L'ultima carica nella steppa cosacca

L'ultima carica nella steppa cosacca Lo scrittore Rigoni Stern ricorda la storica vittoria italiana sul fronte russo nell'agosto del '42 L'ultima carica nella steppa cosacca L'impresa del Savoia Cavallerìa 50 anni fa UN'OPERAZIONE BELLICA DA MANUALE OUANDO nel 1967 si ricordò il cinquantenario della battaglia dell'Ortigara, vedevo nei pochi vecchi reduci che vollero ritornare lassù dei vecchi canuti e mi pareva passato remoto il tempo di quei combattimenti che avevo sentito raccontare da bambino. Ora tocca a me dover ricordare il cinquantenario di quei mesi caldi del 1942, quando tra il sole e la polvere e i temporali improvvisi si camminava nella steppa. Era una estate torrida dopo un freddissimo inverno e gli squadroni del «Savoia Cavalleria» e dei «Lancieri di Novara» si avvicinavano ai luoghi dell'ultima carica. Allora la 6a Armata e la 4a Corazzata tedesche correvano verso le steppe del Volga e i reparti della 8a Armata italiana incominciavano ad attestarsi sulle rive della grande ansa che il Don fa verso Oriente prima di scaricarsi nel Mar d'Azov. Nel gioco della guerra il comandante dell'Armata italiana, Gariboldi, aveva manifestato al comando del Gruppo Armate «B» il suo malcontento perché, a suo giudizio, l'Armata era siata destinata'* scopi 'di secondaria' importanza in uh momento di generale rroresa, offensiva, ma nel còrttempd aveva' anche fatto presente al comando tedesco le sproporzioni tra l'ampio fronte da difendere e le esigue forze a disposizione. A queste osservazioni il comando del Gruppo Armate, che era tenuto dal maresciallo Von Weichs, fece sapere che in caso di offensiva sovietica avrebbe provveduto a inviare mezzi per fronteggiarla e che, dopo tutto, il compito assegnato all'Armata italiana era importantissimo «in quanto concorreva all'azione principale sul Caucaso». Ai primi di agosto i reparti italiani, largamente diluiti sul tratto assegnato lungo il «placido fiume» prendono posizione in capisaldi distanziati sulle alture dominanti la riva destra. E' questo un fronte non ancora sicuramente fortificato: non ci sono reticolati da sistemare attorno ai capisaldi, poche le mine da posare nei punti dei presumibili passaggi, le artiglierie non hanno ancora definito i settori di tiro. Ma i soldati italiani scavano postazioni e trincee, cercano di arrangiarsi alla maniera solita con quello che c'è, ma un batta glione di fanteria si trova ad avere la responsabilità di un set tore lungo 15 chilometri! In questa situazione, per alleggerire la pressione delle Armate tedesche verso Stalingrado e il Caucaso, l'Armata Rossa, con forti pattuglioni, assaggia la consistenza del nostro schieramento. Durante le notti, ungheresi è romeni tengono desto il lungo fronte con continue sparatorie di armi automatiche. Ma anche i tedeschi, forse convinti che la guerra è già risolta con la loro vittoria, fanno grande spreco di munizioni'e ógni notte sparano senza sosta verso un vuoto solo apparente dove i soldati russi stanno acquattati e in silenzio. Un veterano di tanti combattimenti scrive in quell'estate: «... quando avanzano non risparmiano le munizioni ma spesso sparano in aria. Le loro postazioni avanzate, soprattutto di notte, erano rese benissimo visibili dal fuoco delle mitragliatrici, dai proiettili traccianti spesso sparati a vuoto e dai razzi dai differenti colori. Sembrava come se avessero paura del buio o si annoiassero senza il crepitio delle mitragliatrici ed il bagliore luminoso dei traccianti». Nello stesso tempo un soldato tedesco scrive a casa: «Il comandante di compagnia dice che le truppe russe sono completamente disfatte e non potranno resistere più a lungo. Raggiungere il Volga e prendere Stalingrado non è troppo difficile per noi...». Invece... Invece questi soldati russi che parevano definitivamente sconfitti, nella seconda decade di agosto incominciano quella che verrà chiamata la loro prima