Mosca, nell'anno primo dopo il Golpe

Mosca, nell'anno primo dopo il Golpe All'alba del 19 agosto del 1991 i carri armati anti-perestrojka entrarono nella Piazza Rossa Mosca, nell'anno primo dopo il Golpe L'impero si è frantumato lasciando in eredità odii e guerre etniche Cresce il fronte dei delusi dalle riforme, ma la gente crede in Eltsin ANN1VÌRSAM0 IL CANTO DELCI0NO DEL PCUS jR MOSCA ^mCCADDE un anno fa. E pr^k sembra un secolo e un minuto, perché tutto quello che è hiorto allora - irrimediabilmente - alle sei del mattino del 19 agosto, è ancora vivo. Una telefonata che veniva da sei fusi orari prima del mio, da Jakutsk già inondata di sole, mi aveva svegliato proiettandomi d'un tratto in un incubo: «C'è il golpe», disse la voce, e non c'era bisogno d'altro. Tutti lo aspettavamo: increduli, perché sapevamo che sarebbe stato una follia. Poteva venire solo da «loro», ma pensavamo che non avrebbero osato. Infatti osa- Emo solo fino a un certo punto e e venne fuori un golpe «strano», ambiguo, quasi comico se non fosse stato per quei possenti carri armati che riempirono la città. Un bluff anche quello, come lo fu la loro potenza armata, che mise paura al mondo intero per decenni. Una farsa, se non ci fossero stati quei tre giovani morti nel sottopasso del «kolzò». Ma finì come una partita di calcio combattuta da squadre dalla difesa fragile: tre a tre. Tre suicidi (il golpista Pugo, il generale Akhromeev, affranto dal crollo dei suoi ideali, l'amministratore del partito Krucina, seppellito dai suoi documenti segreti) pareggiarono il conto di sangue tra un potere fradicio e un popolo che, come un pugile suonato, che ha subito troppi knock-down, ancora non riesce a rialzarsi e a stare fermo sulle proprie gambe. SMUNTA lUNMWI SOVIETICA Tutto è morto e tutto è vivo. Adesso è pieno di gente col senno di poi che dice: «Era inevitabile», «l'impero doveva crollare», «meglio così». Sarà. Ma io ricordo le facce della gente, quel 25 dicembre 1991, quando la bandiera rossa' scese 'dal pennone" del Cremlino. Non c'era -tripudio, stranamente. Eppure era l'odiata bandièra del «nemico», del partito che li aveva oppressi e umiliati per l'ennesima volta. Eppure era la fine di un sistema che li aveva gettati in coda al mondo civile, nonostante i loro «sputnik», i loro Mig-29, i loro missili a testate multiple. Nessuno applaudì sulla Piazza Rossa. Aleggiava nell'aria qualcosa di fatale e di oscuro, come se la vittoria finalmente raggiunta contro il male venisse guastata da un gesto sconcio. Volevano liberarsi, per sempre, di una zavorra insopportabile. Ma si rendevano conto che in quel sacco pieno di dolori c'era anche la loro storia e la loro dignità. Adesso molti, nonostante tutto, scoprono di avere nel sangue insospettabili «quarti di sovietismo». E non sanno se devono liberarsene, né come. AttfVA N MERCATO? Gli altri - e non sono pochi - si sono gettati nell'avventura del mercato. Nel senso più stretto della parola: mercatino, Porta Portese, trovarobe. Le vie di Mosca si sono riempite di bancarelle. Dove però si vende non «di tutto». Le categorie principali di prodotti sono due. Roba d'importazione occidentale, dove l'«Occi- dente» spazia dal Giappone, con le sue rutilanti tecnologie elettroniche, il sogno - l'unico - della gioventù ex sovietica sotto tutte le latitudini, alla Turchia, con i suoi vestitini di seconda mano, le false magliette «Lacoste», alla Corea del Sud, incrocio del primo e della seconda. L'America è vicina, con la Coca Cola e le Marlboro. E la Germania ha le sue Mercedes. Roba di produzione russa non la trovi neanche col lanternino, semplicemente perché