Convoglio Onu in trappola

Convoglio Onu in trappola Primi aiuti a Gorazde ma i mortai centrano la mensa profughi Convoglio Onu in trappola Su un ponte minato a Sud di ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO Scortato dalle autoblindo dell'Unprofor, le forze di pace dell'Orni stazionate nell'ex Jugoslavia, il primo convoglio con i soccorsi umanitari ha raggiunto ieri mattina Gorazde, la città sul fiume Drina assediata da più di due mesi dai serbi. Dopo aver scaricato i pacchi col cibo e i medicinali i mezzi dell'Onu hanno fatto appena in tempo a lasciare la città che sono ripresi i bombardamenti. I serbi hanno lanciato decine di granate sul luogo dov'era in corso la distribuzione degli aiuti. Gli ordigni sono esplosi in mezzo alla gente uccidendo due persone e ferendone una ventina. Davanti agli occhi della popolazione alla fame è andata distrutta una grande quantità di viveri. All'uscita di Gorazde il convoglio dell'Unprofor è rimasto bloccato da un ponte minato. I caschi blu hanno chiesto aiuto al loro quartiere generale di Sarajevo. Tre mezzi blindati francesi e un'equipe di esperti capaci di disattivare le mine sono immediatamente partiti per il luogo dove sono fermi i soldati. Tutto questo non ha impedito al leader serbo della Bosnia, Radovan Karadzic, di riaffermare che i serbi assicureranno i corridoi per i convogli umanitari. Secondo l'agenzia Tanjug di Belgrado Karadzic avrebbe firmato un accordo per cessare le ostilità con Mate Boban, il leader dei croati in Bosnia. I due, che hanno concordato la tregua su tutti i fronti serbo-croati, avrebbero raggiunto un'intesa per il futuro ordinamento dello Stato bosniaco. Alla prossima conferenza sull'ex Jugoslavia che si terrà a fine mese a Londra proporranno la costituzione di una Repubblica confederale composta da tre Stati etnici: musulmano, serbo e croato. Intanto il premier serbomontenegrino Milan Panie respinge l'ipotesi di un intervento militare dell'Occidente in Bosnia. In un'intervista al quoti- diano «Borba», Panie sostiene che non vi è alcuna possibilità di un'azione armata di ampie dimensioni nei Balcani. L'ultima dichiarazione del presidente americano Bush sembra dargli ragione. «Gli Stati Uniti non sono i poliziotti del mondo», ha ripetuto Bush per l'ennesima volta escludendo la partecipazione dei soldati americani delle forze militari dell'Onu che hanno il compito di proteggere, anche con la violenza se necessario, i convogli umanitari diretti in Bosnia. Qui la guerra continua a divampare. I cacciabombardieri di Belgrado hanno lanciato nuovi razzi aria-terra sulla città di Jajce, distruggendo interi quartieri. I morti e i feriti sarebbero decine. A Sarajevo i serbi bombardano il quartiere di Dobrinja. I cecchini sparano ininterrottamente. La radio ha trasmesso le testimonianze di due musulmani del quartiere di Vogosca recentemente liberato dalla difesa territoriale bosniaca. Rinchiusi per più di cento giorni in un bunker sotterraneo di 35 metri quadri dove dormivano con altri 50 prigionieri, venivano maltrattati dai cetnici che spesso buttavano nella loro cella i lacrimogeni. Gli davano da mangiare una volta ogni 48 ore. Erano forzti al lavoro e venivano usati come scudo vivente nei combattimenti. A loro detta soltanto nella loro prigione le guardie serbe hanno ucciso più di 50 detenuti. Per aver voluto scoprire nuovi dati sui campi di concentramento serbi in Bosnia l'inviato del «New York Times», Chuck Sudetich, si è fatto espellere dalle autorità serbe di Banjaluka. Il Dipartimento di Stato americano ha protestato tanto più che sono stati gli stessi serbi a invitare chiunque volesse venir a visitare i lager. Sudetich, che non si era accontentato delle «visite guidate ai campi modello» voleva saperne di più, ma i serbi non hanno gradito. ingrid Badurìna Sarajevo: l'ospedale è stracolmo di feriti [FOTO AP)

Persone citate: Bush, Chuck Sudetich, Mate Boban, Radovan Karadzic

Luoghi citati: Belgrado, Jugoslavia, Londra, Sarajevo, Stati Uniti, Zagabria