A Mogadiscio, tra i ruderi di un'altra Adua italiana

A Mogadiscio, tra i ruderi di un'altra Adua italiana UN INVIATO NELLA SOMALIA IN FIAMME Cacciati e assenti dopo cent'anni di colonia, amministra2ione fiduciaria e assistenza A Mogadiscio, tra i ruderi di un'altra Adua italiana MOGADISCIO DAL NOSTRO INVIATO Nonostante la guerra e la fame, Zaarax Sabriye ha una grande, segreta speranza. Entro pochi giorni dovrebbe arrijiace injsittà un primo contingente di caschi blu, con pachistani e kenioti. Lui spera che sia solo un'avanguardia e che presto sbarchino anche i finlandesi, tradizionali fantaccini della pace nei punti caldi del mondo. Perché Sabriye è l'unico somalo che sa parlare correttamente il finlandese. Quando ha salutato nella sua lingua un ufficiale finnico del piccolo gruppo di osservatori già nella capitale ha rischiato di causargli un infarto. Questa singolare conoscenza linguistica l'ha conseguita vivendo molti anni nel Nord Europa dove aveva anche trovato moglie. Viveva felice Sabrye nella Mogadiscio di qualche anno fa: possedeva due lavanderie e un buon conto in banca. E proprio questa è stata la sua rovina. Perché Siad Barre era un dittatore che applicava il vecchio principio degli autocrati per cui il popolo è come una barba o un gregge che per crescere bene devono essere ripetutamente e meticolosamente tosati. Così un giorno venne convocato per ricevere l'annuncio che il suo denaro era, momentaneamente, «sequestrato»: stesse tranquillo in attesa di futuri «sviluppi». Sabriye commise, invece, l'errore di protestare ed è finito cinque anni nei gulag del Corno d'Africa, a Berbera nel lontano Somaliland. Ha perso la vista, la moglie se n'è andata, ma almeno è rimasto vivo, fortuna che non è toccata a molti che hanno provato le attenzioni di «Bocca larga». Sabrye non ama solo la Finlandia, parla bene anche dell'Italia e raschia dalla memoria nomi di «amici» perduti a Roma e Milano. Eppure, quando lui cercava di sopravvivere ai berretti rossi del dittatore, Siad Barre era il leader africano più amato, coccolato, aiutato dalla Farnesina; presidenti del Consiglio, ministri degli Esteri, e sottose- gretari italiani erano di casa a Mogadiscio e nelle librerie della Penisola appariva (per la verità con scarso successo) una biografia-peana del medesimo. Autore Paolo Pillitteri, sindaco di Milano, presidente della camera di commercio italosomala, grande crocevia degli affari con questa dilettissima ex colonia africana. Dopo cent'anni di colonialismo, amministrazione fiduciaria, cooperazione, «assistenza» politica e militare, l'unica cosa italiana popolare a Mogadiscio è la pasta. Solo che a portarla qui per sfamare i profughi annichiliti dalla carestia sono stati i francesi, che si sono mo- bilitati a tempo di record, e che abbastanza scopertamente stanno lavorando per prenotare la gestione di una ricostruzione ancora molto remota ma inevitabile. Da qui siamo fuggiti con il fucile nella schiena, come non è accaduto neppure nell'Etiopia di Menghistu e nella Libia di Gheddafi, dove pure il nostro colonialismo «dà pezzenti» ha qualcosa di più da farsi perdonare. In tutta la Somalia dove opera una armata dell'assistenza internazionale con migliaia di persone, siamo presenti con una pattuglia di una decina di unità: quattro suore, un pugno di cooperanti e medici (ma sotto bandiera austriaca del Sos, un ente di assistenza privato, o a titolo personale), e una figura di «imprenditore» un po' conradiana, Giancarlo Marocchino, che con i suoi camion trasporta gli aiuti internazionali tra gli agguati dei predoni. Per vedere i resti di questa gigantesca Adua diplomatica