la Russia non produce niente di appetibile. Esattamente come prima. Così ecco l'altra categoria di venditori: i poveri diavoli che portano sui marciapiedi le suppellettili di casa. Intere biblioteche, vecchi manuali, mobili antichi e vecchi, icone vere e false. Milioni di persone - tra questi il 90% deìl'intelligencija - scoprono le durezze del mercato. Ma finora sfa scherzato (si ■ fa per dire),^} Adesso il mercato arriva davvero. E si chiuderanno le fabbriche in bancarotta. Toccherà a milioni di operai, che già sono stati mandati in ferie senza stipendio, trovare qualcòsa da vendere sui marciapiedi. 1A STASIMI IB1I fitICItC L'impero è finito. Tocca ai principati spartirsi la sua eredità. Al suo posto c'è una «cosa» indefinibile, chiamata Comunità di Stati Indipendenti. Che è un caleidoscopio di odii, a lungo covati e mai espressi. C'era la guerriglia nel Nagorno-Karabakh, ereditata dalla perestrqjka. Ed è diventata una guerra vera e propria tra Armenia e Azerbaigian. C'era il piccolo conflitto etnico tra georgiani e osseti del Sud. Che è cresciuto in un massacro su vasta scala. C'erano le carneficine su base etnica in Uzbekistan, Tagikistan. Tutto questo c'era, ai margini. Poi, dopo la riunione nel bosco di Belovezhkij, vicino a Brest, dove i tre leaders slavi hanno proclamato la «fine dell'entità geopolitica chiamata Urss», è cominciata la guerra sulle rive dello Dnestr, tra «russofoni» e moldavi che vogliono unirsi alla madre¬ patria Romania. Adesso le «forze di pace armate» hanno fatto tacere i cannoni in Ossetia e in Moldavia. Nasce la speranza di una tregua. Ma non nel Karabakh, che è l'osso più duro. Qualcuno ha calcolato, pressappoco, 75 focolai di tensione nazionale e etnica. Non facciamone l'elenco. Tra qualche mese vedremo se la Crimea, contesa tra russi e ucraini, resterà tranquilla. Tra qualche mese vedremo se le tre repubbliche del Baltico riusciranno a sopportare la presenza delle truppe russe sul loro territorio. Tra qualche mese vedremo se il Tatarstan farà un'altra mossa per diventare anch'esso sovrano. I popoli - si dice - hanno voluto l'indipendenza. Ma non sono diventati, per questo, più tolleranti e più democratici di prima. Neanche più razionali. E 25 mi¬ lioni di russi sono ora minoranza, sparsi tra cento etnie che, in fondo, consideravano soggette, e che ora si «vendicano». Si pensava che fossero i più forti del mondo. Senza dubbio erano i più numerosi. Adesso sono dei paria, come stipendio, come prestigio. Non hanno un inno, e hanno dovuto tutti cambiare banche- ra. Sono, nella migliore delle ipotesi, sconcertati. Nella peggiore, furibondi. Li si può capire. Sono bersagli mobili, armati fino ai denti, ma che non possono rispondere al fuoco. Finché non decideranno altrimenti. Possono trasformarsi da un momento all'altro in un conglomerato di compagnie di ventura, al servizio di vassalli e valvassori che cercano di diventare principi. Anzi sta già accadendo. Vendono carri armati e elicotteri, per evitare che i poteri locali se li prendano. La forza strategica dell'Urss praticamente non c'è più. La flotta del Mar Nero resta in condominio tra Russia e Ucraina. Un compromesso che dovrebbe durare tre anni, in attesa che la polvere si diradi. Poi si dovrà procedere alla divisione. E saranno dolori. I NUOVI GOVERNANTI Gorbaciov se n*è andato,' anzi l'hanno cacciato. In negativo è l'unico esempio di unità nazionale: lo odiavano tutti. E' difficile capire perché, visto che è stato lui a provocare la caduta del comunismo: cioè quello che volevano tutti. Ma aveva un peccato originale impossibile da cancellare. Era l'ultimo dei comunisti. Boris