La camicetta bianca di Igor Man

La camicetta biancaUna cronaca in forma di racconto da «Gli ultimi cinque minuti», il nuovo libro di Igor Man La camicetta bianca fi ] OME la raI ' gazza I scostò la I i tenda a —\éi maglie di spago che difendeva la «Drogherìa & Salumeria» dal riverbero del sole, si levò un volo lento di mosche rincretinite dal caldo. Volarono pigramente, roteando senza convinzione nell'aria pesante di canfora, caffè, naftalina e formaggio; planarono, infine, su una forma di mortadella mal coperta da un sudicio velo di mussola cilestrina. Il garzone, in canottiera, le braccia nude stese sul bancone unto, sonnecchiava, la testa coperta da un giornale. La sua pelle odorava di pecorino e brillantina «Venus» alle rose. Tutti questi odori, ed altri, offesero l'olfatto della ragazza, ed ella barcollò impercettibilmente, come foglia d'un tratto mossa da un inaspettato soffio di scirocco. Era alta e magra, le pinne del naso, esili e quasi trasparenti, venate d'azzurro, vibravano inquiete; aveva dolci occhiaie d'un nero morbido, sì che gli. occhi chiarì, pallidissimi, spiccavano ih maniera singolare sul viso olivastro, incorniciato da ca- Slli lunghi e scurì, umidi, onduli come anguille. La ragazza vestiva dì bianco e non era sudata, soltanto quegli odori della bottega - succhi fermentati, polpe in decomposizione - sembrava la turbassero oltremodo. II garzone continuava a soffrire in quel suo dormicchiare così dissimile dal sonno - ogni tanto si agitava pronunciando parole sicché la ragazza si schiarì la gola, nella speranza di scuoterlo. Tossicchiò. Visto, poi, che l'altro non si svegliava, fatti due passi in avanti posò una mano esangue sulle spalle sudate del giovane. Questi sobbalzò come colpito da una scaglia di ghiaccio, cacciò via il giornale e ristette a guardare la ragazza a bocca spalancata. «Scusate, cerco don Pasquale». «Gesù» rispose sollevato l'altro «mi avete messo paura. Un fantasma, sembravate un fantasma, col vestito bianco, in penombra. Stavo mezzo addormentato, scusate». La ragazza sorrìse e il garzone continuò: «No, don Pasquale al momento non c'è; è andato di sopra, a casa, per riposare un poco. Se volete dire a me». «Voi siete nuovo, non è vero?». «Sissignore, lavoro qui da pochi giorni soltanto». «Fa lo stesso; vorreste farmi un'imbasciata per il vostro padrone? Ditegli così: che sua figlia Maria vuole la camicetta bianca, quella di seta. La portassero a casa mia e penserò io a fargliela avere». «Va bene, riferirò». «Grazie» disse la ragazza e mosse verso l'uscita ma l'altro la richiamò: Trambusto in bottega «Ehi, dite, l'indirizzo non me lo date?». «Giusto: piazza Colli 27, a Pollici sopra mare. Mi chiamo Assunta Miele». Il giovane si diede a cercare un pezzo di carta su cui vergare le indicazioni; quando si voltò la ragazza era scomparsa. Il garzone ristette un po' a guardare verso l'uscita, poi, scrollate le spalle, si dispose a riprendere il suo tormentoso ma allo stesso tempo piacevole dormicchiare. Un urlacelo, seguito da una scarica di male parole, lo riscosse definitivamente: don Pasquale era entrato in bottega seguito dalla moglie, e tutti e due guardavano il giovine con una espressione di cupo rimprovero sul volto. «Io te ne caccio» ringhiò don Pasquale. «Mangiapane a tradimento» fece eco la padrona, ma il garzone s'era definitivamente svegliato e, mostrando il pezzo di carta sul quale aveva scritto a fatica l'indirizzo della ragazza; riferì l'imbasciata. Fu come se sui vecchi fosse franata una montagna: don Pasquale crollò addosso a un sacco di fagioli, sua