Dalla parte di Woody; quella Celeste Aida in tv sembrava Blob

Dalla parte di Woody; quella Celeste Aida in tv sembrava Blob AL GIORNALE Dalla parte di Woody; quella Celeste Aida in tv sembrava Blob La vendetta di una donna tradita Non stiamo esagerando un po' con Woody Alien? Certo, prima ci era più simpatico. Certo, infrange un'immagine cui eravamo affezionati. Certo, sfida i nostri canoni morali, per i quali, seppur adottivo, ci piaceva come padre premuroso e generoso di così numerosa figliolanza di tante razze diverse. Certo, nella vita ci sono i freni: alla sua età, con la sua intelligenza, poteva fermarsi, lavarsi la faccia con l'acqua fresca, fare un viaggio, distrarsi con un nuovo film, invece di sedurre Soo-Yi, o di farsene sedurre. Certo poteva ricordarsi che ci sono al mondo tante altre ragazze, facilmente conquistabili anche da un uomo brutto come lui, ma famoso, ricco e che certo non annoia. Ma detto tutto questo (e altro), perché prendersela tanto? Soo-Yi non è sua figlia: dov'è dunque lo scandalo? In fin dei conti, tutto è divulgato ai quattro venti, enfatizzato, drammatizzato da una moglie tradita e dai suoi avvocati. Ai figli adottivi, soprattutto ai piccoli - una dei quali addirittura costretta a testimoniare contro il padre in un videotape! - nuoce di più la «colpa» di Woody o il furioso comportamento di Mia Farrow? Maria Bonini Segrate (Milano) E il tenore parlava da solo Ho assistito venerdì a tarda sera su Raiuno all'Aida trasmessa dalle Terme di Caracalla. O meglio: solo dopo un po' ho capito che si trasmetteva l'intera opera, perché lì per lì ho creduto che il tenore Giacomini alle prese con «Celeste Aida» fosse uno spezzone di Blob. Cosa che mi pareva confermata dall'applauso infondatamente scrosciante e poi dall'insistenza con la quale il teleobiettivo coglie¬ va intanto l'artista a parlare da solo, chissà se ringraziando il Signore, facendo scongiuri o ripassandosi la parte. Sembrava Blob anche il resto: l'orchestra che si sentiva troppo forte e troppo forte stonava, diretta (pardon) da Andrea Licata tra accelerate cabarettistiche e rallentamenti enfatici; il coro che andava assolutamente per conto suo; il balletto banalmente gesticolante, senza alcun rapporto con i ritmi musicali; le celebri trombe della Marcia trionfale che sul più bello sparavano un paio di stecche formidabili; i cantanti che si muovevano in scena come guitti. Il tutto ravvivato da una scritta con la quale ogni cinque minuti si sottolineava che la trasmissione avveniva «dalle Terme di Caracalla»: forse si temeva che quel ben di Dio potesse essere attribuito al Metropolitan o a Salisburgo! Quante telecamere, quanti uomini, quanti soldi ci sono voluti per ammannire quest'Aida ai telespettatori? Chi ha deciso che quello spettacolo meritava un simile spreco di denaro pubblico? O lo si è fatto per gli archivi di Blob, non saturi delle gaffes dei telepersonaggi? Aldo Poccioni, Ostia (Roma) La progenitrice di «Faccetta nera» La polemica attinente a «Faccetta nera», per dirla con Orazio, desinit inpiscem, cioè finisce in coda di pesce, nel senso che si comincia bene e si finisce male recriminando contro le «sporche» guerre coloniali. Oh, Somalia, Eritrea, Etiopia, quanto dovete oggi, come allora, all'Italia! Sarà una sorpresa per la generalità dei lettori apprendere che la Faccetta nera, bell'abissina, lanciata dal palermitano Mario Ruccione, ebbe una sorella, Africanella, verseggiata dal poeta napoletano Roberto Bracco e musicata da Claudio Clausetti, divenuta subito popolare tanto che persino i piemontesi la cantavano in dialetto napoletano: «Io tengo 'na medaglia / Ch'avette p' 'a battaglia / E tengo 'na bannera / Cu 'na faccetta nera, / Africanella, a Cassala / Vincetteme, over'è:/ L'Italia resta in Africa, / Tu rieste 'mpietto a mme!». La canzo¬ ne non portò fortuna ai nostri soldati d'Oltremare, è vero, ma il «mal d'Africa» colpirà