MORLOTTI la preghiera del vecchio ulivo

MORLOTTI la preghiera del vecchio ulivola memoria. L'artista si confessa: non fumo più, non bevo più, le ragazze m'hanno detto addio. Ma lavoro MORLOTTIla preghiera del vecchio ulivo LECCO DAL NOSTRO INVIATO «Faccio un'estate da pigro in Brianza. Cerco le emozioni da sfruttare l'inverno. Ho un piccolo studio, non soffro il caldo. Formalmente lavoro, anche qui». Ennio Morlotti ha ottantadue anni, una figura forte, da vecchio ulivo, una faccia squadrata, da antica pietra comacina. Ha lasciato la sua casa milanese, in via Leopardi, si è trasferito a Lecco, «qui vivo come in convento. Non amo la vita mondana. Vado a letto presto. Mi alzo il mattino alle quattro». La moglie, Anna, ha ricoperto di usse bianche i grandi divani e le poltrone, chiuse le persiane a proteggere, ai muri i colori di Khmt, le rose e le bottiglie di Morandi, i melograni secchi nelle ciotole sui tavoli. «Anche d'inverno cerco quelle emozioni che mi vengono dal paesaggio, dalle donne, dalla gente. Devo fermarle perché si spengono mentre la vita continua». | Le parole di Morlotti, al contrario dei suoi sorrisi, sono rade, secche e materiche, come le pennellate delle sue tele. Rapisce emozioni invernali' che poi «formalizza»,, cura, ripete, nelle sue estati vicino a Lecco, sul lago di Oggiuno. Ma anche lì, toccato dalle emozioni di una brezza in un canneto o un tramonto d'acqua, afferra immagini che lo riscalderanno d'inverno, nel suo studio milanese. «Lavoro due o tre ore al giorno, leggo un po' al mattino presto. Poi sono stanco». Dire che «è stanco» è un vezzo venutogli con l'età, un modo per esorcizzarla. «Cosa faccio d'estate? chiede. - La mia vita è il mio lavoro». E per chiarire pienamente la sua estraneità alla stagione dice: «L'ultima estate ho fatto dodici quadri. Ero a Bordighera. Quadri che mi sono piaciuti. Io lavoro per me stesso, è la cosa più importante. Quei quadri li ho poi rifatti qui in Brianza. C'erano cactus e ulivi e figure nel verde. Erano don ne, figure di tanti anni fa, che avevo visto sul lago. Donne di rosa e azzurri. Sono soggetti antichi, ci passa la storia della pittura, da Giorgione a Cézan ne. Il nudo nel paesaggio è un chiodo che ho sempre avuto. Fi nalmente l'ho afferrato». «Non c'è eros ma tanta calma» Le sue bagnanti, le sue varia zioni sopra un canto sono andate in mostra, con una presentazione di Giovanni Testori, quest'anno nella galleria di Ruggerini & Zonca. «Ma non sono immagini di vita erotica - ci tiene a precisare con un sorriso malinconico c'è calma, tanta calma. C'è il piacere, ma una pittura di pia cere, la sensazione che dà il vivere in un mondo di armonia Guardando quei quadri li ho visti quasi come se fossi contento di vivere». Non c'è per Morlotti ima estate di vacanza? «Io lavoro d'estate, faccio ciò che non mi è riuscito d'inverno. Capisco cosa volevo e rifaccio, rifaccio». Anche a Milano Morlotti va in studio tutti i giorni. A casa non può lavorare: «Sporco troppo. Faccio qualche pastel- lo. Una volta avevo una stanza per me. Poi me l'ha presa mia nipote, deve fare l'università». Così i suoi due, veri, grandi, atelier sono sotto il cielo d'Oggiuno e quello di Bordighera. «Quando ho lavorato due ore poi scoppio. E solo al mattino. Cézanne lavorava lento, anche cento pose per fare un ritratto. Io metto il colore, poi tiro via. Due ore così, giornate, mesi. Sono un muratore, lavoro e basta, anche quando non ho idee, come un contadino vado al campo». A Bordighera ricordano quando lei è salito su una Lamborghini speciale e se ne è andato, a fianco del guidatore, a 280 chilometri l'ora sull'autostrada... Sorride e scrolla le spalle, dice: «Non ho mai amato le automobili». Sempre a Bordighera ricordano le sue straordinarie e allegre bevute di Rossese e Vermentino... Dice: «Non mi piace più il vino. Ero un grande goloso e non posso più mangiare. Tante amicizie sono finite. Finisce tutto, tutto si consuma, si erode». E' lontano quell'anno, il '37, quando andò a Parigi a vedere la pittura degli impressionisti, di Cézanne e scoprì all'Esposizione Universale il Guernica di Picasso? Fa un gesto, come