moglie si sfasciò per terra. Girato il bancone, il giovinetto fu lesto a correre in aiuto dei due: sollevò la vecchia aiutandola a posarsi su di una sedia, sostenne con un braccio le spalle curve e tremanti di don Pasquale. «Maria, mia figlia» farfugliò infine il padrone, e sembrava diventato di cento anni, «vuole la camicetta bianca?». E come l'altro annuiva stupito, gridò rauco: «Gesù, ma se mia figlia è morta da un anno». Questa volta fu il garzone a sbiancare: «Morta?, ma che dite don Pasquale? Per amor di Dio, volete farmi uscir pazzo? Se la ragazza m'ha detto che vostra figlia vuole la camicetta bianca, quella di seta, e mi ha dato il suo indirizzo, qui, guardate» e spiegava con dita tremanti il foglietto «piazza Colli 27, a Pollici, il quartiere sopra mare e si chiama Assunta Miele». Era quasi l'alba dell'indoma¬ ni, quando don Pasquale, la moglie e il garzone presero il tramvai che porta a Pollici. I due vecchi1 orano disfatti da una notte tessuta di interrogativi e pianti; in quanto al garzone, gli sembrava d'impazzire. Se non avesse visto là ragazza con i suoi occhi, se non avesse scritto l'mdirizzòftì f3^ J,J ••• Le speranze più assurde, pensieri irriverent' frugavano i due genitori di'Maria ■ («E se si fòsse trattato di' un messaggio... Perché non credere- ai miracoli... Un viaggio in tramvai Se questa Assunta Miele veramente avesse parlato con Maria») ed ora, mentre il vecchio tramvai ansava sferragliando nel fresco mattino e dai fmestroni si vedeva allargarsi sempre più, sulla sinistra in basso, il mare punteggiato di vele bianche, fiorito del volo dei gabbiani e dai giardini sulla strada veniva un profumo sano d'erbe e fiorì di campo; a mano a mano che ci si avvicinava a Pollici, don Pasquale sentiva il cuore battere sul ritmo delle ruote: «Maria - figlia mia, Maria - sei - viva?»; «Maria - figlia - mia, Maria - sei - viva?». La moglie portava un pacchettino premendolo delicatamente contro il petto con tutte e due le mani. C'era dentro la camicetta bianca. Ne aveva due di camicette, Maria. Una se l'era messa l'undici di agosto dell'anno passato, quando si lasciò andar giù dal quinto piano. Una farfalla. E sembrò si fosse andata a posare sul selciato, non già che si fosse sfracellata. Intatta. Solo quando le sollevarono la testa, si accorsero che al posto del viso c'era Un grumo di sangue, una maschera rossa. Il suo polso batteva ancora, ma proprio quando l'ambulanza stava passando oltre i cancelli dell'ospedale, Maria se ne morì. Quante ne dissero e ne scrissero: s'è ammazzata per il figlio della Nina, quello condannato a venti anni («Figurarsi, un fiore come nostra figlia mettersi con un malacarne»). Per la scuola: fu la bocciatura a spingerla al suicidio. («Macché, Maria sapeva che i suoi vecchi le avrebbero perdonato»). Perché, allora, togliersi la vita a sedici anni? Ma chi mai potrà sapere perché i giovani s'ammazzano; perché, a volte, sembra amino più la morte della vita? Chi mai potrà sapere? A Pollici sopra mare, in piazza Colli 27, non abitava nessuna Assunta Miele. Stessero pur sicuri, disse la portinaia, nessuna ragazza con quel nome. Ma si fece avanti una vecchia di quelle che ascoltano e sanno tutto: «Possibile?» fece alla portinaia «non ricordate? Così fate il vostro mestiere. Assunta Miele, ma sì, Assuntola, quella ragazza che lavorava nel laboratorio del terzo piano. Alta, magra, mora, gli occhi chiari. Non parlava mai, sempre zitta, povera creatura». Adesso la portinaia ricordava: «Avete ragione» ammise «ma è più di un anno che non la vedo». «Per forza» proseguì