offensiva del Don. Nella zona di Voronez attaccano il settore tenuto dalla 2a Armata ungherese; la notte del 17, più a Sud, quello tenuto dalla divisione «Sforzesca» nel punto di congiunzione tra il 53° ed il 54° fanteria. Il 18 agosto, qua e là lungo il fiume, grossi pattuglioni, ma anche reparti organizzati a battaglioni, attaccano, sorprendono, accerchiano piccoli capisaldi. Le più volte vengono respinti, i capisaldi accerchiati vengono liberati ma al di qua del Don si consolidano delle teste di ponte che vengono alimentate attraverso passerelle costruite sotto il pelo dell'acqua. Anche il fronte tenuto dalle divisioni «Pasubio», «Ravenna» e «Torino» viene tastato dai russi. Viene sondato anche il fronte tenuto dalla 2a Armata tedesca, e diventa chiaro che lo scopo dell'Armata Rossa è quello di, scoprire il punto più debole per sferrare un attacco di alleggerimento, o tagliare i rifornimenti della 6a Armata di Von Paulus come si era tentato in luglio quando la resistenza del XVIII Corpo d'Armata tedesco e della nostra 3a Divisione Celere aveva fermato il tentativo. E' la notte del 20 agosto, alle 2,30, che,, dopo violenta preparazione d'artiglieria e mortai, i russi investono il settore tenuto dalla «Sforzesca» tra Simowski e Tjukovnovki dove è schierato il 54° fanteria. Sul far del giorno l'attacco si allarga anche al settore tenuto dalì>3°. Intanto il 2° battaglione del |540 viene accerchiato e la situazione diventa confusa. Vengono inviati sul posto reparti del^s «camicie nere» della «Tagliamento», qualche batteria controcarro, due plotoni di lanciafiamme, ma ormai i reparti d'attacco russi si sono ben consolidati sulla riva destra del Don. Per tutto il giorno si susseguono combattimenti'nella steppa arsa dal sole, tra gli avvallamenti, le alte erbe, i campi di grano e di girasoli attorno ai piccoli villaggi. A sera le perdite italiane risultano gravissime soprattutto per il 54° fanteria|àella «Sforzesca» che sembra scomparso e a tamponare la falla creatasi vengono inviati versò il vuoto tutti gli uomini disponibili dei servizi di retrovia. All'alba del 21 agosto la situa¬ zione si presenta molto grave ed il Comando del Corpo d'Armata decide di rinviare il contrattacco previsto per limitarsi a tenere quello che ancora è possibile. Ma in questo breve tempo il Comando della divisione «Sforzesca» è stato sconvolto e sorpreso dalla violenza dell'attacco russo e per questo fatto, tra noi che allora eravamo laggiù, per dire il vero, questa divisione ebbe pessima fama. Nella relazione ufficiale si legge: «... L'interruzione delle linee telefoniche e la distruzione delle stazioni radio per effetto del tiro avversario, le difficoltà di comunicazione con altri mezzi meno rapidi determinata dalle distanze esistenti in così vasto settore, oltre al ritmo incalzante preso dall'attacco, avevano reso meno pronta l'azione del Comando della Divisione». Tra noi si diceva ancora che gli ufficiali erano stati sorpresi in pigiama. Ancora altri reparti vengono distaccati per raddrizzare le sorti della battaglia e il Comando dell'8a Armata mette a disposizione di quel settore la 3a Divi¬ sione Celere ed il battaglione sciatori «Monte Cervino». Il «Lancieri Novara» ed il «Savoia Cavalleria» si avvicinano rapidamente per tamponare il vuoto nella steppa e prendono posizione su quote a ridosso di piccoli villaggi abbandonati. Le pattuglie a cavallo si spingono in esplorazione e si incontrano con fanti sbandati prima e con i primi nuclei avversari poi. La gravità del momento obbliga il generale Messe; comandante del Corpo d'Armata, a riordinare la linea difensiva costituendo due capisaldi, a Jagodnyi e a Ceboto vski, e a ritrarre l'ala destra della divisione «Pasubio»; tra l'uno e l'altro caposaldo i reggimenti «Novara» e «Savoia» devono sorvegliare il largo vuoto. Dal generale Gariboldi viene dato l'ordine di «fermare ad ogni costo i movimenti di ripiegamento della