L'esercito, una mina alla riconciliazione

L'esercito, una mina alla riconciliazione SCELTA INOPPORTUNA L'esercito, una mina alla riconciliazione ANCORA un attentato in Sardegna, a Lula, e ancora rischi. Rischi di danni alle persone, ma anche di semplificazioni e di errori. Che potrebbero rivelarsi altrettanto tragici. Va detto, in primo luogo, che la Sardegna non è la Sicilia. In Sardegna, il controllo sul territorio viene esercitato dalla criminalità organizzata solo su aree molto ristrette; e si tratta di un controllo assai meno forte di quello imposto dalla mafia su vaste zone della Sicilia. Ma, soprattutto, in Sardegna a esercitare quel controllo sono bande delinquenti che hanno esilissimi legami con gruppi economici e con interessi politici. Mentre in Sicilia, come ben si sa, un blocco economico-politico-criminale è in grado di controllare (o, comunque, condizionare) larga parte della vita pubblica e della vita sociale. E, tuttavia, due elementi della situazione sarda destano preoccupazione. Il primo riguarda la vita amministrativa locale: in numerosi centri del Nuorese, nel corso degli Anni 80 (e fino a qualéhe giorno fa), sindaci e giunte hanno subito intimidazioni e attentati .«he hanno determinato le dimissioni degli amministratori e la paralisi dei Consigli comunali. Altro motivo di inquietudine è la diffusione di un linguaggio e di un «senso comune anti-colonialista» che si intreccia con manifestazioni di devianza giovanile, nutrita di valori aggressivi e maschilisti, e di geloso «corporativismo territoriale». Il sardismo, che è una cultura e un programma politico di solida tradizione democratica, è ovviamente altra cosa: ma non c'è dubbio che lo sviluppo di una mentalità anti-centralistica possa assumere, presso alcuni strati e alcuni ambienti, anche forme intolleranti, talvolta violente, in qualche caso terroristiche. Perché negarlo, una volta chiarito che ciò è altra cosa, ben altra cosa, dal sardismo? Detto questo, vanno sottolineati i grandi mutamenti in corso. Il rapimento di Farouk Kassam ha mostrato, inequivocabilmente, che il tacere «non è più una virtù», se non per gruppi molto esigui, sempre meno capaci di ottenere (o imporre) consenso. E, negli anni scorsi, un'ampia mobilitazione individuale e collettiva ha iniziato a intaccare i meccanismi, prima ferrei e irriducibili, delle faide e delle catene di vendette. Sia chiaro: la situazione resta difficile e di difficile interpretazione, ma non c'è dubbio che sia in corso un lento processo di «riconciliazione» tra le popolazioni del centro Sardegna e le istituzioni democratiche; e che quelle popolazioni stiano verificando, faticosamente, la possibilità di confermare e rivendicare la propria identità regionale e locale (fatta di valori, lingua, tradizione), senza indirizzarla aggressivamente contro i «forestieri» (i rappresentanti dello Stato centrale, in primo luogo). Per questo la scelta dell'invio dell'esercito è apparsa così inopportuna. Perché rischia di interferire brutalmente con un processo estremamente delicato, che ha i suoi tempi e le sue esigenze. E le sue gelosie (chi è stato quel genio dall'ufficio propaganda delle Forze Armateche ha chiamato la spedizione «Forza Paris»?j Sembra davvero una barzelletta sui carabinieri). Che ci piaccia o no, l'esercito non evoca negli abitanti di numerose zone d'Italia sentimenti di identificazione; e in Sardegna - in quella zona della Sardegna - richiama ben altri umori. Ci voleva tanto a capirlo? La presenza dell'esercito com'è ovvio - non risponde a compiti di polizia: per la repressione del banditismo (o degli attentatori di Lula), ci vorrebbero ben altri strumenti di investigazione e di indagine. Resta, dunque, la sua funzione simbolica. Ma questa rischia di risultare disastrosa. Anche l'uomo di Stato più inflessibile sa che per rafforzare le relazioni tra cittadini riluttanti e istituzioni, è un'altra la faccia che un sistema democratico deve mostrare; sono altre le risorse da mobilitare; altri i messaggi da inviare. Luigi Manconi

Persone citate: Farouk Kassam, Luigi Manconi, Scelta