Stalin: Mamma, perdonami

Stalin: Mamma, perdonami Pubblicate a Mosca le lettere fra il '22 e il '34, gli anni spietati che prepararono le grandi purghe Stalin: Mamma, perdonami «Ti scrivo poco, ma ho tanto da fare» MOSCA ARA Mamma! La saluto. Sii brava, non permettere che la tristezza si impadronisca del tuo cuore. Perché è stato dettò: "Finché vivrò farò felice la mia viola, quando morirò farò felici i vermi nella mia tomba"». Un figlio affettuoso e devoto, nonostante la piccola caduta di gusto, scriveva nel '22 queste righe da Mosca a Tbilisi, in Georgia. Usava il tu e il lei senza distinzione, si firmava «Tuo Soso», diminutivo di Josif. Era Josif Stalin. Le sue lettere alla madre Ekaterina Dzhugashvili, dal 1922 al 1934, sono uscite ieri sulla rivista Nezavisimaja gazeta. Le aveva conservate uno storico, Shota Civadze, che le tradusse in russo dal georgiano per incarico del Comitato centrale del pcus. Ora, dopo mezzo secolo, offrono un aspetto inedito del dittatore, anche se ne hanno parlato i parenti e la figlia Svetlana. Il periodo coperto dalle lettere è cruciale: va dal '22, quando Stalin divenne segretario genera- -| le del partito comunista, al '34, quando dette inizio alle grandi purghe che in quattro anni eliminarono tutto il vecchio stato maggiore bolscevico lasciandogli in mano un potere assoluto. Dai brevi scritti nulla di questo traspare. Stalin fa sapere solo di essere «molto occupato». La prima lettera venne consegnata personalmente a Ekaterina da Nadia Allilueva, la moglie del dittatore, che era andata in Georgia a conoscere la suocera. Stalin aveva da poco incontrato la madre, nel '21, dopo undici anni di separazione. E in quelle poche righe presentava la giovane: «Questa donna è mia moglie. Cerca di difenderla». Quasi un presagio di tragedie future: Nadia si ucciderà nel '32. La più laconica di tutte è la seconda lettera (gennaio '23): «Cara M^amma!- Leauguro mille anni di vita. Un bàcio dal tuo Soso», ma anche la terza (del febbraio) non è da meno: «Cara Mamma! Ho ricevuto le sue lettere. Le au- guro salute e coraggio. Ci incontreremo presto». Ekaterina scriveva a Mosca: ma a un certo punto, delusa per non ricevere risposte, se non poche e convenzionali, deve aver smesso. Così, nella quarta lettera (marzo '24) è Stalin a lamentarsi: «Salve, cara Mamma! Come va la vita, come sta? Perché non scrive? Nadia ti manda i suoi saluti». Le reazioni non devono essere state incoraggianti, perché il figlio, rifugiato dietro le mura del Cremlino, tenta ancora di giustificarsi, di far capire, di ottenere comprensione.- Lo stile è convenzionale, ma pare di leggere una vibrazione di vera angoscia, come in un biglietto del gennaio '25: «Cara Mamma! So che Lei si sente offesa da me, ma non ci posso fare niente, ho pochissimo tempo e non riesco a scriverLe spesso. Giorno e notte sono preso dagli impegni fino al collo e perciò non ho potuto scriverLe». La corrispondenza, a partire dal giugno successivo, si interrompe per quattro anni. Ekaterina va a Mosca in visita al figlio, ma là città non le piace: troppo freddo. Anche Stalin visitò Tbilisi, dove la madre abitava dal '21, quando venne trasferita dalla città natale, Gori: le avevano dato come residenza il palazzo dove prima si fermavano gli amba- sciatori dello zar. Ekaterina doveva aver capito che il figlio stava facendo «carriera», ma non per questo era disposta a perdonargli i lunghi silenzi: e quando la corrispondenza riprese, erano ancora questi il maggior problema. Stalin continua a scusarsi, rugiadoso e commosso. Accenna anche agli aiuti finanziari con il tono di un