Ciak, scandab mi Canal Grande

Ciak, scandab mi Canal Grande la memoria: 1962. Il regista ricorda la lavorazione di «Agostino», le polemiche, la Venezia diallora Ciak, scandab mi Canal Grande ROMA AURO Bolognini non ha dimenticato l'estate del 1962, quella in cui il regista girò Agostino, dal racconto di Moravia: «Lo scrittore mi avrebbe poi telefonato nel settembre del '90, qualche giorno prima di morire, per dirmi: "Bolognini, ho rivisto il film e mi è piaciuto moltissimo, spero che le faccia piacere". Mi fece un grandissimo piacere sapere che il film lo interessava ancora e reggeva dopo tanti anni. La sceneggiatura l'avevamo scritta con Goffredo Parise, e Moravia aveva detto: "Fate quello che vi pare, io il romanzo l'ho scritto, spero che vi serva per fare un bel film". Cambiammo varie cose nel testo e in più lo girammo al Lido di Venezia anziché a Viareggio. Viareggio è la spiaggia della mia infanzia, ma al Lido c'era più acqua». Bolognini è seduto sul sofà del suo salotto molto elegante e colmo di libri, bronzi, sculture, quadri di famiglia. Le finestre si affacciano su piazza di Spagna. Facendosi un po' d'aria con un ventaglio che non abbandonerà mai durante tutta l'intervista, Bolognini racconta: «Sono nato a^Pistoìa nel" 1922, poi studiai architettura a Firenze, era mio compagno, Franco Zeffirelli. Con Franco, vèrso la fine degù Anni 40, siamo venuti a Roma per finire architettura; facemmo il viaggio con una grande jeep. Allora non c'era l'autostrada, le strade erano piene di curve e, curva dopo curva, senza che ce ne accorgessimo, volarono via disegni, libri, insomma arrivammo a Roma e c'era rimasta solo una copia della rivista Domus. Andammo ad abitare alla pensione Amerigo in piazza del Popolo, dove viveva anche Antonio Cederna. Più tardi mi trasferii in Piazza dì Spagna, che da allora divenne il mio villaggio, la mia casa. La piazza è molto cambiata, ma io fingo che sia rimasta uguale». La madre dissacrata Suona il telefono, è un produttore, Bolognini parla e agita il ventaglio sempre più impaziente, per tagliare corto. Poi si scusa e mi chiede se voglio un caffè e una fetta di torta: «Ahimè confessa - sono goloso di dolci». Torna con la memoria al '62: «Erano anni in cui vedevo sempre anche Pasolini. Cenavamo ogni sera o quasi con Elsa Morante e Alberto Moravia in trattoria. Io ero spettatore delle loro eterne discussioni in cui erano apparentemente uno contro l'altro, ma in fondo d'accordo. Il film Agostino fu prodotto da Dino de Laurentiis. Quando fu pronto la censura lo vietò ai minori di 18 anni. Silvana Manga no, che era una mia grande ami ca e moglie di De Laurentiis, trovò la cosa assurda, disse: "Ma insomma, l'ho fatto vedere ai miei figli!". Così si ricorse al Vaticano e infine il risultato fu che proibirono il film e lo ritira rono dalla circolazione. Solo po co tempo fa, ritoccandolo un po', è stato mostrato in televi sione». Perché fu proibito? «Forse perché era la dissacrazione del- la madre. Erano ancora anni durissimi. Si trattava della storia di una madre e un figlio che si recano in villeggiatura in una località balneare, lì la mamma incontra un uomo, il bambino si ingelosisce, finisce in una banda di ragazzini dominati da un pescatore forse omosessuale... Il film fu proiettato a Roma al cinema Quii-inetta, per il David di Donatello. Alla fine gli spettatori erano sconvolti e non applaudirono. Ricordo delle signore che passando accanto a me dissero "ma cosa crede di potersi permettere, tutto!?". «Anche la nonna di Paolo Colombo, il bambino undicenne che interpretava Agostino, si era opposta, aveva cercato di impedire che si girasse il film. Non voleva che suo nipote avesse parte in uno scandalo. Fummo denunciati, veniva il giudice sul set a controllare e a interrogare Paolo Colombo. Io al bambino raccontai una favola che non era proprio quella del film. Lo avevo incontrato proprio a pochi passi da qui, per caso, sulla scalinata di Piazza di Spagna, mentre passeggiava con sua madre. Io stavo cercando il protagonista del film e così li fermai e proposi subito quella parte. Paolo ne fu entusiasta e volle anche sapere quanto avrebbe guadagnato. Allora succedeva spesso di trovare gli attori nella vita comune». Bolognini riparla al telefono. Capisco che si tratta di una giornalista che vuole intervistarlo sulle dive. Lui dice che una grande e divina attrice fu senz'altro Marlene Dietrich. Quando finisce quel discorso gli i chiedo: chi era l'attrice, la madre, la protagonista di Agostino? «Era Ingrid Thulin, che arrivava dall'America al massimo della notorietà e del successo. Era la star di Ingmar Bergman. Io ne avevo una grande soggezione e mentre stavamo già girando il film e lei non era ancora arrivata mi domandavo come si sarebbe dovuto andarla ad accogliere. Lei invece arrivò semplicissima, da sola, a piedi. Ricordo la sua figura esile e sottile quando la vidi arrivare lungo la spiaggia, disagevole, con molti sassi. Tutto fu immediatamente semplicissimo. In un attimo si ruppe il mito ed eravamo amici, compagni. Mi è successo spesso con le grandi attrici, le