Eltsin era comunista anche lui, ma è diventato il martire. Nella memoria storica dei russi, quella lunga di secoli, è stato l'«impostore», l'«antizar» che viene con la buona novella liberatrice. E' arrivato al Cremlino con una «squadra» tutta nuova, per metà composta di pragmatici ex comunisti che erano con lui a Sverdlovsk (oggi Ekaterinburg), per l'altra metà composta di giovani ideologi del capitalismo, alcuni dei quali armati di un sacro zelo iconoclasta. A un anno di distanza dalla loro vittoria non sono ancora riusciti a diventare simpatici alla gente. Che continua ad amare solo Eltsin. GLI ENTUSIASTI Sono in minoranza. Solo il 15%, secondo i sondaggi. E questo è un guaio per Boris. Sono i miracolati dal «passaggio al mercato», quelli che possono comprare le merci che, ora, si trovano nei negozi. Ai prezzi liberi, è vero. Ma ci sono. Sono la prova che le cose cambiano, che l'«homo faber» è in via di formazione, che la libertà d'impresa si fa strada, che si può finalmente diventare ricchi. Hanno ragione loro. E, probabilmente, vinceranno, anche perché non c'è più nessuno che combatte dall'altra parte. Solo che, abbagliati dalla ricchezza imminente, corrono troppo in fretta, rivoluzionari anche loro, senza saperlo. Con il rischio di essere passati a fil di spada dalle moltitudini che - come scriveva Herzen - vanno «a passo d'uomo». E GU SCONTENTI Sono, come sempre, la maggioranza. Sempre secondo i sondaggi il 70% dei russi non è contento della propria vita. Un buon terzo ammette di non reggere alla liberalizzazione dei prezzi. E cresce, ormai oltre il livello di guardia del 55%, il numero di coloro che ritengono che in Russia non si è realizzato nessuno dei cambiamenti che speravano. Eltsin, il pragmatico, l'ha capito prima dei suoi consiglieri. Ha detto, recentemente, d'intravedere «i limiti della pazienza del popolo». E adesso frena. Con «juicio», naturalmente, per non dare l'impressione - all'avaro e sospettoso Occidente - che la riforma capitalista è in pericolo. SEC^Mrr)^) C^JU^t? Macché. Guai a fidarsi deìl'intelligencija russa! Ha sbagliato tutto in questi anni, ci sarebbe da stupirsi se azzeccasse adesso il giudizio. Vedono pericoli dappertutto, vedono nemici e sabotatori dove ci sono solo inevitabili e prevedibili difficoltà. Gorbaciov, il temporeggiatore, aveva proposto loro una via graduale. L'hanno messo alla gogna e hanno scelto la via rapida. Adesso che si vede a dcchio'nùdò chVscorciatoie non ce n'erano, si fanno prendere dal panico. Il fatto è che il «popolo» l'hanno sempre conosciuto poco. E poi, loro che viaggiavano per l'Europa, hanno dimenticato che questo non sarà mai Occidente. E ora che, finalmente, possono vederlo da vicino, questo immenso popolo eurasiatico, ne hanno paura. In fondo è l'unico momento in cui qualche ragione ce l'hanno. Perché è tardi per chiudere la stalla, ormai che i buoi sono fuggiti. Ma non è il golpe quello che verrà. Semplicemente perché non c'è nessuno in grado di farlo. Verrà un «tempo di torbidi», anch'esso inevitabile, prima che la situazione torni su binari normali. Finché nuovi uomini, senza le stigmate del comunismo, senza missioni da compiere, giungeranno a sostituire quelli di oggi. L'unico interrogativo che resta è quanto grande sarà la nuvola tossica che si alzerà da questo rovine e quale prezzo il mondo esterno dovrà pagare perché questo «mondo di mondi» entri finalmente nella nostra storia comune. Giulietta Chiesa Ci sarà un altro putsch? Non esistono uomini in grado di farlo Da sinistra, Eltsin che paria alla folla e affronta Gorbaciov in Parlamento A fianco, i tank sulla piazza Rossa