatti della Bussola, a Marina di Pietrasanta erano nati i Comitati di salute pubblica che invitavano «la parte sana del popolo italiano a predisporre la propria difesa». Si erano mobilitati i gruppi di destra, saldando alleanze fra msi e nuovi gruppuscoli. Era arrivato il principe Junio Valerio Borghese, quello della Decima Mas, e aveva fatto affiggere sui muri manifesti con un bambino che piange («Mamma, papà, cosa aspettate a difendermi?»), sotto il titolo: «Italia drogata e democratica». Forse non si era tenuto abbastanza conto dell'elemento che unifica tutti i personaggi che hanno ammesso una qualche responsabilità nella storia: il Fronte monarchico (che dopo la morte di Lavorini si è come dissolto) e il suo presidente, quel Pietro Vangioni che con quei ragazzi ha rapporti e che tutti si preoccupano di tenere fuori dalla vicenda. Eppure proprio il solito Baldisseri, cassiere del Fronte, aveva ammesso: «Il sequestro lo avevamo organizzato per raccogliere fondi, un 1015 milioni. Tutto fu ideato da Vangioni». Per Marco, Foffo e Vangioni siamo alla vigilia dell'autunno scatta l'accusa di omicidio e tentata estorsione. La Corte d'Appello e la Cassazione, nel '76 e nel '77, li condanneranno per questi reati, maturati - dice la sentenza - nel quadro di un «programma pseudopolitico». E così, dopo anni, vien data ragione al giudice Mazzocchi, che aveva lavorato fra mille ostacoli e rinvìi: un copione che poi, da quel '69, si sarebbe tante volte ripetuto. Per questo Roberto Bernabò e Corrado Benzio parlano di «Viareggio come giardino d'infanzia della strategia della tensione», e intitolano L'infanzia delle stragi il libro che hanno scritto per ricostruire la vicenda Lavorini. Sono due bravi giornalisti viareggini, poco più che trentenni. L'età che oggi avrebbe Ermanno, se non fosse stato ucciso. L'età anche dei suoi assassini, tutti naturalmente già liberi. Liliana Madeo Migliaia di gole profonde denunciarono giochi proibiti di gente in vista. Un suicida, un morto di crepacuore. Poi si scoprì qualcosa di più scottante Si prega dove fu trovato Ermanno. Sotto, il negozio dei Lavorini. Sopra il titolo, Marinella consola la madre. A destra: in alto Junio Valerio Borghese, in basso Marco Baldisseri Sotto, Ermanno Lavorini. Aveva 12 anni. A destra, una vittima dei sospetti: Adolfo Meciani con la moglie. Giocatore di poker e playboy, sconvolto dalle accuse, s'impicca in carcere a 42 anni RACCONTI D'ESTATE