Praga e Bratislava, i poeti della libertà

Praga e Bratislava, i poeti della libertà A Novara l'arte ceca e slovacca dal 1950 a oggi: culture distinte, unificate dalle radici dadaiste e surrealiste Praga e Bratislava, i poeti della libertà Tradizione e vitalità creativa negli anni bui della dittatura SNOVARA RTE contemporanea ceca e slovacca 1950-1992» è il tema della mostra in corso fino al 30 settembre al Palazzo del Broletto. NeU'introdurre il bel catalogo Cantini, a cura di Miroslava Hajek, il sindaco e assessore alla Cultura Malerba parla giustamente della possibilità, realizzata in questa occasione, di una nuova e più diramata civiltà europea dopo la caduta del muro di Berlino, come «momento di incontro fra popoli e culture»: una possibilità tanto più significativa, aggiungerei, quando, proprio nel mezzo di crescenti particolarismi, coinvolge da un lato realtà culturali locali, centri minori, e dall'altro complesse tradizioni nazionali come quella ceco-boema e slovacca, grande ponte fra mondo tedesco e un mondo slavo. La mostra, almeno a livello di catalogo, equilibrando questo spirito di incontro con una nuo- va salvaguardia di specifiche identità culturali, corrispondente alla realtà istituzionale delle due Repubbliche federate Ceca e Slovacca, distingue le due sezioni con l'aggiunta di una terza, legata, oggi non più dolorosamente, alla storia recente: quella degli emigrati dopo la Primavera di Praga e l'intervento del Patto di Varsavia, capeggiati dal più anziano e più noto, il surrealista Jiri Kolar, l'ultimo e massimo maestro della grande tradizione d'avanguardia del «collage», oggi attivo a Parigi. Il caso di Kolàr è anche emblematico in quanto, nell'insieme, l'elemento unificante dei due nuclei culturali - rispetto alle avanguardie del secolo - è la prevalenza delle radici dadaiste, costruttiviste, surrealiste, corrispondenti al contributo offerto fra le due guerre dalle nuove nazioni nate dopo il crollo dell'Impero asburgico, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria. Al di là di queste radici, particolarmente evidenti in Boudnik, in Grygar, nella Kmentova, negli assemblaggi meccanici di Janousek e di Nepras, in Sion, negli emigrati Slavflc e Ivana Hajek, negli slovacchi Fila - con implicazioni concettuali - e Jankovic, autore di una drammatica Ragnatela in cui è impigliato un angoscioso manichino neodadaista, i rapporti con i più recenti linguaggi sono equamente presenti sia fra i rimasti in patria che fra gli emigrati. Toman, scomparso a 48 anni nel 1972, era passato dal fotomontaggio vicino a Kolar a sequenze fotografiche di comportamento e di ambiente. Kolibal ha belle installazioni «povere». Un altro giovane scomparso nel 1981 a 35 anni, Ranny, era delicato pittore minimalista lirico. Valoh è poeta visivo-concettuale, Batusz aggredisce le sue grandi tele libere con mia gestualità neoselvaggia. Nella direzione dei linguaggi attuali spiccano, fra gli emigrati, la limpidezza minimale delle carte incollate trasparenti, acrome, di Hilmar, originale pur nella vicinanza a Ryman e Savelli, e i raffinati marmi idrocinetici di Svàtek, operante a Menate. Un caso anche simbolico dei nuovi tempi è quello di Filko, emigrato in Germania nel 1980 e poi in Usa, e rientrato in Slovacchia nel 1990, con i suoi grandi multipli di materiali e tecniche miste, di forte aggressività neoespressionista. A parte gli emigrati a Parigi, a Londra, a Vienna, in Germania, in Italia, la distinzione fra cechi e slovacchi appare allora più che altro legata alla provenienza di molte opere dai due musei «nazionali» di arte contemporanea, quello di Louny non lontano da Praga e quello di Bratislava. Colpisce semmai una singolare distinzione d'età fra gii artisti più anziani, verso i 70 anni gli slovacchi, verso i 60 i boemi, affiancati gli uni e gli altri (e più fra gli emigrati) dalla nuova generazione dei quarantenni. L'impressione generale è quella del liberarsi di una forte vitalità creativa che vuole però affermare la tradizione nel secolo delle avanguardie europee, storicamente richiamandosi alla gloriosa cultura di una cittadella di avanzata democrazia sociale nell'Europa totalitaria fra le due guerre. Marco Rosei C'è anche Kolàr il grande maestro del collage, oggi attivo a Parigi right-Knox Gallery di Buffalo) n «classico» che sa d'una faolosa purezza pittorica, o come il Monumento alla III Inernazionale di Tatlin, ma in gni caso ben vive nei ricordi di hi, di volta in volta, le vide omparire alle Biennali di Veezia o in altre importanti rasegne internazionali: le struture «mobili», quasi organismi luce continua, dell'argentino ulio Le Pare, e quelle «spazioinamiche» dell'ungherese Niolas Schòffer, più fedeli a fondono nella «simudegli stati d'amnjio», ecalzare dei ritmi com[Casa+luce+cielo di RLa locomotiva di Depeza rinunciare a far sentloro forme quel tanto dza ch'era anche nelle esni dei loro manifèsti. Dairinghilterra (Nalla Russia (Larionovtcharova) l'idea del moentrò nelle manifestaun'energia consideratpotenza in grado di anelle opere costruquelle stesse che più tholy-Nagy riusci a mmoto. olàr stro age, arigi A Novara l'arte cecPragTradizio«Persona» realizzato da Andrej Rudavsky nel 1970, frale opere in mostra a Novara va salvaguardia di sidentità culturali, corriste alla realtà istituziondue Repubbliche federaSlovacca, distingue le dni con l'aggiunta di una gata, oggi non più dolorte, alla storia recente: qgli emigrati dopo la PrimPraga e l'intervento delVarsavia, capeggiati daziano e più noto, il suJiri Kolar, l'ultimo e maestro della grande trad'avangdel «oggi attrigi. «Persona» realizzato da Andrej Rudavsky nel 1970, frale opere in mostra a Novara