povero emigrante che si scusi per la loro pochezza: «Cara Mamma! - scrive nell'aprile del '29 -. Come sta, come va la Sua salute? Da tempo non arrivano lettere da Lei, probabilmente si sarà offesa perché non scrivo. Ma che cosa ci posso fare; sono molto impegnato, davvero. Le mando 150 rubli, non sona riuscito a mandarne di più. Se Le serviranno soldi me lo faccia sapere. Ne manderò quanti potrò. Un saluto agli amici. Nadia man¬ da i suoi saluti», n silenzio forzato, che la madre interpreta come disinteresse, diventa sempre più centrale nella corrispondenza, quasi un'idea fissa: «Ovviamente mi sento in colpa per non averLe scritto ultimamente - spiega nel dicembre '31 -. Ma cosa ci posso fare. Mi è crollato addosso tanto lavoro e non sono riuscito a ritagliare tempo per una lettera». Al Cremlino si addensano congiure e ombre sanguinose, la resa dei conti con gli alleati che avevano permesso al dittatore di eliminare Trockij e la sua fazione è alle porte, il matrimonio con Nadia allaNfmeVPer due anni, Stalin non scrive alla mamma, e.intanto Nadia si uccide. Ma una'lettera dell'ottobre '33 non vi fa alcun cenno. Bisognerà aspettare il marzo '34 per trovare una traccia: «Cara Mamma! Ho ricevuto la Sua lettera. Ho ricevuto anche la marmellata, i churchkheU (è un dolce georgiano con le noci, ndr) e i fichi. I bambini sono stati molto contenti e La ringraziano. Sono molto felice che Lei sta bene d'animo e di salute. Io sto bene, non si preoccupi per me. Riuscirò a ottenere ciò che voglio. Non so se Le servono soldi. In ogni caso Le mando 500 rubli. Le mando anche una foto mia e dei bambini. Le auguro buona salute, cara Mamma. Non perda la forza d'animo. Un bacio. Suo figlio Soso». Infine, il post scriptum: «I bambini Le mandano i lóro saluti. Certo, dopo la morte di Nadia la mia vita privata è abbastanza dura. Ma non importa. Un uomo coraggioso deve rimanere coraggioso sempre». Stalin sa benissimo che cosa significa quel «riuscirò a ottene¬ re ciò che voglio». Chissà se lo sapeva anche Ekaterina. Certo lo intuiva. Lei, che di mestiere faceva la sarta e aveva sposato un calzolaio sempre ubriaco, a Tbilisi era accudita da due donne e da un medico personale, Nikolaj Kipscidze, che aveva curato anche Beria. Le memorie del medico non sono mai state pubblicate e si trovano in un archivio georgiano. In esse si ricorda che un giorno, quando ormai era al vertice del potere, Stahn chiese alla madre: «Perché, quando ero piccolo, mi picchiavi così spesso?». «Per questo sei diventato così bravo», fu la risposta. «E perché avevi sognato che io diventassi prete?» La madre gli spiegò allora che i preti «vivevano bene e lavoravano poco. Pensavo non ci fosse niente di meglio per un uomo che fare il prete. Ma - aggiunse - riconosco che in questo mi sono sbagliata». Quando vide il figlio per l'ultima volta, nel '35 (sarebbe morta due anni più tardi, per una polmonite), Ekaterina fu avvertita del suo arrivo un'ora prima. Stalin si presentò con la scorta. Lei gli chiese: «Josif, ma chi sei adesso?», e lui rispose: «Sono il primo segretario del.Ctì delngrtir to comunista**dei' blàscetncfin; Mamma, si ricorda- del nostro zar?». «Certo,/cóme' nò». Stalin spiegò che era diventato una specie di zar; Ekaterina sospirò e disse: «Sarebbe stato meglio se tu fossi diventato prete», [r. m.] Lei lo sognava prete: «Perché si vive bene e si lavora poco» Poi si ricredette i i4L|1 Ekaterina, la madre, e sotto Nadia, i la prima moglie 4 di Stalin, suicida L nel "32. | Nell'immagine 1 grande, il dittatore sovietico in una foto del '33

Luoghi citati: Georgia, Mosca, Tbilisi