Bunuel l'inafferrabile

Bunuel l'inafferrabile Max Aub e il grande Luis Bunuel l'inafferrabile UANDO Max Aub morì, il 22 luglio 1972 a Città del Messico, lasciò sul suo grande tavolo di lavoro, ordinati in più di un centinaio di cartelle, circa cinquemila fogli scritti a_ macchina intorno a ùn progetto di "romanzo" sul grande cineasta e vecchio amico Luis Bunuel». Così ci informa Federico Alvarez, che nel 1985, due anni dopo la morte di Bunuel, pubblicò il libro completandolo con 45 interviste che Aub aveva raccolto in un paio d'anni. Questo volume pef molti versi affascinante e originale esce ora da Sellerio nella traduzione italiana di Lucrezia Panunzio Cipriani (che avrebbe potuto correggere alcune sviste dell'edizione originale!) col titolo Bunuel: il romanzo, che ricalca le intenzioni dell'autore, ma è purtroppo privo di quelle interessanti interviste. Ed è un peccato perché le dichiarazioni o i ricordi dei fratelli e delle sorelle di Bunuel, di Rafael Alberti o del Visconte di Noailies, di Aragon o di Fernando Rey, di Jacques Prévert o di Gala e Salvador Dali formano una sorta di controcanto ai dialoghi di Aub e Bunuel, vi aggiungono particolari importanti o ne contraddicono parti. Sesso, religione e comunismo ri. . ■■• \.. ;.:c •. ••• •"• '• Ma anche così, il «romanzo» di Aub, come l'autobiografìa di Bunuel (uscita in Italia da Rizzoli nel 1983 e ristampata recentemente e opportunamente dalle edizioni SE), risulta un testo curioso, coinvolgente, provocatorio, anche poetico e tenero, affettuoso e un poco triste. Perché Aub, amico di lunga data di Bunuel e di lui più giovane di tre anni, ripercorre alcune tappe della vita del grande regista non soltanto commentandole o prò vocandone i ricordi, ma anche mescolandole alla propria espe rienza esistenziale. Ne risulta una sorta di connubio biografico-autobiografico in cui la memoria comune, le affinità e le differenze, gli amori e gli odi si confondono e costituiscono un tessuto narrativo volutamente «sfrangiato», acronologico, frammentario. Scrive Aub: «Non è possibile ritrarre alcuno se non dall'angolo in cui lo dipinge chi guarda. E a chi somiglia il Bunuel dei tanti e diversi ritratti? A un Luis Bu nuel ideale, che non esiste se non nella mente di chi dice: Luis Bu nuel». Di qui la difficoltà di comporre un ritratto che voglia essere veritiero, l'impossibilità di fare di Luis un personaggio di un romanzo biografico («Bunuel mi sfugge da tutte le parti», confessa sconsolato Aub). Ma anche la dichiarata intenzione dell'autore di continuare a scrivere, di com porre un libro (magari «malscritto: perché scritto non è, ma parlato») che abbia la struttura, sia pure aperta e antitradizionale, di un romanzo. «Se l'ho bat tezzato romanzo - scrive - < perché, malgrado tutto, voglio restare il più vicino possibile alla verità». Qual è la verità bufiueliana? Fin dove arrivano il sogno e la fantasia, l'invenzione e la men zogna, e dove la realtà? Ma poi che importa la ricostruzione fe dele dei fatti, la biografia minuziosa e documentata, buona per lo storico e il biografo, quando è più importante cogliere «la ragione d'essere dell'opera di Luis Bunuel»? «Ne risulta - scrive Aub - che il personaggio rappresenta la sua epoca, cioè quanto della sua epoca influì su di lui: la religione, i gesuiti, le puttane, Federico Garda Lorca, il vino rosso, Calanda, sua madre, Fritz Lang, Dalf, Wagner, Freud Breton, Benjamin Péret, il surrealismo in generale e il comunismo in particolare». Di tutto questo, in un fitto intrecciarsi di ricordi e di dichiarazioni, di commenti e di piccole discussioni, il libro parla, come fosse lo stesso Bunuel a raccontarci a viva voce ciò che vuole farci sapere. Ma poiché il suo vero interlocutore è l'amico Max Aub, una parola tira l'altra, un ricordo diventa una memoria comune, una provocazione fa nascere un conflitto. Se Max gli chiede: «Quale strumento ti piace di più?», Luis risponde: «Qualunque cosà che non sia il violoncello (...). A me piacciono e trombe, le trombe di Wagner! il corno, l'oboe». «Però suonavi il violino», incalza Max, e Luis: «Sì, ma per ribellione: quando mio padre - io avevo undici anni - volle che imparassi a suonare il pianoforte, io preferii il violino perché allora tutti imparavano a suonare il piano». E conclude: «Però a me il piano piaceva. Dico che mi piaceva perché da quando sono sordo non posso ascoltare musica. Ecco perché sono diventato surrealista al termine della mia vita: ai surrealisti non piaceva la musica». Su questo tono, tra il divertito e il beffardo, scorrono le pagine come fossero gag d'un film ininterrotto. E proprio di gag, di situazioni comiche o grottesche, Bunuel parla di continuo, tanto da farci supporre che, alla fine, quello di Aub sia veramente un «romanzò» che ruota attorno a Luis, personaggio centrale e poliedrico, inafferrabile e spesso indefinibile. Dov'è la verità, dove la finzione? A Calanda, nel 1970, pare che abbiano chiamato «via Luis Bunuel» un vicolo «che noi chiamavamo "vicolo della merda" perché lì in mezzo c'erano sempre due o tre mucchi di escrementi. Il "vicolo della merda" trasformato in "via Luis Bunuel"! Naturalmente, dato che l'ha messa la giunta falangista, appena le cose cambiano, mi fucileranno». E la politica? «A venticinque anni io ero anarchico», dice Luis, ma poco dopo aggiunge: «Io sono partigiano della dittatura (...) mi sembra che la dittatura sia l'unica maniera di governare. Per questo sono stato stalinista e continuo ad esserlo, con grande scandalo dei miei amici comunisti». Proust orrendo Dali traditore Gianni Rondolirto E più oltre: «C'è una cosa che non sono mai stato: liberale. Per temperamento. No, a me le cose piacciono o così o niente. E te lo ripeto, quando chiudo gli occhi sono anarchico, nichilista: finché non li apro». La letteratura? «Sono vergine di Proust. Quelle pagine terribili, perfette, senza un punto e a capo, nere, come una tela di ragno. Orrendo. Non andai mai oltre la prima pagina delle Fanciulle in fiore». La pittura surrealista? «Dali vale quanto De Chirico. Inventano sulla base di copie. Escono dall'arte per andare verso l'interpretazione. Interpreti, traduttori, traditori» Che cosa resta allora? La verità? «Non sappiamo dove andiamo. La verità è irraggiungibile e non credo in essa». La violenza? «Io sono anti. Lotterò quindi contro tutto ciò che odio». La fede? «La verità è che odio la scienza, ho in orrore la tecnologia: la qual cosa probabilmente mi porterà un giorno a credere nell'assurdo di Dio. Bada, ho detto as surdo». Ecco, forse l'assurdo, l'impossibile, il paradossale, ma soprattutto il contraddittorio è stato il leit motiv della vita e dell'opera di Luis Bunuel.

Luoghi citati: Calanda, Città Del Messico, Italia