divisione "Sforzesca"». Il 22 agosto 1942 è, per i «Lancieri di Novara», la giornata di Jagodnyi. I russi, dopo violento tiro con mortai, attaccano il caposaldo. Uno squadrone appiedato, al comando del maggiore Del Re, affronta l'attacco dei russi che tentano l'accerchiamento del reggimento; nel frattempo, nel piuttosto confuso andamento della battaglia e sotto l'incalzare dell'azione, Del Re ordina al 2° squadrone comandato dal tenente Mario Spotti, un anziano richiamato, di attaccare l'ala sinistra. Spotti e i suoi «lancieri» si avvicinano silenziosi, cavalli alla mano, dal fondo di ima balka; giunti a breve distanza balzano in sella e, prima al trotto e poi al galoppo, caricano scompigliando e sorprendendo l'avversario. Spotti cadrà alla testa dei suoi «lancieri». L'attacco dei russi viene contenuto. Nel pomeriggio il «Lancieri di Novara» viene erroneamente (?) colpito da aerei tedeschi ed i cavalli in fuga cagionano scompiglio nelle retrovie. Poco dopo, dalla balka di Krisaia una puntata russa sta raggiungendo il villaggio di Jagodnyi, il comandante del «Novara», raccolti gli elementi del suo reggimento, fanti e guastatori, interviene con rapidità e stronca il tentativo. Il giorno 23 si cerca da parte nostra di ristabilire la situazione preparando un contrattacco, ma all'alba i due capisaldi di Jagodnyi e Cèbotovski vengono nuovamente attaccati. Si tenta ugualmente di raggiungere le alture dominanti il Don e il generale Messe coordina l'azione cui dovrebbero concorrere la «Pasubio», la «Celere», la Legione croata, reparti di fanteria, 1 artiglieria della 62a Divisione tedesca e il «Cervino». Nel vasto spazio della steppa, sotto il sole d'agosto, i combattimenti si frantumano, i combattenti si disperdono, il caldo e la sete mettono tutti a dura prova. La colonna Bettoni formata dal Savoia Cavalleria del 2° gruppo artiglieria a cavallo e da una batteria di controcarro, nella tarda sera del 23 è osservata dai russi mentre sta raggiungendo un'altura da dove, all'alba, dovrebbe proseguire verso il Don. I russi, per prèvehire:Ià'rminaccia, rafforzano il loro schieramento ed un battaglione raggiunge di nascosto la quota dove è diretta la colonna Bettoni. Alle 3,30 dellaf notte gli esploratori del «Savoia» vengono sorpresi da violento fuoco di mortai e di mitragliatrici. La reazione della nostra artiglieria e dei controcarro che si erano appostati è immediata, e subito il colonnello Bettoni dà gli ordini per l'attacco. Che subito diviene fulmineo in quell'alba del 24 agosto 1942. Il 4° squadrone appiedato attacca frontalmente per impegnare le forze russe; il 2° a cavallo sul fianco sinistro, il 3°, nascosto, interverrà a dare il colpo finale. Un'azione da manuale che viene puntualmente eseguita come una manovra in piazza d'armi. Passerà alla storia della Cavalleria italiana come «la carica di Isbuscenski» dal nome del villaggio cosacco che si trova sette chilometri ad Est della quota 213,5. Ma la battaglia estiva del Don non finirà con questa storica carica e al 1° settembre ci sarà l'inutile sacrificio di due battaglioni della «Tridentina». Mario Rigoni Storti Colto di sorpresa nella notte dai nemici il comandante ordinò subito l'attacco che si concluse con un grande successo Ma il confronto estivo sul Don doveva concludersi con il sacrifìcio di due battaglioni Sul fronte russo, 50 anni fa, la colonna Bettoni, formata dal Savoia Cavalleria del 2° gruppo artiglieria a cavallo e da una batteria di controcarro, venne «sorpresa» dai mortai sovietici. All'alba del 24 agosto si combatterà una battaglia che vedrà vittoriose le forze italiane. Mario Rigoni Stern rievoca queir-operazione da manuale» passata alla storia della Cavalleria italiana come «la carica di Isbuscenski». Soldati italiani impegnati nell'offensiva contro Stalingrado. Nella cartina, la campagna dal 28 giugno al 18 novembre 1942 v II generale Gariboldi, comandante ! dell'8* Armata italiana in Russia