Processo alla Serbia impero del male

Processo alla Serbia, impero del male A Londra la Conferenza sulla Jugoslavia si è aperta con un fuoco d'accuse contro Belgrado Processo alla Serbia, impero del male «Fermatevi o sarete i parìa d'Europa» LONDRA NOSTRO SERVIZIO Si è assistito ieri a un processo, nella giornata inaugurale del mega-vertice sulla Jugoslavia, indetto dalla Cee e dall'Onu. Sul banco degli accusati, Belgrado, descritta, nelle parole del ministro tedesco degli Esteri Klaus Kinkel, come «la fonte di ogni male». E adesso? O i serbi si ravvedono o la comunità internazionale li «isolerà». E' una svolta allora? Lo sapremo presto, forse domani stesso. Nell'attesa, prevale un sano scetticismo. Tre sono le possibilità. Le minacce euro-americane hanno effetto, la Serbia, rappresentata qui da Slobodan Milosevic e da Milan Panie, assume gli impegni richiesti dall'Onu, dalla Cee, dalla Russia, dall'Alleanza Islamica, da tutti insomma. Oppure i serbi firmano, ma, come già hanno fatto altre volte, tornano a casa e non mantengono le promesse. Oppure ancora, non fanno neppure finta di accettare l'offerta e, con qualche pretesto, partono, fieri d'avere sfidato il mondo. Come abbiamo detto, i pessimisti sono più numerosi degli ottimisti, ma è troppo presto per tirare le somme. Non si può ancora escludere che questa conferenza sia veramente il prologo di un «processo di pace» che continuerà a Ginevra. La lunga e laboriosa giornata diplomatica si era aperta con il discorso del premier britannico John Major, che il convegno londinese copresiede ipsieme con il segretario generale dell'Onu Boutros Ghali. Un discorso che ha subito rivelato la forza e la debolezza della strategia euroamericana. La forza scaturisce dalla collera collettiva antiserba che agevola la convergenza dei diversi, piani.d'.azione.. La.debolezza è il frutto della rinuncia, sia pure non ufficiale né definitiva^'aTtè'rcàre, isolazioni rhai&i militari, nessuno vuole «spegnere una guerra con una guerra». Neppure John Major ha menzionato l'uso della forza, tranne che per fare scudo alle missioni umanitarie. «La tragedia della Jugoslavia continua. In tutto il mondo, i popoli vedono le devastazioni, la disperazione e i crescenti pericoli di questo conflitto», ha principiato John Major che ha subito aggiunto: «Vi sono in questa sala persone che potrebbero por fine a questa guerra. A loro dico: fermatela, fate cessare questo spargimento di sangue». Ha poi esposto il suo disegno, che è adesso il disegno della Cee e dell'intera comunità internazionale. Si con tinuino le missioni umanitarie e si avvìi immediatamente un «processo, di pace». Questo «processo di pace», che potrebbe essere arduo e lunghis simo, deve ispirarsi, ha avverti to Major, a chiari e precisi «princìpi», quattro soprattutto: rinuncia alla forza, chiusura dei campi di concentramento, rispetto dei diritti umani, rispetto di tutte le frontiere. Tali princìpi dovrebbero costituire il nerbo di uno Statement of Principles, un documento cui si accompagnerà un Action Programme. Ma non c'è tempo da perdere, per cui la Conferenza londinese chiede «a tutti i presenti di firmare subito gli abbozzi di questi testi», di assumere impegni immediati. Poi il monito: «Se tutte le parti in Jugoslavia, compresa la Serbia,, sono pronte a firmare i documenti in prima stesura, sarà un segno incoraggiante. In caso contrario, il mondo avrà diritto di dubitare della loro buona fede e tirerà le sue conclusioni». Quali saranno queste «conclusioni»? Anzitutto, sanzioni assai più aspre. Ma non basta. «Le varie delegazioni jugoslave, e in particolare quelle della Serbia e del Montenegro, devono ora domandarsi: voghamo far parte dell'Europa? Vogliamo appartenere alla comunità mondiale?... A coloro che accettano il negoziato, abbiamo tutto da offrire. Altrimenti la pressione crescerà, inesorabilmente. Nessun commercio. Nessun aiuto. Nessun riconoscimento internazionale. Sarà l'isolamento totale. Culturale, politico e diplomatico». Altri hanno rincarato la dose. Come il ministro tedesco degli Esteri, Klaus Kinkel, il quale ha dichiarato severissimo: «Rivolgo un appello ai leader serbi. Siete a un bivio. Da una parte, pace e prosperità, dall'altra isolamento e miseria. I responsabili delle devastazioni dovranno rispondere dei loro misfatti...». E ancora: «Ovviamente, molti sono i colpevoli di questi crimini, ma dov'è la fonte prima di ogni male? La risposta è: Belgrado. Assistiamo a un genocidio e la Comunità delle nazioni punirà tutti i delitti». Anche Dumas per la Francia ha parlato duro e ha chiesto la condanna dei «criminali di guerra». Il nostro ministro degli Esteri Emilio Colombo ha approvato i disegni per un lungo negoziato di pace, ma ha insistito sulla necessità di «decisioni immediate», possibilmente già qui a Londra. I serbi devono chiarire le «ambiguità» dei loro ultimi gesti diplomatici e impegnarsi subito «a esercitare tutta la loro influenza sulle fazioni e sulle forze statali al fine di far cessare la violenza». «Devono altresì garantire la chiusura immediata di ogni lager in Bosnia e convincere il mondo che dicono la verità, quando affermano di voler tutelare confini e minoranze». Mario Ciriello Major offre a Belgrado aiuti e riconoscimento se accetterà di firmare la pace Altrimenti sarà l'isolamento Ma l'Occidente non parla di uso della forza militare Con il suo «Ak-47» a tracolla, un miliziano bosniaco si prepara a respingere l'assalto dei serbi. A destra un bambino in un centro profughi, a 60 chilometri a Sud-Ovest da Lubiana. (foto apj