dell'Italia repubblicana, democratica e anticolonialista, bisogna fare un tour tra le rovine. Quelle dell'ambasciata, un tempo vero secondo potere del Paese. E' ridotta a una corte dei miracoli rifugio di gruppi di predoni, le pareti trasformate in un immenso murale pornografico. Scene di violenze sessuali che tracciano un fumetto-horror assolutamente unico in un Paese musulmano. Deserta e abbandonata è anche l'università italiana, dove nell'epoca di Barre la nomenklatura comprava le iscrizioni per figli semianalfabeti ma desiderosi di avere, anche loro, «il pezzo di carta». Gli altri «doni» di una cooperazione tanto faraonica quanto fallimentare sono sparsi ovunque. Ruderi scoperchiati come i capannoni del grande centro per l'incremento zootecnico sulla strada tra la capitale e Merca. La nostra diplomazia in ritirata per un po' si è fatta ospitare dai colleghi di Nairobi in Kenya. Poi, dopo la fuga degli ultimi italiani durante la battaglia tra le opposte fazioni di Aidid e Ali Madhi, ritornato l'ambasciatore a Roma, «la unità di crisi» è stata malinconicamente trasferita in una soffitta. Adesso l'ex colonia è stata semplicemente cancellata dalla carta geografica della Farnesina. C'è chi l'ha definita, giustamente, «una sconfitta dell'intelligenza». Aiutare per anni un dittatore conoscendo perfettamente le caratteristiche del suo sistema di governo forse può ancora entrare nelle categorie della diplomazia del cinismo. Ma continuare a puntare a oltranza sul cavallo sbagliato è stupidità. Per uscire dal vicolo Barre, l'Italia ha scelto una soluzione «bado- gliana», regalando il proprio sostegno a un commerciante autoproclamatosi presidente, Ali Madhi, nel cui «governo», guarda caso, hanno trovato posto tutti i più fedeli collaboratori del dittatore. Una riverniciatura del regime in agonia che i somali hanno letto come un incomprensibile «tradimento» e il generale Aidid, l'uomo che ha messo in rotta le truppe del regime e controlla la capitale e tutto il sud del paese, ha interpretato come una dichiarazione di guerra. E ancora ad aprile, quando i commandos omicidi di Barre stavano trasformando in un cimitero il Sud, «agenti italiani» andavano e venivano dalla sua base di Chisimaio. Adesso «il nostro uomo» a Mogadiscio, che controlla a malapena un terzo della città, lancia sos a Roma chiedendo l'invio di diecimila soldati che facciano da forza di interposizione. Si deve sperare che i tradizionali «problemi logistici» ci salvino da quella che potrebbe trasformare la grottesca commedia degli errori in una tragedia. Il ministro degli Esteri Colombo ha dichiarato di essere disposto, per colmare vecchie ferite, a andare a Mogadiscio ma ha chiesto che siano assicurate garanzie di sicurezza. Visto il passato, forse qualche garanzia bisognerà darla anche ai somali. Domenico Quirico L'ex ambasciata è ridotta a corte dei miracoli coperta di murales osceni Solo una decina i connazionali Il sedicente presidente chiede a Roma soldati, ma accettare sarebbe una tragedia Dopo Barre, appoggiamo l'uomo sbagliato e ora ci accusano di un altro tradimento I nostri diplomatici si erano rifugiati a Nairobi. Ma ora l'unità di crisi è stata abolita ■ ■ BWJt?5i Bang Donne e bambini somali stremati dalla fame in un campo profughi vicino alla città di Beidoa Organizzazioni internazionali e molti Paesi si sono mobilitati in aiuto della Somalia ma l'Italia si è mossa per ultima [fotoapj listisi llllillll [li j|i ffi ] Un miliziano controlla un carico di aiuti internazionali. Nelle foto piccole l'ex dittatore Siad Barre, a lungo appoggiato dall'Italia, e il ministro degli Esteri Colombo [foto reuterj