divine, di avere questo immediato rapporto di amicizia». Per esempio? Bolognini s'illumina, s'infervora, si fa un po' d'aria con il ventaglio e gesticolando, quasi le volesse scolpire, dice: «E' venuta proprio qui a casa mia Vanessa Redgrave, per parlare della parte di un film. Era come una dea: brava, bella, misteriosa. Anche Silvana Mangano era straordinaria, un'apparizione, ricordo la felicità di vederla recitare. Purtroppo con le dive che ho amato di più è sempre stato difficile. I film non si sono quasi mai conclusi. Penso per esempio anche ad Anna Magnani. Con Sofia Loren è diverso, siamo molto amici e con Claudia Cardinale anche. Forse Claudia è un po' troppo generosa». Le colonne del Partenone Lei ha diretto anche Soraya nel film I tre volti... «Sì. Non posso dire che fosse un'attrice divina ma un personaggio straordinario. Era molto seria, si applicava, studiava la parte a fondo, in albergo con l'aiuto del suo compagno di allora, l'attore tedesco Maximilian Schell. La ricordo all'alba, ad Atene, davanti all'Acropoli con un vestito di veli neri disegnato per lei da Piero Tosi per il primo ciak del film. Era come una Medea, un'immagine stupenda davanti a 500 giornalisti che la guardavano. Io e la troupe avevamo passato la notte lì, dormito nei sacchi a pelo sotto le colonne del Partenone. Finché non avevo visto quelle colonne del Partenone, non sapevo cos'era una colonna. Le altre, in confronto, sono come degli stuzzicadenti». Ma perché la Thulin era una divina? «Non saprei, è così, è una cosa che non si acquista, anche per gli uomini. Marion Brando è una grande star, ma non è divino. Erano divini uomini come Visconti, Moravia e Laurence Olivier. Questione di gesti, di modo di fare. Gente che vive la vita con grande spessore umano. Io ero intimidito sia da Visconti sia da Silvana Mangano, ci conoscevamo benissimo ma ho sempre dato loro del lei». Com'era Venezia l'estate in cui giraste Agostino? «Era di versa dalla Versilia, dove tutto era semplicissimo e dove si vendevano ancora le mele fre sche sulla spiaggia. A Venezia c'erano lettini, tende, quasi de gli arredamenti. Camerieri che servivano gli aperitivi.. Ricordo quell'estate il ballo Volpi. Vi andai con Marina Cicogna e Franco Rossellini, che era il mio assistente. La gente era bellissima, erano tutti belli. Venezia era ancora molto elegante. Gli ospiti d'onore erano i fidanzati dell'anno, Paola Ruffo di Calabria e il principe Alberto di Liegi. Ricordo che nell'ingresso del palazzo Volpi, la vecchia contessa salutava gli ospiti e sullo sgabello piccino sedeva vicino a lei un uomo che indossava un vecchio smoking con macchie di caffellatte. Era Palazzeschi, che guardava in giro timido. Ogni tanto la contessa Volpi si avvicinava a lui e gli parlava. Sembrava dimenticato lì ma non lo era. Una scena indimenticabile. All'Harry's Bar, invece, vedevo sovente Igor Stravinskij, seduto in un angolo che beveva Bellini. A Venezia quell'estate non si vedevano ancora persone per strada in calzoni corti». La scrivania di Pasolini E Goffredo Parise? «Eravamo molto amici. Con lui si lavorava bene. Andavo a casa sua prima a Monte Mario e poi ih via del Corso. Voleva che gli stessi accanto mentre scriveva. Quando gli veniva un'idea vedevo un guizzo nel suo sguardo. Pasolini invece voleva che lo seguissi dappertutto quando scriveva, e poi c'era sempre molta gente attorno, un grande disordine. Certo Pasolini era veramente straordinario. Ricordo il suo tavolo di lavoro: i giornali, accanto alcuni testi greci, poi l'articolo che stava scrivendo, il libro che stava scrivendo, poesie da tradurre...». E i suoi rapporti con gli attori? «Li ho soprattutto sul set. Meno nella vita quotidiana. Ricordo sempre il set di Agostino con Ingrid Thulin. Bisognava girare una scena un po' improvvisata in cui Agostino, la mattina, andava nel letto di sua madre per farsi un poco coccolare. Era una scena allegra. Io dissi alla Thulin: "Parla pure in svedese, così è più naturale, più semplice". Lei insistette per girare in italiano, io ribadii che volevo lo svedese. Infine fu girata la scena in svedese come volevo io. Alla fine le dissi: "Hai visto che avevo ragione? Come eri più spontanea, dolce, come scorreva il dialogo?". Lei rispose: "Sapessi cosa gli ho detto, quali parolacce, quali vituperi orribili!"». Fu importante Agostino? L'estate del '62? «Sì, è un film a cui sono molto affezionato anche perché ha avuto vicende difficili e se qualcuno ne parla ancora ti fa sempre un piacere particolare. Eppoi era la mia prima estate a Venezia, ero uscito dal cortile di casa mia. A me non piace andare in vacanza senza scopo, per questo amo girare d'estate. E quel Lido di Venezia, l'Hotel des Bains, sono ancora un ricordo forte. Ma adesso sono in ritardo e devo uscire. Prenda le fotografie che vuole: sono pochissime ma mi saccheggiano sempre». Alain Elkann Pier Paolo Pasolini. «Era veramente straordinario. Ricordo il suo tavolo di lavoro: i giornali, accanto alcuni testi greci, poi l'articolo che stava scrivendo, il libro che stava scrivendo, poesie da tradurre...»