nuovamente l'Italia nel 1911 con l'impresa di Tripoli, cui per quella canzone patriottica A Tripoli si sono ispirati i torinesi Giovanni Corvetto, cronista de La Stampa, e Colombino Arona, musicista, con una interprete d'eccezione come Gea della Garisenda. Nell'ottobre di quell'anno, la bella e prosperosa soubrette ravennate si presentò agli habitués del teatro Balbo di Torino avvolta in un ampio mantello nero e sul punto d'intonare «Tripoli bel suol d'amore», liberatasi dal mantello, apparve ammantata di tricolore, scatenando un delirio di applausi. Ogni volta che lei cantava A Tripoli, il teatro era un delirio. Gli uomini, cavallerescamente, buttavano in aria i propri cappelli, non facilmente recuperabili intatti. Era destino che Gea della Garisenda dovesse sposare il più importante industriale italiano di cappelli: Teresio Borsalino, futuro senatore del regno. Angelo Giumento, Palermo Nel Savoia Cavalleria c'ero anch'io Leggo con molto piacere su La Stampa del 18 agosto alcune fasi belliche nella steppa del Don, il sottoscritto apparteneva al Savoia Cavalleria ed è miracolosamente scampato alla famosa alba fatale del 24 agosto '42 ad Isbuscnski a quota 213,5. Quel che ricordo io è che, in un corridoio rimasto vuoto fra tedeschi e romeni, al comando del col. Bertoni fu lanciato alla carica il Savoia Cavalleria a chiudere la falla attaccando 3 battaglioni russi a 700 metri coronando di nuova gloria le bandiere italiane sul Don, ove restarono molti caduti come il magg. Litta, il cap. Abba, il magg. Modigliano, il cap. Di Leone Manusardi e molti feriti. Fu una lunga marcia per tutto luglio e agosto con poca resistenza, al far buio si pernottava tra i girasoli al far giorno si riprendevano le marce di 40 e 50 km. Il nostro morale era alto perché si avanzava senza resistenza, una radiolina spesso annunziava che le truppe in Africa erano alle porte di Alessandria con la speranza di tornare in Italia, ma dopo tutte queste lunghe marce da Dnepropetrovsk a Voroscilograd e Millerovo eccoci sul Don da cui non si andò più avanti. Ricordo benissimo alcune parole del gen. Messe, ragazzi! coraggio che a presto vi porterò a fare la sfilata a cavallo in piazza del Duomo, intanto si capovolse tutta la situazione nell'ansa del Don, e così finì la tragedia della ritirata generale gennaio 1943. Voglio ringraziare La Stampa di Torino unitamente a Rigoni Stern di aver pubblicato questi grandi sacrifici dopo 50 anni dei soldati italiani sul fronte russo. Canio di C air ano Calitri (Avellino) Prima paghino i responsabili Propongo agli italiani onesti il rifiuto al pagamento di tutte le imposte passate e recenti, fino al giorno in cui venga accertato che dopo le copiose autoelargizioni trascorse si siano autoridotte di almeno il 50% tutte le prebende, liquidazioni, pensioni ed indennità varie ai seguenti personaggi: tutti i ministri (compreso il presidente della Repubblica); tutti i parlamentari (compresi portaborse e dipendenti delle Camere); tutti i politicanti e dipendenti dei partiti politici; tutti i magistrati di ogni ordine e grado; tutti i dirigenti dello Stato, Parastato, Iri, Rai, e simili; tutti i dirigenti industriali, dei giornali, delle forze armate. E stesso rifiuto fino a che non siano stati allontanati definitivamente dal potere, senza più compenso o possibilità di ritorno tutti i governanti facenti parte degli ultimi governi e tutti i parlamentari facenti parte delle Camere nelle ultime legislature. Questo perché ritengo sia ora di colpire veramente tutti i responsabili, chi ha plaudito, taciuto o nascosto e mimetizzato le scelte perverse dei nuovi feudatari. E' ora di chiarire se mente il signor Cirino Pomicino, oppure il signor Amato che oggi ci dice che siamo sull'orlo del baratro. E' ora che paghino tutti i possibili responsabili. Poi pagheremo anche noi e magari, chissà, anche volentieri. Ermenegildo Leccesi, Torino