di qualcosa troppo lontano nella memoria: «Tutto si corrode, anche la memoria». Il presente è più forte: «Qui c'è un lago che mi piace, ci sono paludi, suggestioni che mi accolgono di sera e di mattina. A Bordighera mi è accaduto di non provare più emozioni. Ero stufo di far piante di ulivi, rocce, acque. Non trovavo più niente. Mi è accaduto come con la musica. Avevo un piccolo grammofono, andavo pazzo per la musica classica, Schubert, Schumann. Riuscivo a stare nei loro suoni. Adesso non posso più ascoltarli. C'è una verità: quando non c'è più la donna si chiude tutto, ncn c'è più ragione di vivere. E' come il "ho letto tutti i libri"...». Eppure Morlotti è stato un grande viaggiatore... «Sì, mi piaceva andare per paesaggi, per luoghi, cercare le piccole chiese. Ho studiato tutto il romanico per la sua religiosità, per la sua semplicità. Allora organizzavo. Andavamo con Rug- gerini, guidava lui, a La Rochelle, a Saint-Genesis. Sì, mi commuoveva il paesaggio, ma l'amóre tardivo per l'architettura era ancora più forte. Piccole chiese dagli interni importanti, chiese con volti. A un certo punto mi è piaciuta più l'architettura delln pittura. Ho visto chiese protocristiane nel Nord della Spagna. Ho cercato in Francia il romanico popolare, le chiese protocristiane. Ho avuto il senso di accorgermi della loro grande e sommessa religiosità. Io non sono uno che ci entra e prega, non è mai successo. Li ho sentiti come luoghi di inquietudini private». Non c'è un luogo dove oggi vorrebbe andare? «Forse in Anatolia, a vedere le loro chiese in cotto. Ma ho paura che il ciclo sia finito. Io voglio la gioia, ma le ragazze che mi piacciono non ci stanno: sono fottuto. Le donne sono essenziali, un mito». C'è stato un momento di grande allegria, nella sua vita? «Forse nel dopoguerra, avevamo voglia di libertà, c'erano le amicizie, una società diversa». Oggi Milano non le piace più? «Non frequento più Milano. Ma a Milano ho trovato tutto. A Lecco sarei affogato». Gli anni del dopoguerra, il '45 quando sposa Anna, disegna manifesti per la Liberazione, scrive sulle riviste Mimerò, Italia libera, il '47, quando torna a Parigi, questa volta con Renato Birolli, e vanno negli studi di Picasso, stringono amicizia con De Staél, Braque e Wols. «Sì - dice Morlotti -, anche due inverni passati in Inghilterra, alla fine degli Anni 50. Poi non ci sono più tornato. Ma la Scozia e l'Irlanda sono due Paesi nei quali potrei vivere». Un desiderio di luce del Nord? «Forse. Detesto il Sud: è caldo, è unto. Ho bisogno di spaesamento, penso a Capo Nord, alla Svezia, alla Norvegia. Trent'anni fa ho visto dei fiordi ghiacciati, delle renne superbe». Vede che sente l'estate, ha bisogno di fresco. Ride: «La mia è la vita di un povero diavolo che poi ha avuto qualcosa. E' la vita di uno che ama la natura, il paesaggio, che desidera possederlo, come l'amore. Vampirismo? No, come il possedere una donna. E si ritrova dentro la vecchiaia. Sono vent'anni che non fumo più. E adesso non mi piace più il vino, non posso più mangiare, non riesco più ad ascoltare la musica. Leggo un po' di Chateaubriand, mi diverte, un po' di Greene, un po' di Rousseau. Ma i miei amori, Verlaine, Rimbaud, Baudelaire, non posso più, faccio fatica. E lo stesso mi accade con Leopardi. Quando finisce l'amore finisce la terra, si è disperati, tutto è banale, odioso, tutto è già stato fatto, detto, consumato». Il cinema le piace, ci va? «Non mi interessa. Ho visto i primi francesi, Renoir, Vigo, mi sembravano film poetici, di necessità». Le sue Bagnanti sono state salutate come un momento di grande gioia, vitalità pittorica... Interrompe: «Sì, sì, ma è calma, chi se la ricorda più una vitalità erotica». La noia è una sensazione che conosce? «Non riesco a stare fermo un'ora altrimenti maltratto qualcosa, qualcuno». Ennio Morlotti è stato un grande camminatore, capace di ore di marcia per andare a vedere un grumo di rocce, una cascata di cactus, una manciata di ulivi. Ma anche per andare ad assaggiare un bicchiere di «nostralino», un piatto di ravioli. Dice: «La troppa luce che taglia Bordighera mi dà l'angoscia. E poi