Si estingue il popolo di Zoroastro

Si estingue il popolo di Zoroastro Dimezzati in 30 anni i Parsi. I più illustri, i figli di Indirà Gandhi, morti uccisi Si estingue il popolo di Zoroastro Gli adoratori delfuoco non fanno più figli EUGGITI dodici secoli fa dalla Persia per preservare il sacro fuoco di Zoroastro dalla profanazione degli invasori arabi e divenuti la più ricca e rispettata comunità etnica del continente indiano, i Parsi rischiano di sparire dalla storia non più travolti dalla furia di un nemico fanatico e spietato ma dalla prosperità del mondo moderno. A lanciare l'allarme è stato Jehangir Patel, direttore della rivista Parsiana: «La nostra comunità è in declino, le cifre sono sconfortanti». Quest'anno sono morti 335 zoroastriani e ne sono nati soltanto 92. Nel 1961, c'erano in India 100.072 Parsi, 91.226 nel '71, 71.630 nell'81. Oggi ne rimangono 58 mila. L'arrivo dei Parsi in India è generalmente collocato nell'VIU secolo d. C, anche se è certo che nel Nord del Paese esistessero già colonie fondate da persiani (o Gabr, come li chiamavano gli arabi): la tradizione vuole infatti che Mahbanu, la terza figlia dell'ultimo re zoroastriano di Persia, Yazdegard III (ucciso da un fornaio nel 651, mentre scappava inseguito dalla cavalleria araba), sia fuggita in India dove avrebbe sposato un principe hindu. Quel matrimonio avrebbe dato origine alla schiatta dei Sisodyas di Udaipur. Parecchio tempo dopo, nel XIV secolo, Tamerlano racconta con sanguinaria ebbrezza come nella sua folgorante calata sull'India settentrionale abbia passato a fil di spada intere città di adoratori del fuoco, dualisti maledetti. Gente, annotava il turco convertito al monoteismo di Maometto, «che adora perversamente due dei, Yazdan e Ahriman». Ma non furono i Parsi del Nord dell'India, sterminati dagli invasori o assimilatisi agli hindu, gli antenati dell'odierna comunità zo- roastriana. Gli antenati del celebre direttore d'orchestra Zubin Mehta e del paperone indiano Tata arrivarono in India via mare e sbarcarono (secondo la storia parsi nel 716) nel Gujarat, non lontano da Bombay. Un piccolo poema in persiano, il Qisseh i Sanjan (I fatti di Sanjan), racconta, senza troppo riguardo per la precisione storica, quell'impresa. Fuggiti dal Khorasan quando la mezzaluna islamica scacciò il sole di Ahura Mazda, i Parsi guidati dal dastur (capo religioso) Nairyosangh, saggio astrologo, chiesero ospitalità al re hindu Jadi Rana. La leggenda racconta che il re offrì ai profughi una tazza colma di latte e disse: «Il mio regno è come questa tazza, di più non si può riempùe». Dopo un attimo di disappunto, l'astuto dastur tirò fuori dalla sua sacca un pizzico di zucchero e lo sciolse nella tazza: «I Parsi saranno come questo zucchero, che rende più dolce il latte senza farlo traboccare». Nairyosangh formulò allora la sacra promessa che ancora oggi scandisce la fedeltà dei Parsi al Paese che li accolse: «Hameh Hindustan ra yar bashim» (Resteremo amici dell'India intera). L'India divenne così la seconda, vera, patria. «Nell'Iran i Parsi amano l'antica terra d'origine - spiega il professor Firoze Coswaji Davar dell'Aris Col- lege di Ahmedabad -. Dopo tutti questi secoli però considerano l'India, che li accolse campassionevole, la loro vera Madre». Gli indiani presero presto ad apprezzare questi vicini sobrii e fidati e ad apprezzare il loro talento per il commercio. La comunità prosperò. Ma oggi, proprio Nargol, il villaggio considerato il primo insediamento dei Padri Pellegrini iraniani nel Gujarat, è il simbolo della crisi di vitalità che affligge i Parsi. Tehamurusa Vadiya, 56 anni, è il più giovane dei 55 abitanti rimasti nel villaggio, che un tempo ospitò fino a 9 mila residenti. «I giorni felici se ne sono andati - ha detto sconsolato al giornalista di India Today che lo è andato a trovare nel suo giardino, in una Nargol silente e sbarrata -, ormai qui va tutto in rovina». I vecchi ricordano ancora quando, all'inizio del secolo, Nargol era un posto pieno di vita e di traffici, dove i Parsi vendevano riso e tadi (l'acqua di cocco). Grazie al mecenatismo dei Tata e dei Vadiya (tuttora alla guida di grandi imperi economici indiani) il villaggio poteva vantare un ospedale, un politecnico e una scuola d'arte. «C'era un sacco di gente allora - racconta Gustada Patel, nato nel 1907 -, si andava a Bombay a vendere il cocco». Il tramonto cominciò dopo l'indipendenza indiana, negli Anni 50, quando i giovani andarono nelle grandi città e rimasero solo i vecchi. Il direttore di Parsiana attribuisce il declino della comunità indiana al tradizionale rifiuto parsi del proselitismo (rifiuto nato nella cultura degli esuli, estraneo però allo zoroastrismo originario) e alle recenti ondate di emigrazione in Stati Uniti, Canada e Australia. Per Bachi Karkaria, giornalista parsi di Times of India, il problema è un altro: gli zoroastriani non si sposano o se si sposano non fanno figli. Uno studio compiuto l'anno scorso su un campione di 7 mila Parsi adulti mostra che il 44,8% degli uomini e il 37,9% delle donne non sono sposati e che le coppie sposate hanno una media di 1,6 bambini. «Nella loro storia indiana - dice Sandhu Roop Lai, lettore di hindi all'Università di Torino - i Parsi hanno, in genere, evitato scrupolosamente i matrimoni con persone di altre religioni. Questa tendenza, che forse ha permesso loro di conservare viva la tradizione, è uno dei fattori che oggi rischiano di portarli all'estinzione». Infatti tra i delegati del Gran Consiglio parsi, che si terrà in ottobre a Bombay, molti spingono per ammorbidire le regole che vietano l'accesso ai templi del fuoco ai Parsi che hanno sposato persone appartenenti ad altre religioni. Paradossalmente, proprio un Parsi, che ha trasgredito quel divieto, ha dato vita alla più importante dinastia politica dell'India contemporanea: Firoze Gandhi (nulla a che fare col Mahatma), oscuro marito di Indirà, la figlia di Nehru, e padre di Sanjay e Rajiv. Tutti morti di morte violenta tra le braccia della Grande Madre India. Claudio Gallo Sanjay e Rajiv, i due figli di Indirà Gandhi Il loro padre era un parsi, che trasgredì il divieto di sposare fedeli di altre religioni