Pcf la Svolta viene da New York

Pcf, la Svolta viene da New York Marchais liquida il «centralismo democratico» mentre è in vacanza negli Usa Pcf, la Svolta viene da New York Levata di scudi nelle file del {partito comunista cH£ 'discussione, qSeslòti*kaìihismo» PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Per spedire in cantina il centralismo democratico, Georges Marchais ha scelto un uditorio anomalo. Non la Direzione, né il CC, ancor meno la base comunista, bensì 4 studentesse e 2 universitari maschi che - ignorando forse la storica occasione - l'ascoltavano in short. Pure lo scenario stupisce: anziché Place Colonel Fabien (le Botteghe Oscure francesi) un saloncino della Columbia University. Ecco le sue parole: «La formula "centralismo democratico" deforma i cambiamenti nei nostri obbiettivi e nello stesso pcf. Senza dubbio modificheremo presto la visione comunista in materia. Ritengo sia una necessità assoluta». L'annuncio data martedì pomeriggio. Ma sono occorsi tre giorni prima che «l'Humanité» il quotidiano pcf - riportasse le autorevoli frasi. Settantadue ore che hanno turbato il popolo comunista, non meno dei vertici. Per esempio, Jack Ralite - ex ministro, un posto nel CC - giudica le dichiarazioni «singolari, incongrue, sconvenienti». A suo avviso, Marchais «impiega metodi da centralismo democratico per annunciarne la futura morte». Jean-Pierre Brard invoca «un congresso straordinario». Anicet le Pors ammonisce: «E' il fondo, non la formula che bisogna modificare». Nella breccia aperta dal vacanziero Marchais in terra yankee, si gettano insomma gli avversari vecchi e nuovi per accusarlo una volta ancora di spregiare le decisioni collettive, preferendo loro (malgrado le promesse) il dirigismo. Qualche buon motivo ce l'hanno. In genere, per citare le Svolte, si evocano assisi - Livorno 1921, Bad Godesberg - o circostanze precise tipo il memoriale Togliatti: sarebbe bizzarro legare l'ultima conversione pcf alle ferie Usa di monsieur e madame Marchais. Tanto più che il segretario - forse miracolato dall'America - ci riserva altre sorprese: «Il processo democratico deve continuare ancora». Nuo- ve tappe attendono i fedelissimi della telenovela comunista. Ma non subito. Viste le critiche - la cui eco deve turbarlo oltreoceano - il segretario già lascia l'acceleratore per il freno. Su «l'Humanité» fa scrivere che i media francesi hanno «travisato a bella posta». Corollario: fermare le macchine. Il centralismo democratico ha la ghigliottina sul collo, ma per ora Georges non l'azionerà. Ci penseranno gli organi congressuali a rendere esecutivi (e obbligatori) per l'intero pcf gli auspici di Marchais. Data prevista, fine '93. Retromarcia? Forse no. Il leader comunista non disconosce l'abiura. Ma temendo una destabilizzazione a larga scala, vuole istituzionalizzarne l'iter. Gaffe ricomposta in extremis o diabolica manovra che sia, re Georges oggi tiene più che mai fra le sue mani lo scettro del potere. Gli esegeti, in ogni caso, propendono per la seconda interpretazione. Il metodo non è nuovo. L'11 gennaio 1980, prendendo alla sprovvista la nomenklatura pcf, comparve in tv dal Cremlino per annunciare che approvava l'invasione afghana. Quattro anni prima, fu ancor più mefistofelico. Voleva silurare la dittatura del proletariato, ma la direzione nicchiava. Fece scrivere una lettera anonima in tal senso a «l'Humanité». Scalpore. Alcuni giorni dopo l'intervistatrice tv gli domanda: che ne pensa? «Quel multante ha ragione, basta con simili dogmi». E il pcf cambiò linea. Enrico Benedetto V '

Luoghi citati: America, Bad Godesberg, Livorno, New York, Parigi, Usa