la Liguria maltrattata. Lasciano andare tutto: c'erano degli uliveti neri, belli, pieni, li imbrattano di discariche, li fanno seccare senza pietà. Un vero assassinio. Il mare poi, non mi piace. Quando vado a Bordighera fuggo nell'entroterra». Era il tempo in cui mangiava? Gli si illuminano gli occhi: «In certe trattorie sopra Ventimiglia Vecchia, luoghi di solitudini sbarbariane, si mangiava la capra con i fagioli. Era l'ultima capra, quella impossibilitata a ingravidare, la capra della vecchiaia, poveretta. Ma con i fagioli era sublime. E poi certe torte pasqualine con dieci, quindici fogli di pasta, sopra Soldano, in trattorie cha sapevano di rosmarino e basilico. E certe polpette di merluzzo con il pomodoro e le olive. Una cucina antica di sapori e profumi che ritrovavo nella casa dei fratelli Biamonti, Giancarlo e Francesco, dove trovavo le trenette con il pesto e i fagiolini o le patate». Il tempo dei lunghi bicchieri di vino? «Sì, quelli nei gotti di vetro spesso, opaco, sotto una topia di uva frambuasa, il mare scheggiato, in lontananza. Si beveva Rossese di color rubino, Vermentino color di paglia tenera, Massaira, un vino di ceppo spagnolo. Poi arrivavano i ravioli, ripieni di cime di rovo, di borragina, di biete, con un sugo di fegatini di coniglio. Era la civiltà ligure, le nuvole di Provenza, con colori di ocra e di lavanda, che venivano in visita. Salivo a Pigna, c'era un Biamonti anche lì, era il prete. Mi faceva vedere i dipinti del Canavesio, i Dottori, le pale indorate del Duomo. Lasciava che m'incantassi sugli affreschi di quel pittore di Pinerolo. Poi ci offriva un vino genuino e asprigno. Lassù la vigna faticava, c'erano già i castagni. A Castel Vittorio ti offrivano da mangiare piatti di uccelletti e poi ti confessavano, con orgo- glio, che eran usignoli. Non fumo più, non mangio più, non bevo più e le donne mi han detto addio. Ma lavoro, faccio ciò che dipende da me, da me solo». Canna fragile sul lago di Oggiuno, ulivo deciso nella luce di Bordighera, in bilico a Milano fra questi due amori, in fuga verso la Spagna, quando può, Morlotti canta, come dice Testori, che lo conosce e lo apprezza da una vita, la sua «messa bassa». Una «messa bassa» che vibra nella pietà delle povere cose: un sasso, una pietra di chiesa, la radice antica e religiosa di un ulivo, nel corpo femminile che nasce e rinasce dalla forma elementare di un'oliva o della sua foglia. Una «messa bassa» che nasce dal rivolo d'acqua, di sorgente o di palude o di tradizione pittorica, che gli fa spingere verso l'alto le sue «preghiere di colore», verso un cielo, a Oggiuno o a Bordighera, sempre troppo terso, specchio e coscienza di gesti terreni. L'acquarello di Cézanne E la «messa bassa» serve anche a questo: a coprire quella coscienza, a renderla, con colpi di colore più terrena e umbratile. «Messa bassa» è anche l'amore e l'affetto con Anna, che forse più non lo fa bere, mangiare e da tempo fumare, ma gli mantiene la forza di emozionarsi, dipingere e brontolare. Solo così può dire: «Se finisce l'amore finisce la terra». In quella casa di via Leopardi, una volta, dopo mugugni sul vino che non poteva più bere si alzò per avvicinarsi a una piccola cornice dorata, coperta da uno straccetto. Lo sollevò con noncuranza ma anche con un colpo di teatro: c'era sotto un acquarello di Cézanne, tre linee di colore, una veduta di Bibemus. Una magia Zen. Disse: «Lo comprai a Ginevra, tanti anni fa. Allora si poteva ancora». Aveva messo a nudo il cuore, ma recitando, con pudore, lo stesso che usa per dire che «ormai Svecchio» e che «tutto si consuma». Nico Orengo «Ero un grande goloso e ora non posso più mangiare. Tante amicizie sono passate, tutto si consuma, si erode» «Le donne sono essenziali, un mito Se finisce l'amore finisce la terra» «Nudi I », olio su tela realizzato da Morlotti nell'89. Nella foto sotto Renato Barilli A fianco Graham Greene. Sopra Guttuso, Morlotti, Aimone e Peverelli in una foto del dopoguerra A sinistra Ennio Morlotti, 82 anni: «Lavoro due o tre ore al giorno». A destra Pablo Picasso A lato Giovanni Testori: «Morlotti canta una "messa bassa"» È