Argento vivo su tele russe

Argento vivo su tele russe Da sabato a Venezia la stagione dei Simbolisti e del grande manager culturale Argento vivo su tele russe Nel cerchio magico di Diaghilev lS VENEZIA I apre sabato alla Fondazione Cini sull'Isola di San Giorgio, a cura dell'Olivetti e della Fondazione Internazionale Russa di Cultura, la mostra «Il Simbolismo russo. Sergej Diaghilev e l'età d'argento nell'arte» (l'«Età d'argento», nella tradizione letteraria russa, è quella post-Tolstoj e post-Dostoevskij, è l'età di Cechov, di Blok, di Belyj, di Bal'mont): due centinaia fra dipinti e fogli grafici, bozzetti, foto di scena e costumi di teatro e balletto, 25 fra sculture, ceramiche, oggetti di arti applicate. Tutto è possibile quando si entra nel cerchio magico della cultura e della fantasia estetica di Diaghilev, nato nel 1872 nel cuore della Russia slava originaria, nel Governatorato di Novgorod, e sepolto a Venezia, cimitero di San Michele, nel 1929 (e un intero versante della cultura e del gusto europeo sentì finita un'epoca). Si parte da una Pietroburgo ancora fedele al mito di Pietro il Grande nella volontà di coniugare simbolicamente creatività culturale e artistica russa e «nuovo stile» europeo. Si approda a Parigi travolta e affascinata da Diaghilev con le sue mostre, musiche, balletti russi. Si finisce oggi con il convegno promosso dal presidente del Kazakhstan a Alma Ata e dedicato a Roerich, uno dei «suoi» pittori e scenografi, di cui parlavano giorni fa su La Stampa Elemire Zolla e Grazia Marchiano. E tutto accade e è in bella mostra nelle sale di San Giorgio. Il protagonista si affaccia alla Manet nel Ritratto nella casa-studio dipinto dallo stretto collaboratore Leon Bakst, proustiano nell'eleganza inglese in panciotto e catena d'oro, ma «en artiste» nella giacca di fustagno e molto russo nel richiedere nello sfondo la presenza della vecchia nutrice. E' la terza volta che arriva da noi negli ultimi anni, dopo Napoli e Torino alla mostra «Mir Iskusstva. Il Mondo dell'arte» del 1982, ricordata in catalogo da Dmitrij Sarab'janov, e dopo il Lingotto tre anni fa; ma in asso luto la quarta, dato che Diaghilev stesso se l'era portato alla Biennale di Venezia nel 1907. E Vrubel', il più grande di tutti, dispiega i suoi talenti come, un Klimt bizantino-antico russo, nei bozzetti per affreschi sacri a Kiev negli anni 1880 (Diaghilev è ancora si liceo di Perm'), è poi fantastico e liberty nel Gioco di Naiadi del 1899 e infine dispiega il gusto modernista delle miraci li ceramiche e maioliche e paste di vetro in una fantasia altret tanto «barbarica» quanto all'è stremo opposto del continente la Catalogna di Domenéch e Gaudi E nel 1913 Fredman-Kljuzel' calca e fonde nel bronzo il piede divino di Anna Pavlova, a cui la mostra affianca la scarpetta da ballo in raso e pelle dal Museo Teatrale di quella che è ritornata a chiamarsi San Pietroburgo. Aleksandr Benois, dalla cui famiglia era passata all'Ermitage la Madonna Benois di Leonardo, manda a spasso con simbolica ironia e delicatissimi colori il vecchio Luigi XIV in un parco di Versailles che il pittore conosceva e frequentava quasi come un ritorno alle origini del sangue ma che poi, in omaggio al nuovo sangue, dipingeva somigliantissimo all'imperiale Tsarkoje Selo, e lo dipingeva esattamente negli anni in cui Previati, a Milano, toccava lo stesso tema con minore levità letteraria e teatrale e più clamorosi simboli solari. Come giustamente osservano nel catalogo Olivetti-Electa sia Dudakov che Sarab'janov, questo simbolismo russo, così ricco sul piano letterario in preparazione alle avanguardie acmeista