trionfante la vecchia «giusto un anno fa s'è ammazzata, buttandosi giù dallo strapiombo a mare». Sull'improvviso pallore di don Pasquale, della moglie, del povero garzone, si sarebbe potuto scrivere. Non dissero niente, soltanto un «grazie» stento di don Pasquale, poi se ne andarono. «Io, però» disse la madre «la camicetta a mia figlia gliela voglio portare. Pasquale, andiamo al cimitero». Lui la guardò preoccupato, ma era calma, gli occhi buoni, rassegnati. Il garzone li seguì, la lingua secca rivoltata in dentro, la bocca che sapeva di rame, e una massacrante voglia di scappar via urlando. Nella grande città del Sud do- ve tutto ciò è accaduto, il cimitero riposa sopra una larga collina verde a ridosso del mare, da una parte; dall'altra si spiega un campo d'aviazione, sì che giorno e notte sirene di navi e ronzio di motori cullano il sonno dei morti. Alti cipressi e pioppi crescono tra i monumenti bianchi come ossi di seppia; l'odore acre delle erbe secche si mischia a quello delle alghe, del supercarburante per aerei. La tomba di Maria è di cattivo gusto. Un angelo di cemento, a grandezza naturale, tiene al posto del cuore un ritratto in porcellana della morta: un viso squallido e insieme dolce; gli occhi, fondi e ostinati, sottili le labbra. I genitori si inginocchiarono. Il sole era alto nel cielo, e nel caldo il loro sudore sapeva di lacrime e chiesa. Così curvi e sottomessi, proiettavano ombre brevissime sulle parole incise nel marmo per ricordare la loro sventurata figliuola. Poi la madre disfece l'involto; piano, con gesti puliti, ne tirò fuori la camicetta spiegandola attentamente. Ci fu un colpo di vento e la camicetta palpitò come una vela. Il garzone, che se ne stava in disparte, a rispettosa distanza, si segnò; poi, accortosi che la carta del pacchetto era volata via si mosse per raccoglierla, così, tanto per fare qualcosa, per convincersi che non stava sognando. La carta s'era posata sul ripiano della tomba accanto a quella di Maria e il garzone si chinò a raccoglierla, ma come levò gli occhi si vide davanti la ragazza del pomeriggio: lei. Assunta Miele. Lo guardava con quegli occhi pallidi, difesi dalle occhiaie scure sul viso olivastro, e sembrava stesse per muovere le labbra e parlare. No, questo il garzone sentì che non avrebbe potuto accettarlo sicché gridò cadendo in ginocchio, disperato. Anche don Pasquale urlò sgomento non appena vide che la tomba di Maria era accanto a quella dell'Assunta, la ragazza dell'imbasciata. Chi non si scompose, invece, fu la moglie: «Oh» sorrise «adesso so che nostra figlia non è più sola e ne sono contenta. Ha un'amica al suo fianco, grazie», e sfiorò la porcellana di Assunta con due dita, piano. Nella notte la camicetta se la portò via il vento. Igor Man E' da qualche giorno in librerìa Gli ultimi cinque minuti, di Igor Man. Il libro, edito da Seller-io, raccoglie undici cronache in forma di racconto, più un Omaggio a Morovich, autore caro a Man. Nella sua premessa, l'autore insiste su quella che chiama d'ossessione del capire, e del far capire, cos'è la notizia, cosa vuol dire star dentro la notizia, essere la notizia». Pubblichiamo uno dei «fattacci» dov'è evidente il tentativo di dare, a chi s'è visto troncare la vita, la possibilità di concludere il suo discorso, cinque minuti ancora prima del silenzio. Gli ultimi cinque minuti, appunto. Due ragazze la stessa fine Un'immagine della Sicilia profonda, come la racconta Man, in una fotografia di Enzo Sellerio (da «Inventario siciliano»)

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