e futurista, in campo artistico ha molte, disparate facce, anche contraddittorie. Diaghilev, fra riviste e mostre e spettacoli, fra Pietroburgo, Parigi e Venezia, ha l'aria di gestirle con superiore, intelligentissimo «dandysmo» ma anche con un vivissimo senso pratico di manager culturale. Pittura e musica, poesia e teatro, dall'Imperiale di Pietroburgo all'Opera e allo Chàtelet di Parigi, da Montecarlo al Royal Opera House di Londra; tradizioni e storia dell'arte russa e appartenenza alla élite culturale internazionale prima, durante e dopo la bufera della Prima guerra mondiale e della Rivoluzione, figlia anche delle avanguardie di rottura da cui egli si era ritratto: le riteneva in pittura prodotti spurii del terreno su cui aveva seminato, in mezzo ai trionfi parigini dei suoi ballerini, scenografi, cantanti come il grandissimo Shaliapin, qui presente nel Ritratto di Korovin e in forma di statuetta di porcellana. Ma ecco che, fra le tante facce della cultura simbolistica a lui legata, cominciano a comparire anche le delicate prove pittoriche della Goncharova - ma anche la prima deviazione legata all'espressionismo tedesco, Primavera in città del 1911 -, la prima bella fase impressionistica di Larionov, il Ritratto di donna «simultaneista» di Jakulov. Questi non a caso sarà nel 1920 lo scenografo del Mistero buffo di Maiakovskij, ma tornerà a collaborare con l'inesauribile Diaghilev nel '27 come librettista e sce¬ nografo costruttivista del memorabile Pas d'acier di Prokofiev al Sarah Bernhardt di Parigi. Il nucleo vero della cultura e del gusto di Diaghilev rimane comunque legato ai sogni neosettecenteschi del «Mondo dell'arte», alla squisita pittura di simbolismo quotidiano, fra Cechov e il sogno di natura del grande Borisov-Musatov, troncata a 35 anni nel 1905; al simbolismo di marca tedesca, monacense, di Serov, di cui si rivede qui a Venezia il grande Ratto di Europa del 1910, e a quello più intimamente lega¬ to alle poetiche e teoriche di Blok e di Belyj dei continuatori di Borisov-Musatov nella «Rosa Azzurra». Quest'ultimo aspetto è rappresentato esemplarmente dal bozzetto della Fontana azzurra di Kuznecov, dal Chiaro di luna di Utkin dall'opulenza decorativa orientale.ma anche matissiana dei fiori e delle Nature morte di Sar'jan. Analogo clima culturale, ma volto al monumentale e al simbolismo cromatico, ritroviamo nei quadri di Petrov Vodkin. Ma è pur vero che lo stesso pittore era presente al Lingotto con una delle opere più dignitosamente dipinte, ma anche più esemplari, del «Realismo socialista», La morte del commissario. E' un punto delicato: Vittorio Strada, nel suo bell'intervento in catalogo, deve ammettere sia pure ellitticamente che a alcuni aspetti di questa cultura artistica, i più lontani dall'avanguardia, si riallaccia anche il realismo socialista. Dove la mostra ovviamente trionfa, con una ricchezza mai vista in Italia, è nella parte del bozzetto teatrale, Bakst e Benois, Anisfel'd e Golovin, Korovin e Sapunov; un poco sacrificati rispetto al loro livello sono solo Dobuzhinskij e Sudejkin. Eccezionali per novità sono i costumi veri e propri, compreso uno per Petrushka, le foto di scena dei primi balletti parigini e al Mariinskij di Pietroburgo, i manifesti, fra cui quelli di Cocteau con la Karsavina e Nizhinskij in Le spectre de la rose di WeberFokin-Bakst del 1911. Marco Rosei Sergei Cechonin: «Nudo» (1915) esposto alla Fondazione Cini con due centinaia fra dipinti, fogli grafici, bozzetti, foto di scena e costumi teatrali. Ci sono anche venticinque sculture Boris Grigor'ev: «Ritratto di Serling» (1910 circa) in mostra a Venezia